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lunedì 25 maggio 2009

French Open - giorno 2 - Divorzio all'italiana




Una quantomeno curiosa programmazione, ha inserito nella stessa giornata l'esordio delle prime due teste di serie del torneo.
Comincia Nadal, bardato di un rosa shocking abbagliante, che avrà fatto felici come una pasqua le associazioni omosessuali. Il timore è che le partite del maiorchino possano diventare degli improvvisati gay pride, si fa largo tra gli ingessati ed attempati nostalgici della sobrietà di Rod Laver. Il dettaglio folkloristico pareva l'unica nota da dover raccontare in un match scontato come la sessantaduesima replica della corazzata Potemkin. Ed invece, sin dall'inizio Rafa si mostra insolitamente macchinoso e falloso. Dall'altra parte della rete, il suo avversario, il modesto brasiliano Daniel, quasi non crede ai suoi occhi. Contro break con Rafa al servizio per chiudere il primo set. Poi sfodera un paio di quei miracolosi dritti in corsa incrociati, agganciati e rispediti dall'altra parte a scovare angoli impossibili, per avvilire le baldanze (per la verità misurate) del brasiliano, sempre più simile ad un pappagallo ara, tutto giallo e fluorescente. E tanto basta. Troppo leggero, troppo scontato, troppo tutto questo brasiliano per il cannibale spagnolo, che pur non brillando, porta a casa gli altri due set. Si attendono esami più seri per il maiorchino. Il problema è che ha un tabellone talmente in discesa, che per tastare le sue reali condizioni, bisognerà aspettare la seconda settimana.
Tocca poi al monarca elvetico (spodestato ed allibito), che si diverte contro il vecchio rematore Alberto Martin. Lo spagnolo dall'aria malinconica da peone rassegnato, nulla può contro l'algido svizzero, che prova la gamba e tira isuoi colpi in sicurezza, neanche stesse passeggiando in riva al mare, godendo di una brezza refrigerante. Ad un certo punto si è fatto largo il timore che Federer si accendesse una bionda, tra un dritto, una smorzata ed un rovescio provato come stesse ischerzando il suo sparring abituale. Tanto per ravvivare l'ambiente, ma Mirka è contraria al tabagismo, si sa. Tre rapidi set, e nemmeno il fastidio di dove lavare la maglietta immacolata da umanoide sudore.
A margine, lascia ben sperare Youzhny. Lo squilibrato russo dal pregevole rovescio classicheggiante, soffre solo nel primo set contro il volleatore-servitore lussemburgese Muller. Un tipo da 3 su 5 (ma sui campi veloci). La curiosa sfida tra due soggetti strappati ad un trattato lombrosiano, va al cileno Massu sull'austriaco Kollerer. Tra l'altro, si sono mazzuolati come fabbri sghembi per cinque set. Gli organizzatori non avevano colpevolmente sconsigliato il match-rissa a cuori deboli, bambini ed anziani. Pare che un paio di sprovveduti spettatori, siano stati condotti all'attrezzatissimo nosocomio parigino. L'incostante serbo dalla tremebonda aria intellettuale, Tipsarevic, porta a casa uno dei match più equilibrati contro lo spagolo Montanes, uno avvezzo all'argilla, e pure in buona forma.
Capitolo Sharapova. La pin up russa, attesissima (come un ghiacciolo alla menta piperita, da lappare in alaska) aveva fatto il suo rientro a Varsavia, senza destare buone impressioni. E non è giustamente tenuta in considerazione dai bookmakers per la vittoria finale. Neanche nel quadro di pochezza disarmante che vive la Wta, nell'ultimo periodo. Di sicuro non ci si attendeva che a sgambettarla potesse essere la ritorta e scoordinata bieloriussa Yakimova. Ed invece Masha pare spaesata, ed arrugginita. I grugniti ed i pugnetti sono gli stessi dei tempi belli. E pure l'altezzosa spocchia da reginetta, che detesta l'olezzo di normalità tennistica avvinghiato al corpo delle sue improvvide avversarie. Ma non basta. Perde il primo 3-6. Come spesso accade, ci si concentra sui suoi colpi migliori. Nell'ordine: Un bel vestitino nero, con vezzoso alone azzuro, che parte dall'alto, fasciandole la candida schiena e si posa sulle sue terga regali. Il capezzolo impertinente, che malgrado il nero non agevoli l'operazione raffinata, ogni tanto allieta l'occhio (maniacale) dell'accaldato spettatore. Poi il ghiaccio tra le gambe, signorilmente coperto da un pietoso asciugamani. Persi in simili beltade voyeuristiche, ci si deconcentra dal tennis. E' la sua tattica del resto. D'improvviso però, la bionda siberiana si scrolla di dosso un po' di ruggine, domina il secondo 6-1, ed il terzo 6-2. Finisce paonazza in viso e viene da chiedersi come abbia fatto a lasciare un set ad un'avversaria così debole. Il tennis non è una sfilata, e se vuole tornare al vertice, dovrà remare. Sempre tra le donne, da rimarcare la brutalizzazione furente messa in atto dalla numero uno Dinara Safina, sempre più pachidermica e superfavorita, che si è accanita sulla povera inglese Keoutavonq. Doppio 6-0. Roba da invocare il telefono azzurro e le associazioni per i diritti umani.
