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domenica 8 novembre 2009

Finale di Federation Cup, Italia a valanga sulle scolarette Usa. Malgrado Fabretti


“Oh ma l'Italia è un paese meraviglioso, dovesse andare male potremmo dire di aver mangiato del buon gelato e dell'ottima pizza!”. Mary Jo Fernandez descrive chiaramente, e senza nessuna ipocrisia, lo spirito con cui lei e le sue ragazzotte, sono arrivate in Italia. Provo a rifletterci. Giovani, biondissime, dalla pelle lattea, lentigginose e con gli occhi sbarrati e meravigliati. Non sono poi così diverse da quelle smarrite turiste teenager, che sbarcano sui nostri lidi, con lo zaino a tracolla ed una cartina spiegazzata della città in mano.
Comincia Alexa Glatch, contro la nostra numero uno, la bella e brava velina bruna, Flavia Pennetta. Il solerte Fabretti pare eccitatissimo, con un pizzico di normale emozione contrita, che traspare dalla insopportabile voce da Topo Gigio squillante. Vittima di turno, la sua inerme e soffocata partner, Rita Grande. Presenta al pubblico bue la ragazza americana, come un periglio terribile per la nostra, quasi un mix tra Justin Henin e Chris Evert. Poi, a mezza voce, aggiunge pure che la smilza biondina è numero 137 al mondo. Il match comincia. “Eh, l'americana non ricaverà niente dal servizio...” sentenzia il commentatore, in sicurezza, col tono di chi ne ha viste tante. Primo punto, servizio Glatch, e spatapummete, servizio vincente. Non c'è che dire, comincia alla grandissima. In forma smagliante.
Flavia Pennetta è contratta, tesissima. Le basta il minimo sindacale per tenere a bada il giovane giraffino americano. Leggera, macchinosa, lenta, inoffensiva e trasparente. Il fantasma di un bradipo. Se ne accorge anche il cronista, oramai liberato da quell'alone di pavida e tipicamente italica scaramanzia, e che ora proclama: “Lo avevamo detto che questa americana non aveva speranze con Flavia.”. Il match vola via, e la brindisina lo dirige senza strafare, in sicurezza. Sugli spalti inquadrano la panchina statunitense, Melanie Oudin e Vania King ridono, masticano chewingum e ballano sul ritmo della musica sparata a palla durante i cambi campo, come fossero alla festa liceale di fine anno. E l'immagine delle giovani turiste inter-rail, ritorna alla mente.
La noia imperante è spazzata dal solito, irrefrenabile telecronista sovraeccitato: “Certo che palleggiare con Flavia, può sembrare quasi un suicidio volontario, studiato a tavolino...”. Inimitabile genio del surrealismo contemporaneo. Ma poi svaria, addentrandosi in tecnicismi assai notevoli, di cui non conosce minimamente il senso. “Potrei dire della presa western, eastern, o addirittura continental...ma non confondiamo le idee allo spettatore con questi aspetti così tecnici...eh eh eh...”. Rita trova un refolo di coraggio: “Ma credo gli spettatori ne sappiano più di noi...”. Gelo del Fabretti, che accusa il colpo.
La partita è in discesa, e l'italiana libera un bel rovescio bimane lungolinea. “Oh, incredibileee! Flavia si dimostra solida anche col rovescio, eh? No?...”. Anche? Certo, il rovescio, lo sa pure il mio pesciolino rosso morto due anni fa, è il miglior colpo dell'azzurra. La Grande si tace, per dignità. Scambi lunghi, e i due continuano senza freni, in una logorrea urticante, un approfondito discorso sul dritto. “Ehhh, ma il dritto è un colpo naturale, o ce l'hai o non ce l'hai, eh Rita?, no?”. “Si-si”, fa quell'altra. Il Fabretti, non contento, carica, col tono di chi la sa lunghissima: “Non vorrei citare il dritto di un certo Stefan Edberg...he he he...”. Nello sconfinato repertorio del campione svedese, il dritto era l'unico colpo che mancava. Abituato a commentare le pedalate di Coppolillo, il vate della rai-tivvì, ovvimente lo ignora. Ma parlare di Edberg a vanvera, fa tanto conoscitore di tennis. La sventurata partner di telecronaca vorrebbe morire, prova a cambiare repentinamente discorso. “Bello l'attacco in back stretto, mi ricordo lo usava Rafter...”. Ma il Fabretti è incontenibile, al culmine del suo maramaldeggio saccente ed al contempo da simpatico umorista, imposta bene la voce: “Eh Rita, ma tu stai parlando di uno che non a caso ha vinto Wimbledon...he he he...”. Certo, non a caso. Peccato che Pat Rafter (tragedia per chi lo ammirava) non ha mai vinto Wimbedon, e tutti ricordano la drammatica finale “dell'ultima occasione” del 2001, contro Goran Ivanisevic.
Giusto il tempo per l'ennesimo collegamento in panchina. E chi ti intervistano? Un tecnico della nazionale? Un ex tennista? Un giornalista? No, Max Giusti. E chi diavolo è Max Giusti, e soprattutto cosa ci fa con la maglia azzurra e l'espressione subnormale? E perché intervistarlo di continuo? Un comico pecoreccio, mi dicono. Come non bastasse quello in cabina. Mi aspetto che interpellino anche Martufello o Pippo Franco, ma oramai è troppo tardi. Flavia porta a casa il primo punto, 6-3 6-1. Poco meno di un'esecuzione, annessa lezioncina gratis.
