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sabato 4 luglio 2009

Wimbledon, e la regina soffocò Murray




L'Inghilterra tutta, è in lutto sportivo. Non ce l'ha fatta l'adorato idolo di casa, nato nell'odiata Scozia. Scene di strepitante isteria collettiva, elettrico sovraeccitamento, titoloni sui giornali, megaschermi e visibilio totale per l'impavido eroe, da sospingere alla vittoria ad ogni costo. Urletti prima di trepidazione, poi apprensione, dopo di disperazione vera, alla fine di mero sconforto e costernazione. Avevano imposto al povero scozzese iracondo-indolente di vincere Wimbledon, quasi fosse una disposizione imperativa della monarchia. Ci avevano già provato con Tim Henman, per un decennio buono. E quello, inglese di nascita ed erbivoro purissimo, si fermò quattro volte in semifinale. Quest'anno hanno letteralmente soffocato Murray con la loro ottusa ed accecata mania, e martellante voglia di successo dopo oltre settant'anni.
La Andy mania ha pervaso tutto, rendendolo francamente insopportabile e teatrale, quasi come i pacchiani vestiti color pastello della ingessata regina, e le sfilate nell'auto placcata in oro. Annesso tifo sviscerato ed antisportivo degli spettatori sugli spalti, che per una centenaria tradizione di signorilità del tempio del tennis, nessuno prova a rimarcare a mezza voce. Ma se questo può passare in secondo piano, assolutamente insensato è quello che hanno creato attorno ad un ragazzo, che malgrado l'aria di indifferenza menefreghista, non ha potuto non pagare. Una cappa psicologica che alla fine non è riuscito a sostenere, caricato com'era dall'obbligo di dover rappresentare il Regno Unito sportivo, completamente impazzito d'euforia. Invece di una spinta, è stato un abbraccio mortale. Già in un post precedente scrissi “la regina soffocherà Murray”. Ma questa volta non c'è da vantarsi di un simile pronostico. Lo avrebbero capito tutti. Tranne gli accecati inglesi, che gli chiedevano “E' l'ora dei Fatti.”. Quasi il loro eroe fosse numero uno al mondo da un decennio, ed avesse sempre cannato l'appuntamento di casa. Andy è nient'altro che il numero tre al mondo, e quest'anno, vista l'assenza di Nadal, poteva raggiungere la finale. Niente, ma proprio nient'altro che occhi liberi da tifo forsennato, potessero intravvedere. La finale pareva possibile, pensare di poter battere Federer, assoluta fantascienza suicida, montata in modo scriteriato ed autolesionista. Lo svizzero attuale viaggia almeno due categorie più in là. Gli hanno chiesto la vittoria, e non sanno di avergli sabotato una finale, che pure era alla portata. Murray è solo un selvatico ragazzo scozzese, che se ne sbatte della regina e del titolo da riportare in Inghilterra ("La lettera di congratulazioni della regina? L'ho messa in una pila diversa da quella delle bollette...", tanto per decifrare il personaggio). E non ha potuto esprimere la sua libertà selvaggia. Lo si vedeva oggi, lo si era intavisto all'esordio con Kendrick, ancor più nitide avvisaglie le avevamo avute contro medioman Wawrinka.
Oggi, raramente riesce a giocare come può, a liberare il braccio nei momenti cruciali. Dall'altra parte, Roddick fa il suo solito mestiere, gran servizio e drittoni a tutto spiano, dietro la visiera incorporata e con gli occhi invisibili. Ma mostra anche segnali di una crescita tecniche di cui non lo ritenevo capace. Sul rovescio soprattutto, nei sempre più frequenti fluetti-smorzate, nel coraggio di rischiare nelle situazioni delicate e gettarsi a rete in modo efficace. Murray invece comincia contratto, lo si nota dalla percentuale di prime, che rasenta il tragico 40% nel primo set. Prova, come al solito, ad anestetizzare l'avversario, con palle morte, per poi accelerare e scavare angoli. Il resto è un mare di errori e forsennate corse da un lato all'altro. Lo scozzese è si splendido difensore, nonché tattico raffinato. Pochi come lui riescono a leggere le debolezze dell'aversario e poi ad infierire. Ma quando quell'altro tira dritto per dritto, e non da segni di cedimento, è puro masochismo continuare a remare dal fondo. Stritolato dalla pressione e dal suo atteggiamento a tratti rinunciatario, quasi schiavo dell'appellativo di “nuovo gattone”, che nelle situazioni topiche (vedasi tiebreak del terzo) diventa pallettaro qualsiasi, in catarsi neurovegetativa. Ad intermittenza affonda rovesci meravigliosi, lungolinea ed incrociati, qualcuno con elegante balzello. E' teso e fors'anche infastidito dal tanto trepidare smanioso segli spalti. Indecifrabile per gli avversari, e talvolta per se stesso. Incomprensibile anche il suo volto, tratti efebici da baronetto british, solcati da spigolature che trasudano odio sdegnato. Improvvise urla selvagge ed iraconde, di puro odio, che stridono con l'espressione scocciata, indolente e perennemente accigliata. In un connubio chiaramente schizoide e fuori luogo. A volte scampoli di gattone Mecir, molto spesso sembianze dormienti di Wilander (senza coraggio e di 44anni). Atteggiamento a tratti da viziato nobile british, altre volte da rissoso frequentatore di pub malfamati. Che poi forse è la stessa cosa. Non può non destare odio genuino, Murray. Sarà anche per questo, che mi affascina il personaggio, e ne apprezzo anche gli sprazzi di tennis leggero come brezza fluttuante.
