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lunedì 6 luglio 2009

Wimbledon, pagelle. Chi ha vinto, chi ha perso, chi deve trovarsi un altro mestiere.



Uomini




Federer: 9. Leggenda, fenomeno, la storia, mostruoso, invincibile, ultraterreno, divino. E tanto ancora si potrebbe scrivere. Tutto vero, o quasi. Lo svizzero, piaccia o meno, tifosi accecati di diverse fazioni a parte, è una delle cose più belle a vedersi su un campo da tennis. Che sia o meno il più forte di sempre è faccenda inutile, perchè quel titolo non esiste. Altri, avevano un carattere più forte, accendevano di più la fantasia. Forse Roger gioca il più bel tennis di tutti. Ed ha vinto più di tutti. E mancava Nadal. Gli assenti hanno sempre torto. Anche perché da presenti, spesso, quella leggenda trovavano il rozzo ardire di batterla. Il rude battitore di tamburi che sconfigge il primo violinista, sul punto di scrivere la storia dello sport. Roba da prendersi un esaurimento nervoso, da non riuscire a spiegarsi come potesse quel villico invasato frulla palline, osare tanto. “Nadal mi manca”, pare abbia detto in preda ad una improvvisa sindrome di Stoccolma, Roger. Certo, non poteva arrivare a sbatterci in faccia un “sono felice si sia sfibrato, quell'insolente”, ma almeno evitarci il pianto di dolore di chi sente la mancanza del carnefice. Il maiorchino se ne sta nelle sue terre, con i tendini ed i muscoli a pezzi dopo aver provato l'impossibile ed inumano, fermare il monarca. E quell'assenza ci ha restituito un despota tranquillo, capace di sciorinare quel bel tennis elegante come fluido magico, che si gioca solo in paradiso. Finale a parte, in cui ha patito oltremodo la tensione, e per poco Roddick (suonatore di tamburi con minore personalità dell'iberico), non ne approfittava.
Roddick: 8,5. A 28anni, proprio non credevo potesse migliorare tanto. Già a Parigi (pur sconfitto dall'orrido muro di gomma Monfils), mi ero permesso di notare dei miglioramenti fisici e tecnici (e ci sono le prove scritte, Nostradamus non mente.). E sull'erba, superficie più consona, li ha evidenziati. Peccato abbia perso tutti questi anni (ed è un monito che dovrebbero seguire altri, Djokovic su tutti). Migliorato negli spostamenti, reso presentabile il rovescio, ha meno frenesia e più pazienza. Affossa la speranze dell'intero Regno Unito, impedendo la finale a Murray. Spreca quattro occasioni per portarsi due set a zero contro Federer. Malgrado l'episodio che avrebbe abbattuto un toro, continua a lottare come mai, in una carriera da top player rassegnato, gli avevo visto fare. E cede solo 16-14. Promosso.
Andy Murray: 6,5. La semifinale è un risultato da non gettare via. Per tutti, ma non per gli inglesi, che avevano imposto al figlio di Scozia di riportare il titolo in Inghilterra. La guerra non c'entra, quello della regina è un popolo pittoresco. Da buon selvaggio schizoide ed anticonformista, lo scozzese paga psicologicamente l'isteria collettiva, che lo ha circondato. Soffre con Wawrinka (che non è proprio Sampras), e cede al più solido Roddick. Non da frutti la sua tattica da difensore di classe, contro il picchiatore che ha scoperto la saggezza. Una volta di più, annega il suo talento fluttuante nell'aere, trasformandosi in coriaceo pallettaro con buona mano.
Haas: 7+. Giù il cappello, signori. Avrà anche una attraente fanciulla ad allietargli le sconfitte. Economicamente se la passa mica male. Ha una decennale carriera da splendido perdente alle spalle. Gli infortuni gli hanno lasciato un fisico da reduce di guerra. Non ha mai avuto l'istinct killer ed il carattere dei numeri uno, certo. Forse non vincerà mai uno slam. Ma a 31 anni, dimostra a tutti come si giochi al tennis sull'erba. Si salva da una battaglia già vinta, poi quasi persa con Cilic, sbertuccia Djokovic, insegnandogli tennis super deluxe. Si arrende solo a Federer in semifinale. Per la serie quello che avrebbe potuto essere, ma in fondo, che ci frega.
