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lunedì 6 luglio 2009

Wimbledon, Federer, l'uomo dei record



Le speranze di vedere una finale maschile più emozionante di quella femminile, erano ridotte al lumicino. Complice una gradevole mattinata a cavalcare le onde increspate (assecondandole dal bagnasciuga), sono arrivato alla conclusione che sarabbe stato umanamente impossibile assistere ad uno scempio maggiore del sorellicidio in salsa Williams.
Grazie ai preziosi suggerimenti del mio gatto (è lui lo statistico di famiglia), vengo a conoscenza che Federer e Roddick si erano affrontati in venti ossasioni. Con l'americano riuscito nell'impresa di scalfire il despota elvetico, la miseria di due volte. Per lo più, episodi occasionali, simil concessioni bonarie. Ma al di là delle fredde cifre, un altro dettaglio angoscioso, quasi mi spingeva a prendere in considerazione un pomeriggio alternativo un po' più divertente: l'analisi dogmatica delle due precedenti encicliche di Benedetto XVI, annesse gustosissime e leggere appendici teologiche. Un dettaglio rappresentato dalla storia recente dei due, quasi coetanei, al di là dei risultati. Nel regno dell'imbiancato terrore elvetico (solo temporaneamente interrotto da un folle golpista iberico, arrivato a sfibrarsi ginocchia e muscoli, pur di esautorarlo per una stagione), Andy Roddick ha rappresentato una delle prede favorite. Uno di quelli bravi, di buona famiglia (classifica), tante premesse bellicose e sceniche, ed approccio tragicamente rassegnato ad un destino miserrimo. Insomma, l'americano è stato il prototipo della vittima designata. Si è quasi costruito una carriera sulle sconfitte contro il più forte. Troppo netto il divario tecnico, palese quanto Roddick soffrisse la personalità feroce del tiranno.
Quindi ero sul punto di immergermi nel mare di dogmi folli dell'enciclica, piuttosto che perire di fronte ad un'altra esecuzione. Poi mi sono fatto coraggio. Qui a Wimbledon, il buon Andy con l'insopportabile tennis da battittore della major league di baseball (rimarcato anche dall'abbigliamento in linea), veniva da una gran bella battaglia vinta con Hewitt, e dall'impresa che ha messo in ginocchio il Regno Unito intero, negando la finale allo scozzese Murray. E la maturità mostrata, abbinata ad i progressi tecnici, mi facevano sperare per una finale non del tutto scontata. Federer avrebbe vinto, certo, magari lasciando un set all'avversario, tanto per divertire il popolo.
Oggi Roddick ha giocato al suo massimo. Si vedeva già dall'inizio, ben piantato in campo, deciso, attento, ingiocabile al servizio, martellante di dritto con criterio. Sorpreso, quasi infastidito da un simile affronto, Federer non riusciva a prendere il ritmo della sua danza pennellata. Il Von Karajan stipato nel suo cervello, non riesce a far partire il concerto sinfonico del braccio. Nonostante quello che diranno gli esperti, è stata una partita tutt'altro che bella dal punto di vista tecnico, fin troppo condizionata dai servizo al limite dell'umano, dei due. Pochezza compensata da un emozionante equilibrio, ed incertezza palpitante. Roddick dimostra come sia maturato tecnicamente, il suo tennis non è più ancorato allo spartano servizio e dirittone a sfondare. L'Andy di oggi è giocatore diverso, sa usare il rovescio, è più paziente nell'affrontare lo scambio, prova schemi alternativi e soprattutto, liberandosi di qualche chiletto, non è più quel prevedibile pesante paracarro sparapalline, ma si muove con più agilità. Roger invece, più teso del solito, negli scambi prolungati quasi mai riesce a prendere il sopravvento, e disegnare le consuete traiettorie meraviglia, con continuità.
