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domenica 28 giugno 2009

Ve lo racconto io, wimbledon. Giorno 6. Facce nuove per la wta, Oudin e Lisicki




Lo chiamavano il cimitero dei campioni, in tempi lontani. Oggi impegnata su quel prato oramai spelacchiato, sgroppava leggiadra la nostra sorella di Varenne, per i freddi annali Helena Jankovic. La serba aveva il suo bel da fare contro la volenterosa teenager statunitense, Melanie Oudin, numero 123 al mondo e proveniente dalle qualificazioni. Volto da liceale yankee, che pare rubata ad una puntata di bayside school. La serba dal volto equino comincia nel suo esercizio preferito: pallate insipienti e monocordi, mai un rischio, mai un vincente. Non ha proprio il colpo finale, puro atletismo senza braccio. Continua a correre come fosse sullo sterrato di capannelle, e null'altro. La biondina americana non è certo un fenomeno, ma tanto basta. Viene da cinque battaglie vinte, tra qualificazioni e torneo principale. E' piccina di statura, corre, lotta, tira quando c'è da tirare. Ha una bella testa piantata nella partita, tutta tic, nervosa, frenetica, ansiogena. Si fa prendere dall'inesperienza dei diciassette anni proprio sul più bello, e perde il primo set al tiebreak. Poi ecco quello che ci si attende sempre da un momento all'altro, nelle partite della Jankovic. “Medical time out” oscenamente tattico, a sottolineare la proverbiale sportività della serba, che ben si appaia alle urla forsennate del suo sobrio e misurato entourage, sugli errori della giovane avversaria. La serba pare abbia accusato un mancamento, o qualcos'altro di misterioso. Avviene ad ogni partita. Le serve solo per tirare il fiato (neanche avesse 56anni) e rifare la zoccolatura. Ma nemmeno la sosta vigliacca stronca la resistenza mentale della giovane americana, che ha carattere e cattiveria sportiva genuina da vendere. Rimane aggrappata alla partita con le unghie, mentre l'altra seguita a lobbare e ad imprecare sui vincenti dell'avversaria. Cose che gli umani stentano a capire. Monologa, urla. Si crede una campionessa e pure bella, con quella mascella equina da incubo notturno ed i colpi soporiferi alla valeriana scaduta. Guarda il suo angolo, smarrita. E i semi ergastolani che lo occupano, la incitano con terrificanti grida di guerra, facce irose e ritorte che avrebbero fatto impazzire Lombroso. Oudin vince il secondo set e s'invola nel terzo. Jankovic caracolla, sempre alla ricerca perenne di qualcosa. I colpi che non ha, il coraggio d'inventarsi qualcosa. E il giovane leoncino americano porta a casa il match. Presto per parlare di nuovo fenomeno, eccessivo citare il “cimitero dei campioni”. Quando mai la Jankovic è stata una campionessa.
A proposito di volti nuovi. L'altro appartiene ad una diciannovenne ragazza tedesca, Sabine Lisicki, che non è una semi carneade come Oudin, ma già avvezza a discreti palcoscenici. Oggi però le riesce il gran colpo. La bionda tedesca tramortisce la campionessa uscente di Parigi Svetlana Kuznetsova, mai in grado di prendere il ritmo forsennato ed esplodere la sua proverbiale roncola furente, sui rimbalzi erbivori. Ora, la tedesca che vogliono venderci come la nuova Graf, ad un primo sguardo pare soltanto una possibile Sharapova (e già l'originale mi sembrava bastare). Volto tignoso da bizzosa e infastidita reginetta sul pisello e fisico da modella, sopra clavate possenti e un truce agonismo fuori luogo. Per la serie, non ci libereremo mai dall'orrore. A proposito di quest'ultimo, agevole successo della serbiatta Ana Ivanovic, che si sbarazza in due set di Samantha Stosur, estemporanea intrusa nelle semifinali del Roland Garros. Visto che porto fino in fondo le cose, e non ho paura, ribadisco la mia promessa: apro un chiosco di grattachecche e ghiaccioli alla menta piperita in Alaska, se l'isterica urletti e pugnetti vince Wimbledon. Ed anzi raddoppio: mi iscrivo pure alla scuola di politica delle libertà (a seconda). Unico inghippo, quanto si paga? E qauali sono le credenziali? A tette non sono messo benissimo.
Amelie Mauresmo batte in due set Flavia Penetta. La brindisina paga una crisi a cavallo tra la fine del primo e l'inizio del secondo set. Amelie, oramai prossima ai trenta, ogni tanto mostra sprazzi divini di un passato nemmeno tanto lontano. Ok, oggi ha una classifica peggiore della brindisina, ma Wimbledon lo ha vinto (nel 2006, mica nel 1978), e al tennis gioca 106 volte meglio della nostra. Flavia poteva anche vincere, ma ha perso. La sintesi del nostro tennis. Da decenni.
Una truculenta esecuzione si paventava per il mio adorato pulcino Carla Suarez Navarro, sul centrale. Letteralmente brutalizzata da Venus Williams, che, memore della sconfitta subita all'Australian Open, prova un certo sadismo nell'infierire. 6-0 2-0 e debordante ostentazione di muscoli da parte della venere nera. La piccola iberica, così bruttina ed indifesa, fa una tenerezza infinita (guardare foto, please). Zoppica pure un po', complice il ginocchio ballerino. Tutta ritorta, coi denti da roditore ed il buffo gonnellino che svolazza da un lato all'altro, sembra ancora più piccola di quello che è. Il solo braccio opposto alla forza virulenta e distrutttrice di un tornado spaventoso. Osservo qualche flash, impegnato come sono a vedere le evoluzioni di Petzschner sul campo 2. Poi il pulcino prende a disegnare evoluzini coraggiose, e appena colpisce la palla, la ranocchia diventa principessa che inventa tennis. Dipinge angoli e traiettorie deliziose con quel rovescio così prezioso. E si porta sul 3-2, c'è vita nel pianeta tennis. A un certo punto osa una smorzata ricamata di rovescio, la meravigliosa statua d'ebano s'avventa con furia, rimanda di là un rovescio profondo, e Carla la ischerza con un pallonetto irridente. Qualcosa che somiglia al 6-0 appena subito, una speciale rivalsa. Trova anche il tempo per lanciare alla gigantesca avversaria un'occhiata di sfida, come un tigrotto di Mompracem. Pazienza che poi abbia perso 6-4. A noi smidollati, amanti del gradevole fine a se stesso, va bene così. Ci saranno tempi migliori per Carla.