Tsonga: 4,5. A Parigi sprofondava goffamente nell'argilla. A Londra pattina come un bisontino sull'erba sgusciante. Fin troppo lento e rassegnato nel rispondere ai servizi mostruosi di Karlovic, in braccio alle attempate signore della seconda fila. Il bianco che non svacca, ha mostrato una pinguedine eccessiva, e muscoli poco tirati a lucido. La sua superficie è il duro, ok. Lo si è capito. Tranne magari, dover scrivere che il cemento è troppo faticoso per la sua macchina complicata, e le giunture delicate. A furia di trovare giustificazioni, si rischia di non vedere mai più quel pugilatore tennista sfavillante, tutto forza ed improvvise stilettate di cesello, che aveva tramortito Nadal agli Australian Open del 2008. O ritenerla una meravigliosa meteora impazzita. Bocciato (con riserva speranzosa, di pura stima.).
Djokovic: 5. Voto alzato dalla sua capacità di battere avversari più deboli, e sfruttare un tabellone che sembrava avergli confezionato Babbo Natale (con la collaborazione della Befana). Haas smaschera in modo brutale tutti i suoi limiti. Sempre uguale a se stesso, rigido come uno scopetto dinoccolato, pesante quanto un trattore, mano quadra da rude boscaiolo, lento come un bradipo artritico. Lo si vede ancora intento nel chiudere l'elefantino movimento di dritto, quando Haas già gli ha piazzato la voleè vincente. L'assenza di umiltà lo rende incapace di progettare soluzioni alternative, il braccio rudimentale gli impedisce colpi a sorpresa. Se a questo si unisce un comportamento a dir poco discutibile e costruito, sul campo, si può pensare che io sia prevenuto. Non è così, nelle imitazioni è parecchio divertente.
Hewitt: 7-. Ah, quanto ci erano mancati (ma anche no) i suoi “c'mon” di purissima rabbia, strillati a pieni polmoni, di una naturalezza talentuosa. L'operazione all'anca ce lo ha restituito giocatore di tennis. La scafata esperienza sui prati, spiega il suo bel risultato. “Rusty il selvaggio” si arrende solo dopo un'epica battaglia con Roddick. Dignitosissimo ritorno a buoni livelli.
Del Potro: 4. Pensavo che il suo braccio veloce potesse domare meglio i rimbalzi bassi dell'erba. Invece dimostra tutti i suoi limiti. Non riesce proprio a scendere dall'ascensore, per giocare i suoi colpi. E la pistola fumante rimane perennemente col colpo in canna. Da rivedere (a Flushing Meadows, per batterlo, dovranno patire assai. Mettete pure a verbale.).
Karlovic: 7. Il nostro gigantesco “tardivo”, bombarda di servizi Tsonga e Verdasco, prendendosi due scalpi da top ten. Fin troppo sbertucciato in modo malvagio, come esponente del “non tennis”. Nessuno oserà criticare i 50 aces di Federer in finale. Ivo non ha un'unghia incarnita del talento svizzero, ma fa il suo mestiere, e sfrutta ciò che sa fare: Servire. Il resto lo arrangia come può. E' a tratti noioso come un documentario in lingua cecoslovacca, ma merita rispetto, molto più di altri. Si chiamasse Ivano Carloni, il solerte cronista pedatorio, e tanti altri spocchiosi ed irrispettosi, lo avrebbero accolto in trionfo.
Verdasco: 5-. Il macho dall'aria caliente, abbassa la cresta sotto il tornado di servizi di Karlovic. Ed infatti ostenta una capigliatura che farebbe invidia a Little Tony, dopo un incubo notturno. Qualcuno lo considerava alternativa credibile ai primi 4. Io lo vedo sempre più avviato ad una carriera alla Feliciano Lopez. Ma da top 15, con gioco meno gradevole e maggiore animo pugnace (semplicemente scenico.).
