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venerdì 26 giugno 2009

Ve lo racconto io, wimbledon - giorno 4 - Picasso Petzschner, e quella sottile linea del coraggio inconsapevole



Le verità del rosso saggio. “Levati di torno prima le faccende più tediose! Che poi il resto ti verrà facile.”, ripeteva sempre mio padre, nel mezzo di una colossale sbronza di vino. Ed io lo ascolto. Chissà se da lassù (o giù) vedrà in che modo scellerato utilizzo le sue perle di saggezza contadina. Tocca dunque esordire con Ana Ivanovic, e chi altri. La serba dal volto di cerbiatta e la spocchia da salamandra urticante, era opposta a Sara Errani. La maestrina italiana sembra proprio non avere difficoltà, serve pure per il primo set. Poi un pugnetto via l'altro, la sportivissima serba mette in fila sei giochi, e addio Pepp. A margine, 132 pugnetti, con annesso urletto di guerra (rigorosamente in lingua serba), e vezzosissimo saltello coordinato. Semplicemente atroce. Ogni volta, mi si spezzano in due le meningi dall'emozione, e mi pervade la voglia di eclissarmi nella placida quiete del campionato regionale di vela. Ma come? Obietterà qualche sprovveduto. Se di punti ne ha fatti solo 68? Ma che diamine, gli altri godibilissimi autoincitamenti li ha elargiti al cambio campo, tutta fiera ed isterica per aver ingurgitato il suo beverone energetico senza farlo sgocciolare, e una dozzina in faccia ad un raccattapalle, che le porge una una infida pallina, lei la afferra con grande stile, e si carica con veemenza per il bel gesto tecnico. Ora, io non azzecco un pronostico dal 1992 (McEnroe/Stich-Grabb/Reneberg 19-17 al quinto, nella finale del doppio di Wimbledon), ma se il curioso esemplare serbo dovesse vincere Wimbledon, apro un chiosco di grattachecche al limone, in Lapponia. Continuano a triturare avversarie Venus Williams, Kuznetsova e Safina, ma il leggiadro urangutan (che ripeterò fino allo sfinimento: non è sorella di Marat), ha faticato un pochetto. Il suo tennis badilato e pachidermico soffre i rimbalzi veloci.
Cavando altri denti senza anestesia, stellone italico in chiaroscuro. Andreas Seppi vince al quinto la prosecuzione col francese Giquel, in un match che per congiunture astrali avverse (il gatto aveva le paturnie e voleva rosicchiare l'immortale copia di “Affinità e divergenze tra il compagno Togliatti e Noi -del conseguimento della maggiore età” dei CCCP) non ho seguito. A quanto mi hanno riferito due reduci stremati, prova maiuscola dell'altoatesino, autentico leone indomito, uno che accende la fantasia e l'entusiasmo quanto una intervista post gara di Gustavo Thoeni. Il nostro montanaro erbivoro (Gesù perdono), ora trova Andreev. E può anche vincere. Il russo è chiaramente di un livello superiore, ma sui prati sembra Podenzana sul mont-ventoux, e al terzo ci è arrivato battendo degli ectoplasmi vaganti. Un altro fastidioso terricolo miracolato da un tabellone pasquale è l'iberico Ferrer, che oggi ha annichilito Fognini, nenche fosse “er canaro” (ma con un po' più di ferocia). Lo spezzino continua nella gustosa imitazione di McEnroe e Safin messi assieme, giocando peggio di un Berasategui azzoppato. I primi due si disperavano in modo furente perché non gli riuscivano punti facili, per loro. Il nostro va fuori di senno perché certe cose proprio non le sa fare, e pare chiedere agli dei malvagi “Perchè? Perché??”, di continuo. Bene così, sicuramente il nostro miglior tennista. Lo disse il grande Tommasi dopo una probabile ciucca estemporanea e una statistica. Lo confermo io. Quale miscredente sarei per non confermare la bibbia? La Binetti mi manderebbe al confino o mi strozzerebbe con un preservativo peccaminoso.
Avanza in scioltezza Flavia Pennetta, cede Tathiana Garbin contro la sempre fastidiosa (per gli italiani) spagnola Medina Garrigues, caduta prevedibile di Potito Starace contro Radek Stepanek, tremendamente inaspettata nel risultato. Il nostro impavido eroe italico, giammai domo, si arrende stoicamente solo al quinto set con maschia compostezza. Questo si rinverrà negli archivi dell'istituto luce. Al ceco gli dei hanno donato una buona mano tennistica, per compensare il pasticcio fatto col viso (Immaginate di guardarlo al mattino, appena svegli. Assieme ad una struggente canzone della Pausini ed una poesia intimistica di Sandro Bondi. Ecco l'idea che io ho della morte). Niente da fare dunque per il napoletano, che vaga per il campo con l'espressione dell'italiano all'estero, spaesato, teatrale e caciarone. Lo porta al quinto, ma poi si arrende. Troppo forte e più a suo agio sull'erba, l'elegante ceco, malgrado un lento declino.
