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giovedì 2 luglio 2009

Wimbledon, vince Haas, vincono i buoni



E alla fine il gigante spaventoso si sbriciolò. Disintegrato come fragile argilla, al cospetto di sua Maestà Roger Federer, oggi un po' Nureyev, un po' Mozart, altre volte gianconiglio. Quattro partite senza perdere un servizio era un dato che poteva, se non preoccupare, allertare un minimo la soglia di attenzione dell'algido despota reinsediato (per rinuncia dell'ispanico logoro). E invece bastano dieci minuti all'elvetico per strappare il servizio a quello spauracchio con le fattezze gigantesche di Ivo Karlovic. Guardo solo qualche sprazzo, fremente come sono a riversare i miei influssi su Haas-Djokovic. Ma bastano pochi scambi per capire l'andazzo. Il dinosauro bonario, un po' paga l'emozione, gli entrano meno prime del solito, sbaglia tanto a rete, inforca persino un paio di impresentabili occhiali da sole, per vedere meno nitidamente la realtà malvagia. Il resto lo fa Roger Federer, con una prestazione monumentale. Praticamente perfetta. Lo svizzero è (anche) ribattitore magnifico, ed oggi lo dimostra con disarmante evidenza. Ben altra cosa rispetto a Tsonga e Verdasco, rassegnatamente seduti in fondo al campo, ad attendere le tremende bombe del croato. Il numero uno al mondo invece, staziona nei pressi della riga, per poi entrare addirittura dentro il campo sulla seconda, riuscendo ad incocciare risposte d'incontro strepitose, con movimento del braccio abbreviato, in perfetto grass-style. Non sbaglia assolutamente nulla il monarca, ostenta riflessi da lince, inanella tre risposte da brivido e vince il secondo set. Finisce per essere costretto a giocare solo un tiebreak, quello del terzo set, ovviamente dominato. Veleggia verso il sesto successo Roger, ed ora che non deve preoccuparsi di quell'irriguardoso satanasso spagnolo, tutto è divenuto semplice, fin troppo scontato. Per quelli che sono semplici spettatori e non suoi tifosi, persino noioso. Anche guardandolo in viso, appare rilassato, senza quei segni d'inquietudine che stavano minandolo dall'interno, rabbuiando un animo che non sapeva (e poteva) accettare la sconfitta con serenità. Qualche parola la merita il gigante croato, che ha fatto un grande torneo. Parecchio clamore hanno suscitato le critiche al suo "anti-tennis", basato quasi esclusivamente sul servizio monstre e null'altro. Persino un rampante telecronista italico, di solito avvezzo alle cronache pedatorie e con una pronuncia tipica del nativo di Birmingham alta, ha sbottato, arrivando al limite dell'insulto, in piena telecronaca. Ivo il tardivo non merita tanto accanimento crudele. Fa semplicemente il suo mestiere, dall'alto dei 2 metri e 08. Sfrutta le sue armi, e la sua è il servizio. Non ho mai visto nessuno voler segare i piedi e le gambe a Nadal, il servizio a Roddick, il dritto terrificante a Gonzales, quel curioso frullino arrota palline impugnato da Ferrer o Robredo al posto della racchetta. Certo, Ivone non concilia con lo spettacolo, a tratti è inguardabile, ma oltre al servizio, riesce anche a trattare discretamente la palla col rovescio in back, molto efficace sull'erba, arriva a rete con due lenti balzi da panda e la copre anche bene, grazie ad una apertura alare notevole. E in fondo, grazie a lui si è avuto finora l'unico, scenico, punto interrogativo sul successo finale di Federer. Ed un argomento su cui cianciare a vanvera.
Contemporaneamente, sul campo numero uno, andava di scena il quarto più interessante (per me). Tommy Haas all'assalto del serbo-imitatore Djokovic. La forze del bene che provavano a mettere in scacco gli invasori cattivi. Ora, io non vorrei scrivere “l'avevo previsto”, sarebbe davvero inelegante. Al limite potrei snocciolare qualche dato, o sottolineare che sono infallibile, come fa l'amatissimo (da voi) giovane premier. In sostanza, già ad una prima occhiata del tabellone, avevo sperato con convinzione che l'evidente spiraglio nel tabellone fosse sfruttato da Haas, fino alla semifinale. Oggi il tedesco ha inflitto una vera e propria lezione di gioco erbivoro al più giovane e quotato (dalla classifica) avversario. Il buon Tommy esprime un tennis che riconcilia con questo sport, persino più spregiudicato rispetto al solito. Elegante, fluido, vario e completo. Attacca all'arma bianca, a suon di servizi profondi, voleè strepitose, risposte di rovescio bloccate da urlo. A 31 anni raccoglie una semifinale scintillante, dopo aver gettato alle ortiche un sacco di opportunità negli anni precedenti. Anche a causa di un fisico spesso rattoppato e di un carattere mite, simile ad un venticello primaverile con le farfalle che danzano leggere nell'aere. Oggi concede pochissimo, un solo passaggio a vuoto, quando si appresta a servire per il secondo set. Un game di puro raccapriccio dissennato, che rimette in vita un Novak confuso e già rassegnato. Eccolo lì, pensi, lo splendido perdente, elegante cigno, pugnace quanto un koala anestetizzato. Un brivido che fa riemergere vecchi fantasmi, e temere la