Stepanek: 6. Il suo tennis semi vintage, servizio e voleè, è puro godimento per i leggiadri e patologici esteti. Riesce a farsi trascinare al quinto set da Potito Starace, e questo la dice lunga su quanto oramai sia soltanto un mobilio aggraziato. Idem i primi due set vinti con Hewitt, prima di squagliarsi come friabile brina mattutina.
Ferrero: 7. Ex numero uno, ex vincitore del Roland Garros. Mai stato un campione, semmai volenteroso nel ritagliarsi un ruolo importante, in uno dei periodi più bui del tennis. Scivolato nelle retrovie, da anni gioca come un normale tennista di medio livello. A Londra gli concedono un invito, e lui arriva fino ai quarti di finale. Terraiolo con la giusta calma ed esperienza per domare l'erba. Tocca fargli i complimenti.
Wawrinka: 7. Lo svizzero meno nobile passa per essere uno ancor più indisponente fuori dal campo, di quanto non lo sia nel rettangolo di gioco. E se tanto mi da tanto, fidandomi, dovrebbe essere l'alter ego “der canaro”, versione più intrattabile. Contro Murray, su un centrale impazzito ed illuminato, col suo naso paonazzo, per poco non gli riesce l'impresa biblica. Poi ritorna medioman, cui gli dei impazziti hanno regalato un rovescio immeritato.
Robredo-Ferrer-Andreev: 5. L'orrore che ha una fine. Sela, Stepanek ed Haas, quasi fossero in missione per conto del bello, mettono fine al loro turpe defloramento dei prati.
Simon: 6 (sulla fiducia). Ma quando gioca, ditemelo.
Picasso Petzschner: s.v. E che voto gli vuoi dare. Il pittore pazzo riesce a complicarsi la vita contro un mezzo doppista americano. Gioca ad occhi chiusi e mente spenta, percorrendo il filo della sconfitta (e della proverbiale follia) con Zverev, prima di ridestarsi e dominare. Poi vuole fare il giocatore normale, e perde in tre set con Hewitt. Con onore, certo. Dopo aver scontato i punti della (folgorante) vittoria a Vienna, scomparirà dai primi cento. Ma poi, forse, batterà Federer, o raccoglierà tre games da un impiegato del catasto. E va benissimo così. Estemporaneo piacere di un nulla, dai contorni fascinosi.
Marat Safin. s.v. Rispetto a Parigi, l'addio a Wimbledon è meno epico. In comune c'è il solito, modestissimo ronzino, reso invincibile. Allora Ouanna (lo rivedremo mai in qualche challenger?), oggi Levine, ritorto ed inguardabile mancino americano, dall'aspetto dantesco e dal fisico rachitico. A guardarli in campo, sembra un confronto impietoso, da imbarazzo vero. Viene da chiedersi da dove sia sbucato quell'ominide, e cosa pretenda dal tennis. Ed alla fine, a vincere è l'americano sghembo. Saluta anche Londra, il russo più matto di un cavallo matto. Tra gridolini ed urla d'incitamento del pubblico, che gremiva il campo secondario, lasciando i big al loro scontato teatrino. Quasi a vedere le ultime gesta schizoidi di un eroe passato. Potere di Marat.
Seppi: 6. Per qualche misteriosa ragione, gioca meglio sull'erba. Batte il quotato (e non solo per le terga) Blake. Si conferma con Giquel. Perde dal più esperto Andreev. Potrebbe vincere, certo. Ed anche battere Haas, arrivare in semifinale, io scrivo meglio di Hemingway e Céline, contro Berlusconi c'è una congiura, le guerre sono inutili, etc...
Starace: 5. Vince la sua prima partita sull'erba, al sesto tentativo. Su ritiro dell'avversario, Acasuso, che l'erba, al limite, se la mangia ad insalata. Porta uno Stepanek in crisi esistenziale, al quinto. Tanto basta.
Bolelli: 5,5. Recupera due set all'incubo dei bambini Koellerer, malgrado la menomazione fisica. Parvenze di carattere.
Fognini: 4,5. Miracolato dal ritiro di Istomin, raccoglie le bucce di patata con Ferrer (che Borg non è). L'erba non è la sua superficie. Sul cemento è vulnerabile. Sulla terra gli manca continuità. Rimane il ghiaccio o la gomma piuma. Di gran lunga il nostro migliore alfiere.