Seconda puntata dell'Andy-mania. Gli inglesi fibrillano elettrizzati e spetazzanti. Avversario dell'eroe di “casa” (vabbè, quella che vogliono credere loro), il lettone Gulbis. Ragazzone dal volto implumbe (simil Krajicek), con fisico e mezzi tecnici straordinari, ma che quest'anno non ha ancora vinto due partite di fila, ed a soli vent'anni è già avviato ad una carriera da “eterna promessa non mantenuta”. Lo affermano con convinzione, gli stessi che considerano il 24enne Simone Bolelli un giovanotto di belle prospettive, appena matura un pò. Impegnato in cose più serie, vedo solo qualche sprazzo, ma mi pare che il lettone proprio non riesca mai ad iniziare la partita. Da rivedere Gulbis, potenziale nuovo Safin, esattamente come Dimitrov è un possibile Frederer, e Fognini un potenziale mix tra Agassi e Sampras, con uno spruzzo estroso di Corretja. Murray avanza, e fino ad ora gli basta ributtarla di là con nobile svogliatezza.
Per la serie a volte ritornano, ed io continuo a cannare pronostici in serie, l'australiano Hewitt trafigge in tre set la testa di serie numero 5, Juan Martin Del Potro. L'argentino smentisce quello che pensavo, e dimostra come i suoi 193 centimetri proprio non riescano a piegarsi a dovere, per poter giocare in modo efficace sui prati, e malgrado i tentativi di rimetterlo in vita dell'australiano, cede nettamente in tre set. A nulla serve il suo braccio veloce e portentoso, i colpi rimangono in canna al mitragliere fumante. Rimandato in altri luoghi. Hewitt vince, con l'anca nuova è recuperato a livelli dignitosi (che non saranno quelli dell'anno di disgrazia 2002), ma da buon australiano l'erba la mastica bene, più che altro la bruca (se si pensa al modo in cui la domavano i connazionali Rafter o Cash). Possibile quarto di finale contro Roddick (che oggi ha concesso le briciole ed un set al miracolato Kunitsyn), geniacci maledetti tedeschi che gravitano lì vicino, permettendo. A margine, il nosferatu di kinskiana memoria, Davydenko, dispone con relativa facilità del volenteroso (e pochissimo altro) rumeno Crivoi, dimostrando molto meno dei suoi 82 anni anagrafici. Saluta Wimbledon “magician” Santoro, il piccolo grande Fabrice ci ha anche provato, ma oggi era troppo più forte Ferrero. Il minuscolo maghetto vince pure il primo set al tiebreak, mostra più tic nervosi del solito, quegli scatti occhio-testa-collo-bocca-collo-testa, che tanto me lo fanno somigliare a Mort Rainey, schizoide scrittore assassino in un film di Johnny Depp. Mancheranno a tutti gli amanti del godimento tecnico, le sue stilettate, palle morte, i colpi di tricotage, e quelle scucchiaiate con la palla che pare adagiata da una mano invisibile.
Avevo solo una sbronza accennata, quando sul campo 12 entrano gli eroi di giornata. Philippe Picasso Petzschner e Mishione Zverev. A qualcuno potrò sembrare matto. Chi tifa le coppe di Federer, elogia l'inumana forza bruta di Nadal, o (persino) “l'adrenalinica” presenza scenica e le pallate bradipesche di Djokovic, giammai potrà capire cosa spinge la mente di un uomo a seguire con gioia quei due curiosi esemplari di tennisti, personificazione visiva del paradosso. Un nulla meraviglioso e leggero. Elogio del perdente? Plausibile. Immedesimazione nel caso clinico da neuropsichiatria? Probabile. Semplici amanti del bello estemporaneo e fine a se stesso? Condivisibile. Dissennato osanna di “cazzari del tennis” che partoriscono evoluzioni tecniche circensi e che giammai faranno un quarto di finale in uno slam? Ci sta tutto (ma il quarto mancato, è tutto da vedere). “Se fossi nato all'epoca avrei tifato per Sparta e non per Atene”, parole e musica di Faber. Fatto sta che i due danno vita ad una partita divertente, per chi si accontenta di quello. Le bizze dello streaming mi fanno perdere l'inizio (ripeto l'appello: un qualsiasi visitatore abbiente - anche omosessuale - che s'imbatta casualmente nel mio blog, mi regali una parabola, perché non ho una lira in canna e rischio ogni giorno di finire in una casa di cura per menti problematiche). Strepito un po', smoccolo e mi sgargarozzo due birre sudate in fila. La partita è tesa, ammetto di ammirare entrambi, ma il mio cuore malato pende per il surreale Picasso-scasso. Con quella faccia ritorta che pare calamitata sulla terra da galassie aliene ed incuranti, perde il primo set, sbaglia l'impossibile, mette con costanza meno del 50 per cento di prime palle, si ostina a sfinire l'avversario con rovesci in back che aprono in due il campo e l'anima (ok, ok, sto cedendo al sentimentalismo e tra poco scriverò di stelle e amore, e dovrete ammazzarmi a fucilate nelle tempie), e continua, tra errori a grappoli (Settanta? Ottanta? Arriverà a cento? Boh), stilettate micidiali, aces mentre l'avversario è ancora girato, attacchi profondi e voleè ricamate, prima di farne morire altre due in modo raccapricciante a metà rete, col campo aperto. Fa salire l'ansia Picasso, è qualcosa che non ti riesci a spiegare. Stà tutto lì. Ma è divertente così, meglio che sfinirsi le meningi con arrotatori impazziti strappati alla mezzadria.
