.

.

martedì 2 giugno 2009

French Open - giorno 9 - Siamo tutti Cirstea




Il risveglio del giovin signore sonnecchioso. La quiete dopo la tempesta. Così sembra, a vedere Federer che sonnecchia come un principino annoiato sul centrale del Roland Garros. Con la sua solita maschera d'indifferenza, e consapevole superiorità tecnica, quasi non si cura di Tommy Haas. Proprio non lo considera. Eppure il 31enne tedesco è giocatore che ne ha viste, giocate (e qualche volta vinte) tante. Malgrado gli infortuni, da oltre un decennio lo vediamo portare il suo bel gioco offensivo ovunque. E qui a Parigi si è reso protagonista di lunghe ed inaspettate battaglie.
Primo set che si trascina svogliato, con l'elvetico falloso di dritto e svogliato, intenzionato a regalare il minimo sindacale. Poi accade che esagera, e quella vecchia volpe tedesca non si lascia scappare l'occasione. Porta a casa il primo set, poi recupera un break di svantaggio nel secondo. E qui l'indole da “giovin signore” dello svizzero, che si chiede scocciato tra se e se: “perché sprecare il mio talento ultraterreno, quando basta poco per far fuori quest'umanoide?”, rischia di trasformarsi in boomerang. Non fa niente di trascendentale Haas, ma Roger continua a gettare via dritti, incredibili errori non forzati, proprio non riesce a leggere il servizio di Haas. Perde il secondo 7-5, e dopo l'incredibile domenica, a Parigi si respira l'aria di un'altra incredibile sorpresa. Il terzo comincia allo stesso modo. Dritti scellerati, solo qualche guizzo di antica beltade elvetica. Annaspa Roger. Sul 3-4, di trova a giocare una palla break, che somiglia tantissimo ad un match point. Già me li vedo i soloni, avvezzi alle vicende tennistiche, sperticarsi in titoli e considerazioni sapienti: “L'ennesima dimostrazione che lo svizzero non ha carattere, proprio adesso che non c'è più Nadal ed aveva l'occasione della vita. Lo ha dimostrato appieno.”. Roger si gioca il break point delicatissimo con la seconda e sfonda col dritto. Mai dare per sconfitto prima della fine, chi ha dalla sua parte gli Dei del tennis, che lo accarezzarono, donandogli quello sconfinato talento, di cui ogni tanto si dimentica. Che spesso lo fa addormentare, cullarsi pigro nella consapevolezza che prima o poi viene fuori. Ed infatti riecco lo svizzero mostrare antichi fasti del suo tennis meraviglia. Il principe delle fiabe che si ridesta, danza e pennella affreschi sul campo. Haas continua a giocare come nei primi due set. E l'altro ora sembra tornato il marziano ingiocabile di due anni fa. Solo una fisiologica pausa ad inizio del quinto, poi chiude con una facilità disarmante: 6-7 5-7 6-4 6-0 6-2.
Tsonga Alì, ferma la sua corsa. Sull'altro campo si fronteggiavano Robredo e Kholshreiber, giustiziere di Djokovic. Il tedesco dimostra perché il suo tennis, tanto bello quanto completo, non basti per farlo entrare nel gota tennistico, ma si limiti ad estemporanei picchi. Non è accompagnato da un carattere adeguato. Cicca la prova del nove, e si spegne lentamente contro il modesto rematore iberico Robredo, 6-2 al quarto. Del Potro-Tsonga rappresentava il momento più alto della giornata. Il meraviglioso pugilatore-tennista francese fino ad ora ha sorpreso tutti, mostrando sprazzi di un tennis di cui non lo si riteneva capace sui campi lenti. Si è esaltato ed ha esaltato le platee parigine. Ha dato ed ha preso, confermandosi agonista e lottatore non comune. Oltre che tennista formidabile. Del Potro era l'ostacolo ultimo per farci capire se Jo avesse davvero ambizioni di vittoria finale. Soprattutto nella nuova situazione di tabellone, senza apparenti tiranni. L'argentino è uno che fino a 12 mesi fa era allo stesso livello del nostro Bolelli, ed anzi, qualcuno arricciò il naso dopo una sconfitta dell'azzurro contro Juan. Ora quello è numero 5, il nostro rema nelle retrovie. Il match comincia, e Tsonga non riesce proprio ad entrarci.