solita, sciagurata predisposizione di Tommy al martirio. Ma il Djokovic da prati, è davvero poca cosa per approfittarne, ed il tedesco ha il tempo di ristabilirsi e portare a casa il secondo set. Solo una tregua per riprendere il fiato nel terzo, e poi ancora servizi e voleè forsennati che rapiscono il pubblico. Segue a rete prima e seconda palla come nulla fosse e come mai gli avevo visto fare con continuità. Fin troppo evidente la lentezza esasperante del serbo in risposta, per non approfittarne. Una tartaruga d'acqua spaesata e pattinante, che gli fornisce sempre il tempo di avventarsi sulla rete come un puma. E Tommy continua a martellare sul dritto che quello non fa nemmeno in tempo ad aprire. Su Djokovic, non sarebbe giusto accanirsi (solo) dopo una sconfitta, ma ripeto cose già dette quando vinceva. Pure qui, sono invincibile! (Largo sorriso da vincente che insegnano solo nelle scuole di politica delle libertà, ad Arcore.). E' arrivato nei quarti grazie ad un tabellone miracoloso, palesando lacune fin troppo evidenti, per giocare bene da quelle parti. Lento, macchinoso, legnoso, goffo sodatino che a stento tiene l'equilibrio sul terreno sgusciante. Deambula sui prati in modo sgraziato, come una mazza rigida ed impalata. Proprio non riesce a piegarsi sulle gambe per addomesticare rimbalzi bassi, e non ha i riflessi per rispondere in modo efficace. Si limita a ciondolare il testone abnorme, e scrollare le spalle rachitiche. Quando le cose vanno male, si intestardisce a tirare colpi che non entrano, non riesce a progettare niente di diverso, uno schema alternativo alla ruvida sventagliata della casa (buona per altre superfici). Il braccio che pare scolpito nel legno massello non gli consente di giocare di volo, la proverbiale ingessatura, nemmeno di improvvisarsi portiere da rete. Ritornerà fortissimo numero quattro, a pieno titolo, sul duro e (forse) sulla terra, vincerà altri tornei, ma a Wimbledon serve saper giocare al tennis in modo completo. Gestire situazioni varie ed imprevedibili, diverse dal lungo e regolare palleggio dal fondo, in cui riesce ad emergere la sua “forza regolare”. Per una volta ha vinto il tennis, ha vinto Haas, hanno vinto i buoni.
“Esultano gli inglesi...e ancora non lo sanno che Murray non vincerà Wimbledon!”. La leggenda (ed un amico con la parabola) narra cha ha chiosato in questo modo, il grande scriba Gianni Clerici, mirabile esempio di ironia pungente e raffinata, competenza ed eleganza. Se davvero ha pronunciato quelle parole, ha raggiunto livelli di grandezza superiore. A qualche teenager avvezzo a ritmi rutilanti e bumbum (non solo sul campo), sembrerà fuori dal tempo, ma che iddio ce lo conservi, e qualcuno lo nomini patrimonio dell'umanità. Compitino davvero agevole oggi per lo scozzese d'inghilterra, Andy Murray. Juan Carlos Ferrero, ha la tipica espressione dell'agnello pronto ad essere sacrificato sull'altare. Regge solo per un set, fino a quando lo scozzese si ostina a voler fare il tattico raffinato, imbesuendosi come un Krickstein qualsiasi. Poi si rende conto che non è necessarie l'abilità strategica di Napoleone, per venire a capo di un avversario rassegnato, e già felice di essere arrivato ai quarti. E per il giubilo dei supporters britannici, si sveglia dal torpore sonnacchioso e lascia andare il braccio, che pure di talento ne ha, libera il rovescio bimane, capace di trovare angoli futuristi. Prontissimo alla finale con Federer. Tanto per offrire qualcosa di cui parlare, ed illudere ancor di più gli inglesi, che il loro eroe di Scozia possa vincere il torneo.
Chiudono la giornata Roddick e Hewitt, in una partita di rarissima bruttezza, resa guardabile dall'agonismo trascinante del ritrovato australiano dall'espressione truce. Se Haas è la dimostrazione dell'erbivoro d'attacco, Lleyton è l'esempio lampante di come si debba colpire a rimbalzo sui pratii. Un timing impressionante, rovesci d'anticipo, risposte fulminanti d'incontro. Il vecchio "Rusty il selvaggio" è spesso sul punto di crollare, ma sempre in grado di risalire e lottare. Rischia di andare due set a zero, ma riacciuffa un secondo set coi denti e con coraggio. Recupera un break di svantaggio nel quarto, lo vince e trascina l'americano al quinto set. Poi si arrende, ma il lottatore australiano (che può piacere o no), esce come uno dei vincitori del torneo, recuperato a buoni livelli. Roddick ora trova Murray, e non lo vedo così sfavorito. Il suo baseball tennis si sposa bene con l'erba, la velocità di braccio (a differenza di Djokovic) sopperisce agli spostamenti pachidermici, e le rotazioni che imprime alla pallina col dritto, possono fare male allo scozzese. Tocca pure inventarsi qualcosa per rendere la finale più imprevedibile.
Visto che oggi ne ho presi 4 su 4, mi cimento sulle semifinali femminili. Pronostici di imbarazzante semplicità, per cui azzardo pure i games.
Venus vs Safina 1 (Dinara raccoglierà 6 games).
Serena vs Dementieva 1 (Dementieva potrebbe metterne in saccoccia addirittura sette).

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.