A posteriori (ma anche in diretta), Roddick sognerà anche di notte, quei quattro set point consecutivi (due col servizio) che lo avrebbeo mandato avanti di due set, nel tiebreak del secondo. In quel momento, invece, è tornato l'Andy antico, quello cui il braccione trema nel momento topico. E giù sei punti consecutivi dello svizzero, ed un set pari. Abbastanza per pensare ad un Federer in carrozza e nocchieri, verso l'ennesimo record, sfruttando lo scoramento ed il probabile contraccolpo psicologico patito dall'avversario. Ed invece, l'americano rimane ancorato in partita, si aggrappa al servizio, perde (male, e ancora di paura) anche il tiebreak del terzo, ma a mollare non ci pensa proprio. Anzi, con un Federer oramai rilassato e sognante, che conteggiava mentalmente i suoi titoli, e ripassava il commovente discorso post partita, gli strappa il servizio e lo trascina al quinto. Davvero encomiabile e mai domo. Ed è qui che comincia quello che farà dire a molti avventati, che si sia trattata della più bella finale di sempre. Borg-McEnroe, ed il fresco Nadal-Federer dello scorso anno, rimangono di un livello tecnico superiore, non ci sarebbe nemmeno da discutere. Ma è innegabile come l'interminabile quinto set, denso di pathos ed emozione, l'abbia resa la finale più lunga ed incerta della storia.
Quasi trattenuto, il monarca elvetico, sente la pressione di dover vincere, e teme di perdere sul filo di lana l'ennesimo alloro, quello può sancire la sua immortalità tennistica, paralizzato dal ruolo di scontato favorito. Si aggrappa al servizio (alla fine saranno 50 gli aces), per rimediare alla fallosità degli scambi da fondo, che quasi mai lo hanno visto primeggiare. Ma Roddick tiene ancora duro. Nel quinto set, in cui non è previsto il tiebreak, e ad oltranza, serve dieci volte per rimanere nella partita, prima di cedere con l'onore delle armi, 16-14, all'ennesimo succeso, con annesso record mostruoso, dello straordinario svizzero. Questa volta, senza rassegnazione, ma lottando come un leone.
E' bene rimarcare che questa non era una partita come le altre, erano in ballo parecchi record. Roba che i soliti avvezzi alla mercanzia ed al conteggio da pizzicagnolo, snocciolerebbero con maggiore perizia. In sintesi, il record di slam vinti, sei successi a Wimbledon. Tanto basta per farne il grande di sempre, secondo l'aritmetica. La matematica, che non può tener conto delle umane vicende, di avversari caratura differente, in periodi ed epoche imparagonabili tra di loro. I numeri ci dicono che lo svizzero, dal meraviglioso tennis ultraterreno che somiglia ad una danza sulle punte sulla musica di Mozart, ha vinto più di tutti. Inutile esercizio, considerarlo il più forte di sempre. E non solo perché negli ultimi due anni era stato ad un passo dal lettino di uno strizzacervelli, a causa di Nadal, verso cui ha patito di una sudditanza che il più forte di sempre non dovrebbe avere. La mia convinzione nasce dall'impossibilità di paragonare campioni infiniti, appartenenti a tempi diversi. Nessun senso immaginare un confronto con Laver, Borg, o Sampras (esibizioni da baraccone a parte). E non si può non tener conto delle differenti situazioni vissute in tempi passati (rinunce forzate, dilettantismo e professionismo). Federer ha vinto più di tutti. Chi sia il più forte di sempre non è questione da stabilire con la somma algebrica di titoli. Me lo ha suggerito il gatto.

3 commenti:

  1. Mmm... Io invece mi sono divertito a spiegare perché finora deve essere considerato il più grande di sempre.

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  2. Ogni opinione va rispettata. Non ho scritto che non lo sia. Ma semplicemente che io, preferisco non farlo, sulla base dei titoli. Riducendo tutto ad un conteggio algebrico. Ciao.

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  3. Pic(posso chiamarti così?!:))quanto hai ragione...:)

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.