L'argentino atipico (se ce n'è uno), è un giocatore simile ad Alì Tsonga, tutto servizio ed accelerazioni poderose di dritto. Sicuramente meno esplosivo, certamente meno geniale e con minor tocco ed acrobazie feline in prossimità della rete. Ma a differenza del francese, soprattutto oggi, si mostra meno falloso, più costante, implacabile. Alì cerca invano di cominciare a giocare, prendere ritmo, ma niente. L'altro non gli consente nulla, troppo bravo nel togliergli il respiro, accelerare per primo, costringerlo alla difesa. Primo set rapido ed a senso unico, 6-1. Tsonga ce la mette tutta davanti al suo pubblico, cerca, almeno nei suoi turni, di utilizzare il servizio per prendere l'iniziativa. Quelli di Del Potro sono ingiocabili. 6-6 e tiebreak. Subito sotto di un mini-break, Jo tira fuori tutto quello che ha in corpo. Rema da dietro, spintonato da ogni lato, riacquista terreno, contrattacco furibondo e voleé divina di rovescio. Poi un altro dritto a sfondare. Serve per il set, seconda palla profonda ad uscire seguita a rete, e smash portentoso in sospensione. “E' pazzo questo ragazzo!” esclama Mac dalla cabina di commento. Un set pari, pubblico in delirio e la speranza di poter assistere ad un'altra partita.
Invece Jo si dibatte nuovamente nelle retrovie, asfissiato e tramortito da un argentino pressochè perfetto. Sevizio ed accelerazioni di dritto, piovono come grandine, ed impediscono a Jo persino di pensare di poter prendere l'iniziativa, e quando lo fa è troppo frenetico. 6-1 che somiglia tanto al primo set. Nel quarto Alì Tsonga serve bene, tiene, provando a rifugiarsi in un altro tiebreak emozionante, quando nel 4-4 si perde. Una sciagurata smorzata col campo aperto a tutte le possibili soluzioni, e break decisivo a consegnare il match: 6-1 6-7 6-1 6-4. Bene Del Potro, braccio caldo e cuore freddo. Ma bene anche Tsonga, al di là delle illusioni da tifosi, ha fatto più di quello che ci si attendeva. Lo aspettiamo a Wimbledon, dove potrà giocarsela davvero fino alla fine. Mi piace ricordare che con un mio amico ho fatto una scommessa: andare in pellegrinaggio a Medjugorie per assistere all'apparizione della Madonna, insieme a Paolo Brosio (allucinato dalle droghe sintetiche), se Jo non vincera sull'erba londinese entro il 2012.
Siamo tutti Cirstea. Giornata che sembrava senza picchi per la wta. Si accoppiano ai quarti Serena (in carrozza) e la randellatrice folle Kuznetsova (in semi carrozza). In tarda serata l'autraliana Stosur, spegne le speranze dei francesi e della Rezzano. Ma il match che accende la mia fantasia è quello che vede di fronte la serba Jankovic, alla diciannovenne rumena Cirstea. Match a senso unico, nelle previsioni e nel primo set. 6-3 per la serba dalle leve di gazzella e dal volto (più che) vagamente equino. Le basta il suo soporifero tennis difensivo tutto lobbate dal fondo, grandi corse e spaccate sfibra muscoli. Ora, la serba assieme ad Ivanovic e Sharapova prova ogni volta ad allontanarmi dal tennis femminile. Le accomuna un tennis costruito (male), monocorde, prevedibile e noioso. Certo, rispetto alle altre ha meno spocchia, pochi pugnetti e soprattutto non rantola agonizzante. Dalla sua però, ha un atteggiamento di perenne disgusto-protesta, ed un ricorso forsennato al medical time-out, anche per farsi curare un'unghia che ha perso la laccatura (un trendyssimo nero, tra l'altro), monologa senza soluzione di continuità, discute ad alta voce col suo (moderatissimo) clan di invasati. E ciò me la fa mettere sullo stesso piano delle altre flatulenti espressioni di un nulla fastidioso.
