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domenica 5 luglio 2009

Wimbledon, vince Serena, tra tette e titoli



Papà Williams, al solito sobrio e mai fuori dalle righe, non ha voluto assistere al crudele sorellicidio. Lui che a queste cose è assai sensibile, è partito di buon ora. Così leggevo distrattamente stamattina. Mentre le due vitaminiche figliuole si giocano l'ennesima finale nel tempio del tennis, lui factotum e mentore del prodigio talvolta da baraccone, se ne sta a casa, intento a curare il giardino. “Qualche vicino mi dirà il risultato”, ha detto. Il suo lavoro è finito, di più non poteva fare. Per la verità, qualche volta lo ha fatto. Grottesche sfide decise a tavolino, secondo ferree leggi di marketing aziendal-familire. A volte conveniva che a vincere fosse Serena, altre volte il successo di Venus avrebbe fruttato di più. Turpi calcoli da ragioniere, dell'eccentrico Don King del tennis. Accuse mai provate, ed anzi, negate con veemenza. A testimoniarle, rimangono finali che suonavano tremendamente finte e senza agonismo reale, una specie di wrestling applicato al tennis, al di la del fisiologico diverso approccio ad un partita tra sorelle. Quasi mai il piacere di gustarsi i due più grandi prodigi del tennis contemporaneo, sfidarsi fino all'ultima pallina arroventata. E' da un paio d'anni che simili esibizioni circensi, ci sono state risparmiate. Serena con due successi sull'erba londinese, e la maggiore, Venus, con cinque titoli, costituivano la migliore finale possibile. Inutile negare come le due statue dalla pelle d'ebano, siano le più forti del lotto. Quando ne hanno voglia, non hanno soap opera da girare, e dove le interessa fare sul serio, spuntano sempre loro. E siccome Wimbledon è il tennis, in finale arrivano le sorellone.
Non esistono volenterose picchiatrici come Svetlana Kuznetsova, clavatrici forsennate, rese fragili bambinone che inteneriscono gli animi, come Dinara Safina in crisi esistenziale. Strepitanti e spocchiose top model siberiane, lontane anni luce dall'immagine di una tennista, e sempre più statue di cemento, buone per giornali di gossip e per chi più di un diritto, preferisce domandarsi quale vezzoso tutù indosserà. Fuori dal tennis che conta Maria Sharapova, dunque, in caduta libera anche la sua omloga bruna Ana Ivanovic. Malgrado continui ad atteggiarsi a campionessa guerriera, la serba dagli occhi di cerbiatta vale a stento le prime cinquanta, ed è in piena crisi involutiva (se mai un'evoluzione c'è stata). Oramai è un triste caso da strizzacervelli. Perché non si rende conto di essere diventata la caricatura indisponente di se stessa. Così come l'altra serba dal volto di puledra scalpitante, Helena Jankovic, che continua a tirare pallate flatulenti, e mostrare al mondo l'insipienza trasparente del suo gioco, sempre più perdente ed avvilita dal suo nulla. Ancora acerba (voglia il cielo non maturi mai) Vittoria Azarenka, il cui spirito posseduto, viene agevolmente esorcizzato, appena s'imbatte in una dallo stomaco non facilmente impressionabile. Troppo inesperta la nuova amazzone teutonica Lisicki. Sempre più gradevole perdente e nulla più, Helena Dementieva. Non rimangono che le sorelle Williams, di gran lunga le migliori, nel quadro di disarmante pochezza della wta. Piaccia o no, Wimbledon è il loro regno, l'erba la puoi domare con mano fatata, come era solita Justine Henin (eh, quanto manca una come lei), oppure brutalizzarla dritto per dritto, senza preamboli, come fanno le sorellone. Che l'erba somigli ad una donna bellissima e riottosa, è un pensiero che mi sorge sempre più frequente. E poi, tra l'altro, raramente accompagna le sue grazie ad intrusi improvvisati o a gente che non merita.
Venus aveva lasciato solo le bucce alle avversarie, Serena si era salvata all'ultimo punto, di puro coraggio con Helena Dementieva. Normale pensare ad una Venere favorita, per esperienza, condizione ed attitudine all'erba. Oggi, malgrado i precedenti, ad occhio e croce, molto occhio, appare una partita vera. Ma troppo brutta per esserlo fino in fondo. Di una bruttezza che invita al suicidio lento. Quasi mai le due si abbandonano a lunghi scambi, ed urla selvagge all'ultimo respiro. O sbaglia Venere, o chiude l'altra al secondo colpo. Il puro muscolo della tozza e massiccia Serena, annichilisce la sorella più slanciata e sinuosa, e forse più sentimentale. Frotte di pseudo psicologi da bottega, si affanneranno a dare spiegazioni strampalate, sul confronto ed il diverso approccio mentale, con cui le due hanno affrontato la partita. Quello che appare all'occhio del misero spettatore annoiato ed al suo gatto, è una belva possente, con la solita, proverbiale, furia atroce negli occhi. Serena gioca come contro una qualsiasi avversaria, ed ostenta la sua irrefrenabile voglia predatoria. Venus invece, da brava sorella maggiore, palesa un imbarazzante disarmo. Una pantera elegante ed addolcita, che vaga con gli occhioni smarriti, trattenuta. Come non attratta dal sangue di famiglia, troppo banale ed insipido.
La partita si trascina orrendamente impresentabile, e non rende onore alle due monumentali atlete. Gioco sfilacciato, servizi vincenti (Serena Tyson ne spara 12 da maschio, in dieci turni di battuta), errori in serie di Venere, talmente confusa che si esibisce in una infinità di abortiti lanci di pallina, titubanze che non si vedono con la stessa frequenza, nemmeno al circolo privato di Barcellona Pozzo di Gotto, tra sessantenni arzille. Quando lo scambio si prolunga, l'indomabile Serena infierisce, mattonellate di dritto e rovescio a sbattere la sorella maggiore da un lato all'altro, fino a prenderla in contropiede, lasciandola con le terga d'ebano sul prato ormai diventato sabbioso, come avviene nel punto decisivo del tiebreak del primo set. Vince Serena, più incisiva e determinata, in una partita senz'anima ed emozioni.
Narrano di conferenze stampa esplosive, con l'americana che prova almeno ai microfono a creare clamore e divertimento. Simil sberleffi di raro cinismo alla numero uno Dinara Safina, senza titoli dello slam ma dominatrice di soli tornei minori. Una provocatoria maglietta con giochi di parole gustosi “titles-tits”. Titoli mestosi da guardare sulle tette imponenti. Ha vinto Serena, e qualcuno lo avrà riferito al padre. E forse non si è nemmeno sorpreso, continuando a curare i geranei.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.