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lunedì 28 settembre 2009

KIMIKO DATE, LA FIABA DELLA PICCOLA SAMURAI



I grandi sogni si realizzano in uggiose nottalbe settembrine. E pazienza se in Corea è un afoso ed umido pomeriggio. A metà tra una fiaba romantica, rivestita da un alone magico, ed una missione samurai, da compiere con animo puro. La piccola Kimiko Date ce l'ha fatta a portare in fondo la sua storia, dal vago sapore antico. In quel di Seul, a 39anni, diviene la seconda tennista più anziana ad aver vinto un torneo del circuito maggiore. Superata di qualche mese, solo dal monumento Billie Jean King.
Sorpresa, certo, per tutta una serie di motivi, che trascendono le banali considerazioni tecniche, le beghe dei numeri uno, ed altre ovvietà. Inattesa e affascinante, perchè arrivata dopo tredici anni di lontananza dal tennis, e con un rientro sui generis, fatto di piccoli tornei in patria ed estemporanei tentativi negli slam, che non lasciava intendere potesse sfociare addirittura nella parola vittoria. Perchè in una settimana, l'ardimentosa formichina nipponica, mette in riga cinque avversarie tra le prime al mondo, tre della quali addirittura tra le prime venti, di quelle un gradino immediatamente inferiore alle super top. Le batte dopo estenuanti battaglie rivestite di una leggerezza indomabile. Che non è necessariamente un controsenso.
Mette a nudo i limiti evidenti di un tennis femminile poverissimo tecnicamente, grazie alle sue armi. Attacchi artigianali e coraggiosi, rovesci tagliuzzati a due mani, voleè, angoli deliziosi. Oltre alle differenze di fisico e forza, che già ne avevano impedito una carriera a grandissimi livelli, ora che le primavere sono quasi quaranta, cosa vuoi che sia per Kimiko, dimenticarsi anche della differenza di età. Ecco perchè la sua vittoria si riveste di qualcosa mistico. Affronta tutto con animo apparentemente distaccato, da imperscrutabile asceta zen. Doma giovani ed agguerrite avversarie con le gote paonazze di rabbia, ed il coltello a serramanico tra i denti. Bambolone impotenti cui hanno insegnato a fare solo una cosa. E Kimiko, piccola e coraggiosa, ne svela i limiti, attaccando con la solita leggerezza. Una volè, un pugnetto aggraziato e un sorriso gentile, quasi a scusarsi. Dimostra come la forza eculea di picchiatrici imponenti e sovrappeso o gli schemi dementi ed insensati, si battano con la testa e la forza fluida di un tennis semplice e vario.
Quasi sospinta da forze invisibili, amanti dell'epopea romantica, in pochi giorni, l'indomita Kimiko batte esponenti delle differenti tipologie della nouvelle vague Wta: Avvilisce Kleybanova, randellatrice inguardabile, coi rivoli di sugna che ballonzolano minacciosi ad ogni roncola sparacchiata ad occhi chiusi. Smaschera Hantuchova, elegante e sinuosa gazzella ceca dal tennis scolastico, lineare, ma anche prevedibile. Svela il nulla patinato della Kirilenko, russa dello stesso filone delle bionde urlatrici fotomonelle post Sharapova, meno sgradevole, più bella, ma meno solida della più famosa connazionale. Poco altro che una mancata velina bionda (notevolissimi i doppi giocati con le graziose omologhe brune: Pennetta, Cirstea e Dulko, etc...). E poi, in finale, scardina Medina Garrigues, tignosa spagnola da prime venti, pallettarista semi-arrotante.
Kimiko Date, novella eroina dagli occhi a mandorla, appena solcati da rughe impercettibili, le infilza tutte con la semplicità delle cose grandi. Una sagoma minuta, che osservi impenetrabile, e si svela d'incanto, in un gioco da agguerrita piccola samurai con gli occhi a fessura. Si appresta a rispedire indietro badilate di servizio altrui, tutta obliqua sulla riga di fondo, con la gambetta corta ed il piedino sinistro in avanti, e la racchetta brandita e protesa in avanti, perpendicolare al terreno, quasi fosse una spada mitologica. E poi attacchi, cuciture e tagli bimani, con quella racchetta che appare enorme, smisurata, quasi più grande di lei. Vince e vola Kimiko, quasi dimenticandosi per una settimana l'età, e la fatica. E adesso rientrerà tra le prime cento al mondo. C'è da chiedersi se rimarrà una semplice dimostrazione saltuaria, o le verrà davvero voglia di rientrare nel circuito, sul serio. Ma sarà lo stesso. Di sicuro, certe storie, avvincenti, per qualcuno inutili, sono il sale di questo sport.

Certo, si potrebbe anche scrivere di Dolgopolov Jr, ucraino dal tennis esplosivo e vario, che vince due tornei challenger di fila, un tipetto da seguire, in futuro. O persino di Richard Gasquet. Ma il francese, solo a leggerne il nome, mette una grande tristezza angosciosa. Dopo l'inquietante spettro visto a Flushing Meadows, a Metz, tra amnesie e pennellate, vince tre partite, annesso quarto di finale con Petzschner. Match sponsorizzato dalla clinica “qui si sana”, e seguito a bordo campo da una schiera di incuriositi studiosi della mente, che prendevano alacremente appunti ad ogni piè sospinto, scambiandosi guardi sgomenti. Qualcuno dirà che il francese è in ripresa, avviato ad una fulgida carriera da costante top 50. A me non entusiasma vederlo vincere con mezzi figuri, e cedere nettamente a Monfils, in semifinale. Perchè Gasquet che perde da Monfils, sancisce la morte impotente del tennis. L'eleganza ed il braccio che cedono alla sgraziata esplosività muscolare.
Si potrebbe persino continuare a martellarsi le pudenda, raccontando della truppa di italiani, che non vincono una partita negli Slam e in Davis, ma nemmeno in piccoli tornei tra i Carpazi di draculesca memoria. O addirittura accennare a Flavia Pennetta, che dopo la dispendiosa settimana della moda a Milano, becca 6-1 6-2 dall'esemplare professionista Roberta Vinci, che non sfilerà mai, ma gioca un tennis incantevole.
Ma tant'è, fortuna che ci sono storie come quella di Kimiko.

2 commenti:

  1. Intanto Venus ha perso dalla ragazza che un giorno diventerà numero uno del mondo. Oh, l'ho detto, eh?
    (http://www.sonyericssonwtatour.com/player/anastasia-pavlyuchenkova_2257889_13013)

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  2. Ciao Ottanta/cento,
    Può essere. La vidi contro Schiavone (credo in Fed Cup), e l'italiano l'ingarbugliò non poco. Però a 17anni aveva una buona personalità. Chi lo sa. Io annoto, poi ci vediamo tra due anni, dove si trova..=) ciao.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.