Ed il pubblico francese, che tanto stupido non è, adotta la ragazzotta rumena. Un bel peperino con la coda di cavallo corvina, che non ha paura di niente, attacca appena può, di dritto e di rovescio. Il secondo set è un monologo rumeno. 6-0, con tanto di apprensivo ricorso medico per la Jankovic. Jelena guarda il suo clan: “C'ho la bua”, sembra dire con gli occhi afflitti. Poi il punto dopo corre come una forsennata. La ragazzina non cade nel vile tranello, anzi, ora ci crede, comincia persino ad agitare il pugnetto sinistro. Terzo set punto a punto, con la serba che rema orrida da fondo, e la nostra eroina che sfonda, attacca all'arma bianca. Cirstea, che di nome fa Sorana, ha l'espressione ancor più guascona, lo sguardo furbetto. Si vede lontano un miglio che vuole rimenere aggrappata al match con le unghie.
L'avventura di questa adorabile ragazza rumena sembra finire sul 4-5, con la serba che va a servire per il match. Jankovic ancorata al fondo, e Cirstea che spinge, ancora meravigliosamente in vita. Il canovaccio è lo stesso: La rumena semi-sconosciuta che spinge e tira senza paura, l'ex numero uno che si limita a rinviare pallate dormienti dall'altra parte (quello è il suo gioco), aspettando che la giovane ed inesperta avversaria si smarrisca. Ma quella non ci pensa nemmeno, espressione più genuina di un agonismo positivo (altro che Mashe siberiane ed esagitate serbiatte). Incredibile 7-7, col pubblico che la sostiene, prova a spingerla all'ultimo e più difficile passo dell'impresa. La serba pare un cow boy pitturato e vestito di da donna, con tanto di buffa mise pre-maman. Cammina pesante, si ripiega come al solito su se stessa, come ad insultarsi o ad esultare. L'altra gli tira tre bordate negli angoli, poi chiude con un rovescio incrociato vincente e va a servire per il set. E viene giù il Suzanne Langlen, neanche giocasse una francese. Ti aspetti che a quella ragazzotta dagli occhi scuri e ridenti tremino le gambe, e che l'esperta serba tiri fuori qualcosa (se non altro l'esperienza). E invece Sorana mica trema. Si va a prendere altri quattro punti, e chiude con un rovescio incrociato magnifico. La serba esce senza salutare il pubblico, che regala la giusta ovazione per l'eroina rumena.
Un'orrid'uomo in fuga nel buio. La sera sembra calare, ma l'arbitro non ha mica voglia di rovinare la festa al pubblico francese. In un match da annoverare tra i più raccapriccianti esempi di non-tennis, l'eroe di casa Monfils e Roddick continuano a trucidare tennis, impassibili. Monfils rema sgraziato, col suo “bel” tennis atletico-difensivo. Una specie di insancabile portiere dal fondo, alla faccia del presunto infortunio al ginocchio, che ne aveva messo in forse la partecipazione. Roddick, che pure era sembrato più magro, mobile ed avvezzo alla terra, trova il modo persino di fargli fare qualche vincente. 6-4 6-2, facile per Gael. Il francese è uno che riesce a far giocare malissimo chiunque, figuriamoci l'americano che già di suo lastrica strade di puro orrore tennistico. Roddick proprio non ci arriva, continua a picchiare di dritto, con una specie di muro di gomma che gli rimanda tutto, fino a quando l'americano non va fuori giri. Andy si arrabbia con l'arbitro, oramai è calato il buio, ma quello non vuole sospendere. Proprio non se la sente di prolungare di un giorno lo scempio. Chiude nel buio Monfils: 6-4 6-2 6-3. Ed il francese zompetta in mezzo al campo (scoordinato anche in quello, ovviamente). Ora proverà ad uccidere anche il tennis di Federer.

Nessun commento:

Posta un commento


Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.