Oggi però, ha sbagliato tutto. Ha provato a scrollarsi via la cappa con dei “c'mon” rantolati a pieni polmoni, di pura e bestiale tigna, che ben facevano il paio con quelli della ancor più instabile mamma sugli spalti (una specie di attempata hooligan in gonnella degli Hibernians). Quando avrebbe solo dovuto liberare il braccio, e giocare con più pelo sullo stomaco i punti importanti. Invece a mostrarlo, specie nei due tiebreak finali, è Roddick. Ed in finale ci sarà lui, come è giusto che sia. Americano che alla fine quasi si scusa col pubblico, disperato ed incredulo. Più solido e centrato nel match, più libero mentalmente, cresciuto ed esperto per arrivare in fondo negli slam (vincere è un'altra storia). Lo scozzese è un giocatore in crescita, e magari un giorno vincerà sui prati inglesi, se lo lasceranno libero, o se prenderà la nazionalità del Buthan. Altrimenti gli inglesi rischiano di farne l'ennesima vittima di un sortilegio, ed i 71anni di attesa per vedere un britannico in finale, diventeranno 120.
Nella semifinale precedente, vissuta nell'attesa dell'eroe (e con i supporters che facevano le prove generali degli “oooohhhh” ed “eeehhhh”), vince facilmente Roger Federer su Tommy Haas. Niente ha potuto il bravissimo tedesco. Troppo superiore il despota elvetico. Tirato a lucido, in versione marziano che suona Mozart e danza come Nureyev. E' la situazione che più gli si addice. La superiorità disarmante. Non avere la parvenza di un avverrsario all'altezza. E non è mica colpa sua, se rende tutti degli agnelli immolati e rassegnati. Il primo set lo vince al tiebreak, il secondo 7-5. Le cronache parleranno di parziali combattuti. La realtà dice che la partita non è mai iniziata. Haas fatica le pene dell'inferno per mantenere il servizio, attacca con maggior criterio rispetto alla partita con Djokovic, che al confronto gli sarà sembrata un giro al luna park. Il tempo che il bradipesco serbo gli lasciava per attaccare la rete, con Federer se lo sogna. Attento ad attaccare con cura e schivare i passanti velenosi e stellari dell'avversario, quasi di controbalzo. Assolutamente incapace di fronteggiare il numero uno svizzero sul suo servizio (che concede 0 - zero – palle break). Nel terzo set ci si mette anche un fallo di piede (ce ne saranno stati due o tre in tutto il torneo) chiamato al povero tedesco, da un giudice di linea smanioso di pubblicità, e che mai avrebbe osato infliggerlo a Murray o Federer. E infatti, Tommy cede sevizio e le ultime resistenze. Ma non è quell'inutile accanimento beffardo contro il debole a decidere l'incontro. Troppa la differenza che si è palesata oggi tra i due. Complimenti comunque al vecchio bucaniere tedesco, autore di un colpo di coda degno di merito. L'avvilimento per il povero tedesco sconfitto, passa presto. Il tempo di scorgere sugli spalti l'agitata e bellissima fidanzata dai fluenti capelli biondi e le lebbra imbronciate, proprio una fila sopra alla sempre più filiforme signora Federer in dolce attesa, Mirka. E pensi che il detto “sfortunato al gioco e fortunato in amore”, sia quanto mai stringente.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.