.

.

domenica 7 giugno 2009

French Open - giorno 14 - Svetlana Kuznetsova, vince l'antidiva




...ed anche antitennis, direbbe qualcuno troppo crudele. In una delle più brutte finali immaginabili, Svetlana Kuznetsova, approfitta delle amnesie angosciate di Dinara Safina. La contadinotta robotica tira dritto per dritto, per la sua strada. Non ha un bel viso, non ha il portamento da top model, non è invasata, Svetlana. Quei ruvidi ed arcigni tratti somatici da martellista dell'est anni 80, si sposano a meraviglia col suo tennis roccioso. Randella ad ogni occcasione immaginabile, apparentemente rivestita di una corazza d'indifferenza verso tutto quello che la circonda.
Fa quasi tenerezza Dinarona, la numero uno al mondo, alla ricerca fin troppo esasperata del primo titolo dello slam, come giustificazione al suo regno. Glielo fanno pesare, e lei ci cade. Ha triturato le avversarie nei primi turni, lasciando solo le briciole per strada. Poi nei quarti, col traguardo che si avvicinava, le prime avvisaglie del malessere interiore. Contro l'esagitata boscaiola Azarenka, parte con un set di handicap, comincia a parlare col suo amico immaginario ed invisibile. Persino nell'agevole semifinale contro la modesta Cibulkova, continua nei soliloqui, neanche stesse rimproverando severamente la sua pianta grassa, o il televisore. Non ha un carattere forte, questa gigantessa goffa, e lo si nota subito. Forse è lì, l'unico tratto che la accomuna al leggendario fratello, Marat. Una fragilità psicologica che la rende spaurita ed inerme. Deambula per il campo come un delicato mammuth, col viso da bambina pacioccona ed in disarmo. Sbaglia, sbuffa, lancia gridolini così acuti, che stridono con la sua corazza da simil giocatrice di sumo. E Svetlana Kuznetsova, connazionale sfavorita, continua a testa bassa per la sua strada, nemmeno fosse un automa. Dinara affossa servizi in rete, doppi falli in sequenza, come se d'improvviso le mancasse la forza di madare la pallina dall'altra parte. E' il cervello che dirige la mano, diceva qualcuno di importante, e l'erculea russa annaspa come un lento aratro sul campo argilloso, sotto un cielo grigio come cemento. Schiacciata dalla pressione di dover dimostrare di non essere una delle tante “numero uno per caso”, o peggio ancora, per la debolezza delle altre.
Svetlana Kuznetsova, che di professione fa la tennista, senza la benché minima voglia di ingraziarsi nessuno, o di mostrare un bel tennis, continua nella sua solitaria ed utilitaristica professione. Solo un flebile passaggio a vuoto, poi porta a casa il titolo, 6-4 6-2. Non è la pochezza di questa finale, ma l'insieme delle partite viste, a dover dare un quadro della wta in caduta libera. Tranne i divertenti assalti alle spocchiose diligenze di top (model) players in crisi, unico match (un filo) appassionante, è stato quello tra Serena e (manco a dirlo) Kuznetsova. Vince con merito questo roccioso robot russo, e fedele al personaggio, non si lascia andare all'emozione finale, per poi sfogarsi lanciandosi tra le braccia del suo clan. Piange invece il mammuth Dinara, muscoli possenti e mente fragile come cristallo. Questo è.

Nessun commento:

Posta un commento


Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.