A margine, per una volta, il tennis maschile. Seppi perde la prosecuzione con Andreev, pagando la solita partenza al cloroformio. Solo che, essendo questa partenza fissata sul 5-5, è equivalsa ad una rapida ed indolore fine. Buono comunque il suo torneo. Con il solo rovescio incrociato, non poteva fare molto altro. Tommy Haas vince la prosecuzione di una partita che aveva già vinto, poi quasi perso. 10-8 al quinto su gibbone Cilic. Ottavo alla portata contro Andreev, mi accontenterei di vedere il buon Tommy appaiarsi a Djokovic nei quarti. Berdych tritura senza pietà il draculesco Davydenko, mai come oggi con le sembianze di un mucchietto di ossa messe alla rinfusa. Il giovane ceco, oramai da anni (tre? Quattro?), viene indicato da fior di intenditori di professione, come autentico fenomeno. Un puledro di razza, al punto da considerarlo come alternativa credibile al duopolio Federer-Nadal. Il problema è che ha messo in fila una serie di orrori tennistici, con partite buttate via, palline scagliate in modo dissennato tra i distinti. Più che promessa, rischia di diventare uno dei più grandi bluff della storia. A vederlo ci si chiede angosciati cosa gli manchi. Un allenatore o il cervello. Ma qui sembra intenzionato a fare sul serio. Attendiamo impazienti (ma anche no) conferme dal confronto con Roddick. L'americano concede il solito set di commiserazione, al sempre più “flatulenza arricciata” Melzer. Il mancino austriaco ogni tanto fa un punto strepitoso, e si chiede come mai gli è uscito. Probabilmente gli hanno impiantato il cervello, come Frankenstein. Primo ed unico esempio di tennista inconsapevole, per il quale invocare l'incapacità di intendere e volere. Passano agli ottavi Gilles Simon e Stanislao Wawrinka, ed io (faccio ammenda), proprio non me ne sono accorto.
Nel solito tripudio di ottusa eccitazione inglese, lo scozzese Andy Murray ridicolizza il serbo Troicki (pronunciato Trozky, tanto per dire). Talmente rilassato ed a suo agio per la mancanza di un avversario, Andy, che gli riesce tutto. Prova colpi sensazionali, mostra la varietà del suo gioco, e tocchetti irridenti che mandano in sollucchero gli spettatori eccitatissimi (compreso il sempre misuratissimo e giammai logorroico John McEnroe, in cabina di commento). Viene da chiedersi cosa potrebbero combinare gli inglesi, nel quinto set della finale con Federer (credeteci pure, non costa niente). Il povero Troicki, viene sbattuto da un angolo all'altro, e poi infilzato come inerme pupazzetto delle giostre. Ma lui, come ercolino sempre in piedi, seguace della integralista corrente “serbiattesca”, continua ad ostentare pugnetti fuoriluogo. Sul 6-2 6-3 5-3, eccolo lì che lo rotea al cielo, ma con l'espressione di una triglia in salamoia, pronta ad essere servita come contorno. Ci crede davvero o è solo una forma di trombosi al cervello? Assuefazione alla deprecabile cultura cui li hanno abituati? Rendono questi ragazzi dei fantocci inconsapevoli, svilendo lo stesso significato di agonismo. Un match di Jimmy Connors in videocassetta, insegnerebbe loro qualcosa, su cosa significa essere un combattente autentico. E non si insegna, invitando al pugnetto. Vince dopo una battaglia di cinque set, Ferrero, su “mano de piedra” Gonzales. Lo spagnolo conferma il buffo paradosso di essere un terraiolo che gioca meglio sull'erba. Non ha i colpi pesanti del cileno, non ha il braccio dorato di altri, ma gioca un tennis regolare e completo, e sembra conoscere l'erba come pochi, e contro Simon può anche rinviare il suo capolinea. L'elegante serve and volley di Radek Stepanek, prevale sull'arrota e rattoppa dello spagnolo Ferrer, in un altro quinto set. Il ceco, che di anni ne ha 31, complice quel viso pasticciato ed il gioco anni '70, da almeno cinque anni viene considerato vecchio, ed ora sfida Hewitt negli ottavi. Finisce proprio contro il solido muro del ritrovato australiano, la favola (personale) di Petzschner. Oggi né scasso, né Picasso. Semplicemente Petzschner, un giocatore di tennis. Lo si nota subito, dai primi scambi. E' concentrato, sbaglia niente, serve bene, concede poco. Ed è normale che perda, lo conosco il mio pollo. Quando prova a fare il tennista, perde 100 volte su 100 (invece che 99 su 100). Troppo esperto e paziente Hewitt, che riesce a domare i back stordenti di Picasso. L'australiano non è un giovane picchiatore smidollato alle prime armi, e sa come assecondare i rimbalzi bassi e velenosi. Tre set combattuti e fine di un torneo onorevole (per i suoi standard). Più non si può (e deve) pretendere.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.