Poi riprende con i tagli di rovescio che riducono il campo in tante listarelle danzanti e surreali, si sostina sul dritto mancino raffazzonato dell'avversario, per poi partire con accelerazioni nascoste, rovesci lungolinea che non fai nemmeno in tempo a vedere, ad intuire nemmeno come evenienza folle. Salgono alla mente le parole della piccola-grande Roberta Vinci, altra deliziosa quasi-talebana del back di rovescio: “Certe avvesrsarie sono proprio stupide, continuano a picchiare come forsennata senza guardare, ed io mi diverto a farle impazzire col rovescio in back. Certe volte batterle è proprio una goduria.”. Deve pensarla quel modo anche il buon Picasso, in modo involontario, ovvio. Il problema che Zverev non è un volgare picchiatore accecato, non è Tursunov, per dirla tutta. Gioca un tennis brioso e piacevole, senza pretendere altro. Ed oggi pare intelligente, non rischia nulla, aspetta l'errore (puntuale come un orologio svizzero) attacca con giudizio appena può sul dritto dell'avversario, per chiudere con voleé pregevoli. Visto che è un match paradossale, Zverev prende la rete con minore frequenza sull'erba, di quello che gli avevo visto fare sulla terra a Roma ed in altri tornei minori. Ma sarà che sono già alla ottava birra. La sa lunga il ricciolone timido, amico mansueto del guascone pazzo Marat (giusto per dare peso all'assurdo). Prova a progettare la stessa partita assennata che gli vidi fare ad Halle col randellatore scriteriato Berdych. Lavorarlo, muoverlo e attendere che l'altro tirasse sugli spalti palline dense di raccapriccio. In parecchi usano quella tattica con Petzschner. E 99 su 100, quello la partita gliela regala, senza fare tanti problemi. Ma nemmeno Picasso è Berdych. Vince il secondo in un incredibile tiebreak 15-13, degno di McEnroe-Borg d'annata (quando scrivo queste frescacce consapevoli, gonfio il petto di soddisfazione). Il placido mancino russo-tedesco vince il terzo in carrozza, con Picasso versione scassa che continua a non mettere prime ed inanellare gratuiti degni del museo dell'orrore, doppi falli in sequenza (arriverà in doppia cifra?). Nel quarto appare finita, il nostro pittore svalvolato si issa al tiebreak con fatica, ma sul 2-5 sembra davvero pronto per la doccia, o per sbattersi la testa contro il muro (probabile). Ed è lì che a Picasso si accende la luce dell'insano, dell'inconsapevole. Coraggio che somiglia alla follia. Quella stessa che gli fa dire a sua maestà divina e celeste che danza sulle nuvole, Federer: “Così tu saresti quello che ha talento, come me?”. Il sempre sottilissimo filo che separa il coraggio dall'incoscienza di chi il cervello non ce l'ha. Ma in certe occasioni, serve non avere cervello. Ecco perché picasso ogni tanto vince. Gli rimangono le partite, dove quell'inutile orpello non serve. Inanella cinque punti di fila, e porta a casa il set, 7-5. O semplicemente l'altro ha il killer istinct di un porcellino d'india. Chi può dirlo? Le due cose spesso vanno di pari passo.Il quinto set non esiste, per Misha, ma anche per me. Colpa della birra e delle immagini sgranate e saltellanti. Quell'altro zompetta come un satanasso resuscitato, Zverev si affloscia pesante, nella coltre di nebbia del mio video, raccatta quattro o cinque punti, fermo sul campo, nemmeno risponde più. Si è fatto la bua o è semplicemente avvilito e stanco? Può essere tutto, stavolta ha il buon senso di non ritirarsi. Sicuramente perde una partita che ha provato a farsi regalare, invece di provare a vincerla, come poteva. E per poco non ci riusciva. Se quell'altro non avesse usufruito di tutto il suo pseudocoraggio-incoscienza-inconsapevolezza-chisenestrafottismo. Paradossi dunque. Chiamatemi Socrate sbronzo. E adesso avanti con Hewitt, con la semifinale nel mirino. E poi passa l'effetto. Domani gioca Federer. Amen.

4 commenti:

  1. Ciao Ottanta/cento. Hai una parabola? Su Marat/Dinara, non cascarci anche tu. E' un'invenzione della pubblicità. Sarebbe la prova lampante che la teoria sui geni, è una balla colossale. Non c'è nessuna parentela tra i due. Pe me è così. Ciao.
    (uh che emozione, un commento ricevuto.)

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  2. Ma sai che quando oggi ho visto la partita di Petzschner contro Hewitt, mi sono ricordato del tuo blog?
    E le emozioni passano a due.

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  3. A furia di emozioni, il mio povero cuore cederà. E che hai pensato vedendo la parita? Che sono un miserabile pazzo? (non avere timore) non saresti l'unico. =)

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.