Italtennis in chiaro scuro. Starace soffre, gioca male (ma non è una grossa novità) e perde il primo set al tiebreak col panda tedesco-russo Misha Zverev, che lo smarrisce con le sue voleé antiche e mancine. Poi sul finire del secondo, il gigante avverte uno strano malessere (persistono i misteri), e si ritira. Esultiamo. Il primo azzurro a passare un turno (per ritiro). Tocca accontentarsi. Al prossimo turno, il napoletano, sempre più marionetta sgraziata, avrà l'occasione della vita contro Murray (certo). Non ci si poteva aspettare nulla invece da Corinna Dentoni, alla sua prima avventura in uno slam. Ha già fatto il suo dovere passando le qualificazioni. Perde con onore contro la quotata magiara Svazay.
Prestazione a metà tra il film horror ed un documentario sul lazzaretto, per Flavia Pennetta. La brindisina, numero uno del tennis azzurro, ferma e pesante come la madonna nera di Medjugorie (la statua intendo), perde malamente il primo set contro la Glatch. Florida ragazzotta yankee dai colpi piatti e scolastici. Il match scorre via lento ed implacabile, e l'azzurra riesce nell'impresa di trasformare la volonterosa maestrina americana dalle gote rubizze, in Chris Evert d'annata: 6-1 periodico. E nemmeno un vamos patriottico. A meno che la fasciatura alla coscia sinistra non sia una buffa trovata di addetti al marketing con evidenti disagi mentali, è lampante come Flavia abbia dovuto giocare menomata. Ne sapremo di più, ma c'è da chiedersi perché l'abbiano messa in campo in condizioni francamente impresentabili.
Impresa di giornata per Bolelli. L'azzurro, dimostra come anche nel tennis, valga la benefica regola della panchina cambiata. Se non altro è sembrato più sgombro mentalmente. I fantasmi del passato hannpo cominciato ad aleggiare, quando ha letteralmente ragalato il quarto set all'avversario, il ceco Berdych, prima di vincere al quinto. Vittoria incoraggiante contro un avversario dotato (sopravvalutato più di lui e dal tennis dissennato), ma in buona forma. Piccola riflessione sul divorzio del secolo (Intendo Bolelli-Pistolesi. Tranquilli, lasciamo da parte le dolorose vicissitudini dell'amatissimo Premier). Non ho elementi per poter disquisire sulle questioni personali, le polemiche patriottiche ed altro, ed evito di addentrarmi (vi basti sapere che mentre giocava sul centrale tutto bardato d'azzurro contro Kholshreiber, io mi godevo l'ennesimo, meraviglioso psicodramma romantico di Marat). Ora, Bolelli gioca bene al tennis, si sa. Ha alcuni limiti tecnici (rovescio), atletici (spostamenti laterali) e di tenuta mentale, e pure questo si sa. Negli anni di lavoro con Pistolesi non ha ottenuto i risultati che avrebbe potuto. Pure questa è una realtà (la mia, indiscutibile). Ricordo ancora quando ci si addolorava per le sue incredibili sconfitte contro Del Potro, giocatore non all'altezza dei suoi mezzi tecnici (così dicevano i saggi). Ora quello è numero cinque al mondo. Il divorzio mi sembra una conseguenza logica per un ragazzo che ha 24anni, mica 19. Da semplice osservatore da poltrona, che ci capice poco o niente, mi preme solo azzardare come Pistolesi con Bolelli lavorasse soprattutto sull'aspetto psicologico, senza aver visto progressi tranne i lampi dello scorso anno. Giusto provare altro. Più difficile tentare di cambiare la propria indole.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.