Donne



Serena Williams: 9. Tyson in gonnella autentico. Ferocia pura, chiunque si trovi di fronte. Vede le streghe con la Dementieva, ma ne esce con carattere e muscoli d'acciaio. Mezzo punto in più, per il gustoso (cinico) siparietto, con tanto di maglietta studiata, a gridare al mondo l'errore del computer, che non la vede come numero uno.
Venus Williams: 8. La venere nera macina avversarie fino alla semifinale, con eleganza fluida abbinata alla potenza. Umilia la povera Safina, lasciandola in lacrime. E' più forte e completa di Serena, forse, ma sul campo paga maggiormente la sfida in famiglia. Forse perché tra le due è quella che pensa di più.
Dementieva: 8. Perdente di classe. Qualche pazzo pensava fosse preda abbordabile della Schiavone. E quella le lascia le briciole, per poi giocarsela punto a punto, con la ferocissima Serena. Le trema il braccino bianchiccio proprio sul filo di lana, dopo aver lottato per quasi tre ore.
Safina: 5 (di pura, umana, comprensione). E' numero uno al mondo, e non ha mai vinto uno slam. Wimbledon è quello che meno si addiceva al primo titolo. Viene a capo di match complicati con Mauresmo e Lisicki. Poi sprofonda nello psicodramma contro Venus, non riuscendo a mettere una pallina in campo, e raccattando un miserabile games. Tutt'altro che un bel vedere, ma si spera possa rialzarsi.
Lisicki: 7. Vento nuovo per la wta, proveniente dalla terra di Germania. Smonta le inesistenti credenziali erbivore della Kuznetsova. Gran servizio, e bel dritto randellato. Spocchia non indifferente. Possibile nuova starlette.
Oudin: 7. Altro personaggio nuovo. Uno scricciolo biondo, con la faccia da liceale statunitense, volto sciapo e occhi furbi. Parte dalle qualificazioni, ed infligge una lezioncina di tennis alla serba Jankovic. Bel carattere, agonismo e testa da tennis.
Kuznetsova: 4. Reduce dalla vittoria meritata di Parigi, la randellatrice dimostra di non avere fronzoli e mezze misure. E infatti perde senza clamori. La russa sta all'erba come Borghezio alla moderazione, la Carfagna alla politica, La Pausini alla musica...etc.
Suarez Navarro: 6. (di sola stima). Il bellissimo cricetino iberico, viene fuori dai primi due turni di battaglia complicata, e rischia il clamooso e cruento cappotto contro Venus. Poi dipinge tennis e raccoglie addirittura 4 games. La favola di Golia, è una favola, appunto.
Azarenka: 5,5. Serena la esorcizza con brutale semplicità. Fosse meno posseduta dal demonio, non sarebbe nemmeno malaccio, come tennista.
Belle (ma anche no) Top model spocchiosette regine sul pisello di un regno che non hanno più e che forse mai hanno avuto: Ne faccio una categoria a parte, rispetto al tennis. Sharapova (0,5): Qualcuno deve averle fatto credere che nella pochezza disarmante delle altre, siano sufficienti la sua bella presenza, e le urla invasate, per vincere partite. Basta una modesta under 100 a smascherare l'inganno. Autentico spettro urlante in una statua di piombo, senza tennis. Ivanovic (3+): Le sue lacrime da bimba cui hanno tolto il giocattolo, rimarranno come una delle isantanee più drammatiche e tenere del torneo. Un infortunio la salva dal massacro reale contro Venus. E lei fringna inconsolabile, inconsciamente masochista. Non è colpa sua se non ha il cervello. Tennis insipiente e mediocre, abbinato ad una testa da bambina inconsapevole. Jankovic (1). La serba dal volto di puledra pitturata a pin up, viene letteralmente ischerzata da una volenterosa ragazzetta di 17 anni. Vaga per il campo come in crisi esistenziale, gridandosi “perché”? E proprio non riesce a capire che le manca il colpo vincente. Che è troppo uguale a se stessa, per essere una tennista vincente.
Schiavone: 7. Fa il suo dovere ed anche di più. Dimostra una attitudine mai mostrata prima, all'erba, batte buone tenniste come Razzano e Bartoli. Perde dalla Dementieva, che gioca meglio di lei e non è numero 4 per caso. Ma da applausi il suo torneo, fatto di coraggio ed ostinazione. Unico neo, il francamente inutile alterco sul soprannome “leonessa”, col maestro di letteratura e giornalismo sportivo, Gianni Clerici. E che non rende giustizia alla sua umiltà. Neanche l'avessero epitetata “pantegana sgusciante”. Viene da pensare, che se avesse vinto quanto le sorelle Williams o la Henin, l'avremmo vista passeggiare sulle acque del Tamigi e moltiplicare trote ad ogni piè sospinto.
Roberta Vinci: 7. Fa cose straordinarie col fisico leggero che si ritrova. Ma al tennis gioca meno bene di poche (si contano sulle dita di una mano). Il suo elegante fioretto, non può niente contro la lama infuocata di Serena.
Pennetta: 5,5. Si ferma al terzo turno contro Amelie Mauresmo (6-), che per crudeli cause imputabili all'età ed al logorio, si ritrova più in basso di lei in classifica. Ma che ha più esperienza, classe e gioca meglio di lei.

2 commenti:

  1. Oh, mo' gli ultras della Ivanovic ti travolgono di nuovo

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  2. Ma no, neanche tanti. Devo ammettere che se fossro insulti fantasiosi, o ricercati, sarebbe addirittura piacevole. Il problema è che gli ultras di Ivanovic o Djoker somigliano molto ai loro idoli. Tremendamente monocordi e banali. Al limite qualche pugnetto col balzello e punti esclamativi a go-go. Ciao.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.