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lunedì 3 agosto 2009

Nadal, ginocchia logore e lo spettro del ritiro



La torrida estate d'avvicinamento agli Us Open, comincia con stordenti dilemmi. Che fine ha fatto Roger Rabbit Rafael Nadal? Starà rosicchiando carote nel suo villino di Maiorca? Quando rientrerà? Sarà in grado di competere sull'arroventato cemento di New York? Un alone di mistero angoscioso (ma anche no), ha avvolto lo stato delle sue giunture. Quasi fosse un presidente dell'unione sovietica negli anni 70-80. Per intenderci, quelli che parlavano al popolo, riferivano che andava tutto bene, ed erano morti e imbalsamati col sorriso stampato in faccia, da almeno sei mesi.
L'epopea del campione nudo ed in disarmo, possiede sempre un macabro fascino. Per un anno ci si è interrogati sul malessere di Federer, per poi scoprire tutti che non era in crisi. Semplicemente aveva trovato qualcuno capace di batterlo nelle finali. Al più una crisi compulsiva da rigetto verso l'idea dell'umana sconfitta. Questo dicono le sei finali di slam consecutive, raggiunte da “uno in crisi”. Questo rivelano gli ultimi due titoli vinti, appena liberatosi del ripugnante tarlo maiorchino dalla sagoma frenetica. La solita storia della coperta troppo corta. Dove cominciano i meriti dell'uno, ed i demeriti dell'altro. Faccende che a volte non hanno risposte, e men che meno possono essere compresa dai tifosi. Per loro Federer aveva la bua l'anno scorso, perchè non può mica perdere Lui, Nadal può benissimo andare avanti così fino a 35anni, Safin è il favorito degli US Open, Djokovic è addirittura un giocatore di tennis.
Quello occorso a Nadal, è certamente un problema più serio, perchè riguarda l'aspetto basilare del suo tennis: le gambe. Guardare il miglior Nadal giocare al tennis, è come ricevere tanti cazzotti nello stomaco, e se si ammira l'avversario, fa venire l'insana voglia di impallinarlo con una rudimentale doppietta da caccia. Ma a lui si deve riconoscere un merito assoluto: Essere riuscito, grazie a lavoro, abnegazione, voglia ed umiltà, a sfidare ed abbattere temporaneamente la dittatura svizzera, con popolana spavalderia e carattere da guerriero impavido. Uno che per ucciderlo devi ammazzarlo tre volte. Tremendi arrotoni mancini, corse disperate, mutandoni sotto il ginocchio e canotte sgargianti, hanno avuto nel circuito, un impatto, (se possibile) ancor più cruento ed orrido, dei jeans, capigliature heavy metal e il flipper-tennis di Andrè Agassi. Sul fatto che sia stato un bene per il tennis, ci sarebbe da discutere nei simposi per esperti. Manna dal cielo invece, per chi reclamava agonismo, altrimenti ridotto a sterili esecuzioni sommarie di mezze calzette senza mano, ma neanche fiammelle di personalità. Monologhi svizzeri tanto belli da vedere, quanto sanguinari e prevedibili come una puntata del Tg4.
L'invasato sparapalline urticanti ha invece ribattuto colpo su colpo le pennellate magiche di sua Maestà Roger, con ammirevole furia agonistica e muscolare, andando a sottrargli lo scettro nel suo feudo londinese. Defenestramento nemmeno lontanamente immaginabile, malgrado l'erba battuta degli ultimi anni (con l'erba del 1985 avrebbe patito le pene degli inferi con Tim Mayotte, ma questa è un'altra storia). La forza di Rafaelito, con la faccia e l'espressione di un Mowgli inferocito ed irriguardoso, è stato anzitutto il carattere da lottatore, e poi quelle gambe mostruose, piedi e ginocchia velocissimi. Qualcosa che si era visto raramente sui campi da tennis. Una rivoluzione simile a quella dell'orso svedese Borg, destinata a fare storia ed inverecondi proseliti. Sicuramente più di McEnroe o Federer, perchè le grandi scuole nascono da uomini normali e volenterosi, mica da geni assoluti ed inimitabili.
