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giovedì 22 ottobre 2009

Safin, il vecchio Milan, Wozniacki. Surreali storie di postumi recalcitranti e giovani bamboline benefattrici



Ci sone giornate rivestite di una coltre di insana irrazionalità. Sottile ed inaspettata. L'ennesima, forse penultima puntata della via crucis di un campione artista, all'ultima danza. L'ultimo cristallino rigurgito di un uomo annoiato, da almeno un paio d'anni epitetato da più parti “pustumo ancora in vita”. Definizione calzante, che non tiene conto di sussulti imprevedibili, quasi spasmi involontari.
Nella recente tournè asiatica, Marat Safin aveva fornito chiari segni, se non di motivazioni, almeno della volontà di lasciare con qualche bella partita, lampi di inutili dimostrazioni. In linea con la sua ancor recente e schizoide carriera. Tra commemorazioni di presentatori con gli occhi a mandorla, premiazioni, targhe e regali. Un addio prolungato e celebrato all'infinito, ed inevitabilmente svilito. Un ottimo rosso invecchiato e annacquato. Scene francamente un po' patetiche, col gigante che li guardava come fossero tutti matti. Forse anche per una certa gratitudine, si era dimostrato disponibile a regalare un po' di sbiadito impegno. Lampi violenti che annichiliscono “mano de piedra” Gonzalez, uno dei picchiatori più in voga, sprazzi frustrati di rabbia antica contro il tacchino ceco Berdych.
A Mosca, un sorteggio malvagio, sembrava avergli tolto l'ultima fatua speranza di lasciare con un bel torneo, tra la sua gente. Sulla sua strada Nosferatu Davydenko o se volete l'Agassi andato a male, vampiresco numero 6 al mondo, che col suo bel tennis noioso come un film kazako, e pulito come una play station datata, solo pochi giorni prima aveva impallinato niente meno che Nadal e Djokovic. Quelli che il computer designa come il numero due e tre. Gli aspiranti al trono. Davydenko è il tennista più in forma del momento. Uno che a verderlo non gli daresti due lire, espressione mite e afflitta, propria di chi è vessato dal fisco. Magro, emaciato e pelato, con la maglietta che cade sul torace ossuto, quasi fosse una triste gruccia appendi abiti. Ma appena colpisce la palla, quell'omino si trasforma in mistero ancestrale, da studiare alla Nasa. Colpi puliti, anticipi impeccabili, timing eccellente sulla palla. Di fronte a lui, l'ex grande campione dal fisico imponente, l'espressione guascona e i colpi radenti e debordanti, oramai ridotto a semivuoto barattolo di birra, privo di energie fisiche e soprattutto mentali. Che speranze poteva avere Safin, contro quell'esangue e malmesso spiritello pelato in stato di grazia diabolico? Nessuna. O aspettare che le api assassine invadessero la terra. Un paradossale confronto, con l'umile mucchietto d'ossa strafavorito contro il gigante dalla mente di cristallo.
Il russo povero, con la faccia da smunto eroe transilvanico, comincia a macinare il suo gioco anticipato da piccolo robot. Quasi si avvertono suoni metallici e sempre uguali. E tanto dovrebbe bastare. Ma era la giornata dell'insondabile mistero, e succede che il paradosso, via via si trasformi in irrazionale normalità. Safin prende campo, a denti stretti e cuore caldo, abbatte il volenteroso lavoratore Nikolay. Lo stesso che era sembrato imbattibile per iberici frullanti e macchinosi serbi aspiranti al trono. Altri paradossi imbarazzanti. E in poco meno di due ore, con furiose rasoiate, un postumo in vita, dimostra l'inutilità dell'attuale tennis di vertice. Poi, per carità, probabile che domani Marat entri in campo coi residui di una sbronza di vodka, e raccolga le bucce di patata contro Korolev. Ma quella è un'altra storia, e forse nemmeno importa. (E spero non si sia notato che della partita ho visto solo qualche minuto di highlits).
Prosegue sullo stesso filo dell'inspiegabile razionalmente, la dimostrazione di antica forza del Milan, nel tempio del Santiago Bernabeu. Una squadra alla deriva, senza capo nè coda. Un manipolo di attempati ex campioni storti, ingobbiti come muli spompati e col fiato corto, al cospetto della miliardaria corazzata dei triliardi. Pompose goleade ipotizzate e promesse, iberiche speranze di contrappassi verso passate umiliazioni subite. Ma la sottile magia che resuscita cadaveri, donandogli brezze di antiche bellezze, mette la sua mano anche qui. Non è questione di soldi, squadra e gestione societaria smidollata e banditesca. Niente di giustificabile, se non con con quei colori che corrono e segnano da soli sospinti dagli Dei.
Divago pallonaro a parte, ritornando al tennis, triste sconfitta di scena di Flavia Pennetta, uscita col ginocchio dolente, un infortunio che mette a rischio anche la finale di Federation Cup. Nelle ridenti foreste del Benelux, invece, riporto l'episodio più gustoso della settimana, con protagonista l'omologa bionda e più forte, della nostra eroina. Caroline Wozniacki, deliziosa e soporifera bamboletta di cera polacco-danese, sta dominando della grossa contro l'attempata eroina locale Kremer. Ma anche lei, come una delicata e vellutata violetta, si fa la bua alla gamba bianchiccia, a metà primo set. Continua, stringe i denti, si trascina sofferente. Le cronache narrano di una Wozniacki semovente ed inoffensiva, che arriva ugualmente al 7-5 5-0. Semplicemente perchè la sua avversaria non riesce a mettere una pallina in campo. E Caroline, che fa? Si ritira. Lo fa per l'avversaria, e per il pubblico, che almeno potrà vedere una partita vera al secondo turno, perchè lei non sarebbe stata in grado di giocare un'altra partita. Così riferisce. Stupisce tutti, con un'azione di cristallina onestà surreale. E infatti la Wta, poco abituata a simili sprovveduti gesti di sportività, probabilmente aprirà un'accurata inchiesta. Con funeste ipotesi di scommesse clandestine all'orizzonte.

2 commenti:

  1. Onoriamo la nostra Leonessa. Tennis di pregio, testa (quando motivata a dovere) sopraffina.
    Buona settimana!!! Bruno

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  2. Ciao Bruno, buona settimana a te. Si, è stata molto brava. Sulla fiducia. Speriamo che tenga per la finale di Fed.Cup. Anche se non si sa se giocheranno i miseri resti delle Williams o quelli della Oudin. =) Ciao

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.