Oudin-Schiavone, invece, mantiene le premesse di un match diverso. Se non altro, un match di tennis. Sostengo Melanie Oudin sfacciatamente. Nessun motivo strano, poiché l'anti-filo-americanismo-leccaculismo, bilancia perfettamente il mio latente sentimento anti patriottico. Semplicemente, mi piacerebbe vedere un incontro combattuto, ed un bel confronto anche domenica. E perché il torello biondo travestito da tigrotto, mi piace assai. L'americanina dallo sguardo impertinente comincia come l'avevamo lasciata a New York, determinata, solida, varia, compatta, completa. Scappa via, ma il provvidenziale stop per pioggia rimette in corsa Francesca Schiavone, che inizia il suo variopinto show. Liftoni, palle alte, back velenosi e bassissimi, che mandano al neurodeliri i 18 anni della giovane Melania (e pazienza che Fabretti sia convinto ne abbia 19. E lo ripete all'infinito.). Inquadrano un Barazzutti assente, quasi scocciato, che si gratta il mento e guarda l'orizzonte. "E guardate Corrado, straordinario il capitano...".
Lo spettacolo pateticamente partigiano, al commento, continua inesorabile. La biondina, con tanto di vezzoso nastrino rosso e scarpette rosa, non molla, serra le mascelle volitive e paffute. Si tiene a galla grazie ad un carattere fuori dal comune ed al suo prodigioso dritto. Colpo naturale, che schizza via bellissimo e radente, anche su una terra rossa resa simile a sabbie mobili. Dalla cabina stanno vedendo altre cose. Chessò, Heidi, o un documentario dell'Istituto luce. “Certo che la Oudin è debole sul dritto, un colpo costruito, che gioca davvero male...”. E l'altra, che pure a tennis pare ci abbia giocato, conferma: “Eh si, eh! Francesca deve insistere sul dritto dell'americana...”. Ma certo, se ti sparano un vincente ad uscire sul dritto, normale diventi un colpo debole, anche se ti chiami Sampras o Federer. Vaglielo a spiegare. L'americana si issa al tiebreak, con l'ennesimo anticipo di dritto, seguito a rete, e chiuso con altrettanto bella volè. “Apperò! Ma guardala! Persino una volè di volo (??). Però, gioca questa Oudin, eh?”. Si sorprende. Cosa può saperne lui, che quella bimbetta diventerà top 10, a breve. Quando ha domato con classe e varietà di schemi Jelena Jankovic, a Wimbledon, e le tre orchesse russe tra le prime tredici, agli Us Open, lui se ne stava beato a commentare il campionato dilettanti di Mountain Bike, godendo del bucolico panorama valsugano.
E seguita, in un delirio continuo, senza fine, senza sosta e vergogna alcuna. Raggiungendo l'acme, col pettegolezzo morboso da portineria, ammantato dal solito, sottile dileggio partigiano dell'avversario, appena quello ha mollato le difese. “Una storia strana, pare che la madre di Melanie abbia divorziato dal padre, ed ora stia con l'allenatore della figlia...Eh Rita? Che ne pensi? Eh?”. Rita, con classe, stronca sul nascere un seguito aberrante. “Ma guarda, non sono informata su certe cose...”. Sul campo Francesca continua il suo spettacolo, senza strafare. Non importa, le basta e avanza per vincere la resistenza della giovane avversaria, che tiene solo per un'ora prima di disunirsi e lasciare il campo alla nostra leonessa. 7-6 6-2, e Italia avanti 2-0.
Stamane mi sveglio alle 14,15 circa, con la testa che pulsa atrocemente per i postumi di una sbronza premeditata. Ed una svitata che mi guarda perplessa, con lo sguardo alterato. Chi è? Che vuole da me? Poi, fortunatamente, se ne va. Accendo la tv e scopro, senza nemmeno tanta sorpresa che Flavia Pennetta ha portato a casa il punto decisivo, 7-5 6-2 alla Oudin. E non mi ci vuole molto ad immaginare un esito simile al match di sabato, con l'americana capace di reggere un'ora al massimo. Bene, brave-bis. L'italia del tennis femminile si dimostra straordinario esempio di carattere e compattezza. Talento, solidità, anche mentale, e professionalità. Tutto quello che manca agli uomini in tricolore, insomma. E pazienza se non c'erano le Williams, chi manca ha sempre torto. Viene da chiedersi se una squadra così grande ed encomiabile, meriti Fabretti. A proposito, se qualcuno ha visto gli incontri di domenica, ed abbia ascoltato altre gemme del prode telecronista, sono ansioso di sapere.

5 commenti:

  1. Bravo Picasso, io mi limito ad osservare come queste scene di giubilo non siano congruenti con la modesta classifica delle avversarie e l'atmosfera da gita d'istruzione, come d'altronde hai avvertito anche tu, della panchina americana.
    La telecronaca...vabbè lasciamo perdere. Una buona giornata!

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  2. te l'avevo detto che intervistavano max giusti!!!comunque siamo al numero 27.

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  3. @Bruno,
    ciao, si, forse eccitazione eccessiva. sono state brave. Altre vincono gli slam, e snobbano la fedcup come un torneo minore. E' la solita storia. Bravissime comunque a sfruttare la situazione. Alla prossima...

    @Marco,
    ciao, ma non capisco il senso di Max Giusti. Forse il prossimo anno lo fanno vicecapitano.
    Ho visto qualcosa di Farfalletta-Rezai. All'altra le entrava di tutto, anche le palline tirate col manico. Occasione persa, comunque va bene così, ciao.

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  4. Thanks Jack,
    (ps: where's Flavia Pennetta?)
    See you, to the next.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.