Già quest'anno mi era capitato di vedere (e scrivere), di un Nadal logoro, stanco. Lo notavi non solo dalla corsa al risparmio, proprio lui che ha fatto della generosità pedatoria il marchio di fabbrica, ma soprattutto dall'espressione del viso tirata e sofferente. Poi però pensavi "ma chi lo ammazza questo...". A Roma, contro Djokovic, si è salvato con abilità tattica da veterano. Lasciando che a fare la partita (e puntualmente perderla), fosse il serbo, e quello non è mai stato capace. Poi è arrivata la disfatta del Roland Garros, la rinuncia a Wimbledon, ed i problemi alle ginocchia come ufficiale, e non più ocultabile, campanello d'allarme per l'intera carriera di Rafa. Problema che in realtà si trascinava da tempo. Eppure continuavano a farlo trottare con le ginocchia bendate, torneo dopo torneo, spremuto ed assuefatto al dolore.
Quando si azzecca una previsione, c'è sempre una malcelata soddisfazione. Ma in questo caso si riveste di una grande tristezza. Ieri leggevo di un'intervista rilasciata dallo spagnolo, a squarciare il silenzio denso di dubbi e misteri. Con la solita schiettezza, avanzava rimpianti su una programmazione sbagliata, fatta di troppi tornei giocati, di quanto si fosse abituato al dolore. Il pizzicagnolo spettatore blogghista e il fruttarolo da cui mi servo, lo avevano capito ad aprile. Chi gli sta vicino e lo programma da anni, no. Accecatamente convinti che la loro creatura fosse un mostro invulnerabile, o cinici al punto di voler sfruttare le ultime gocce dal loro puledro, prima dell'inevitabile abbattimento. Chi può dirlo. L'altra opzione, è che abbiano preso la laurea in medicina per corrispondenza o coi punti del discount. Key Biscaine, Indian Wells, Montecarlo, Barcellona, Roma, Madrid, sei massacranti tornei in meno di due mesi. Umanamente impossibile giocare tanto, se si tiene conto che il maiorchino è arrivato in fondo sempre (giocando una quarantina di partite), e soprattutto della proverbiale dispendiosità del suo gioco, rispetto ad altri. Se un braccio naturale come Federer spende 100, il buon Rafa, impiega il doppio di benzina per sprigionare la sua forza da corridore e furente arrotatore. Ed il detrioramento da spremitura eccessiva, diviene il segreto di pulcinella. Una macchina giovane, con un motore che ha macinato il doppio dei chilometri degli altri. C'è una sottile differenza tra un poeta che ha bisogno di ferie, perchè in pieno e bizzoso blocco creativo, ed un operaio che si sfibra dodici ore al tornio, sotto il sole, e vuole solo riposare.
Chi gli sta attorno, ne ha costruito scientemente una macchina infernale, destinata a spegnersi e bruciarsi prima degli altri. Quindi stride ancora di più questa crisi, a meno che non l'avessero messa in conto come inevitabile. I problemi di doping, sono solo volgari fregnacce. Voci, pettegolezzi e caccia alle streghe messe in giro da chi non si rassegnava all'idea che lo spagnolo osasse battere il bello ed invincibile. Già più volte si è rimasti delusi da notizie di doping, ma finchè non ci sono notizie sicure, continuo a credere che Nadal sia sempre andato a pane, acqua e sudore. Rimane l'evidenza, e che dalle sue parole non si riesca a capire, quando, e se mai ritornerà. Ed ammesso che lo faccia, se riuscirà a mostrare lo stesso tennis muscolare degli anni passati. La fresca rinuncia al master 1000 di Montreal, è più di un'avvisaglia nefasta. Tanto più che il cemento è la superficie che mette più a dura prova le giunture degli atleti. Rientrare negli states somiglia ad un mezzo suicidio, o una consapevole dolce morte. Rimanere fermo e riprendere la prossima stagione, con una programmazione da essere umano, potrebbe essere anche una soluzione, per uno che ha solo 23 anni. Sicuramente non sarà così, e lo metteranno in campo agli US Open. E non vedo come possa essere competitivo. Lui che non ha il braccio, o il colpo definitivo, per sopperire ad uno stato di salute precario. Nadal non al meglio fisicamente, è come il giovane premier senza fard, Gattuso con la velocità di Andrade. Improponibile, se vuole competere ai livelli dei migliori.
“L'è sciupà!” (egli è andato fuori giri), ha proseguito il fruttarolo (mio consigliere), che si sta preparando a sostenere l'esame di ammissione alla vendita di agrumi in padania (rigorosamente in lingua longobarda), lui Siciliano di Caltagirone. Ma poi si sbaglierà, mi sbaglierò io che lo ritengo non lontano dalla verità, e Nadal trionferà a Flushing Meadows. Non sono infallibile, dopo tutto. E ne sarei comunque felice, per il bene dell'agonismo applicato al tennis.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.