La tappa di Zurigo del champions tour, in cui si affrontano vecchi campioni, è l'occasione per riflettere sul mutamento del tennis, e la progressiva scomparsa del servizio e volée
"Tra dieci anni, nessuno giocherà serve&volley, e non ci saranno coach che insegnino i ragazzi a giocare in quel modo.". A margine della sfida di Davis contro l'Italia, Max Mirnyi parlava così. Più che una profezia di Nostradamus, quella del bielorusso è sembrata una chiara osservazione disincantata della realtà. Materiali, racchette, superfici sempre più lente, hanno scoraggiato gli allenatori ad erudire i ragazzini con la nobile arte del gioco di volo, a favore del muscolare "tira forte e corri", più adatto ai nuovi strumenti. Tutto muta e scorre, e il tennis non sfugge a questa regola. Una evoluzione spaventosa, che non sempre può piacere, ma alla quale ci si deve abituare.
Immagini sbiadite. Capita di rivedere un vecchio filmato di Edberg-McEnroe a Wimbledon 1989, e appare quasi un altro sport. Ventuno anni di mutamenti, tutti in quelle immagini. Il vecchio numero uno, respinto nello strenuo tentativo di riprendersi lo scettro dei prati londinesi dall'algido e flessuoso cigno svedese, che si esibiva in gran servizi lavorati e velenosi. Non per sparare la cannonata vincente, ma per guadagnare quella frazione di tempo in più, utile per aggrapparsi alla rete, e giocare la più bella volè d'approccio della storia recente. Mac non si rassegnò mica, ce la mise tutta. Inevitabilmente e malinconicamente, senza l'antica esplosività, malgrado ricami al limite del prodigio. Edberg finì per imporsi. Gelido, garbato ed implacabile. Perfetto trionfo e sfavillio armonico del gesto tecnico, Edberg era il Federer della volée.
Come prima, più di prima. Ventuno anni dopo, in un marasma di top-spin, bordate di servizio, bazooka e randelli sovrumani, riecco i due eroi a Zurigo, nella seconda tappa del Champions Tour. McEnroe è un 51enne signore brizzolato, che tra una sceneggiata da copione e l'altra, zompetta a rete come un satanasso. Stefan è in forma imbarazzante. Asciutto, impeccabile, una statua greca. Maschera abilmente i problemi alla schiena, e quasi alla soglia delle 44 primavere, continua a volleare senza umane sbavature. Approdano sulla rete sempre più in ritardo. Ma vederli, anche solo per qualche scorcio, è sempre un sollievo dello spirito oramai struprato dalla maniscalcheria legalizzata del tennis recente. Con la mano riescono a compensare il resto. Loro possono. La spunta, ancora una volta Edberg: 6-4 4-6 13-11, dopo aver annullato due match point. Tripudio del pubblico, e Mac che gli stringe la mano e vorrebbe intimamente ammazzarlo.
Inutile rimuginare. Prima che trascorrano quei dieci anni annunciati da Mirnyi, non rimane che godersi gli ultimi esemplari del servizio e volè, che come delle specie in via d'estinzione, ancora s'ostinano, quasi tutti a fine carriera. Fuori tempo e fuori moda, ma anche "fuori risultati", perché il più delle volte è uno schema che non paga. Andare a rete non serve, perché il punto si chiude prima. Le pertiche semoventi Isner e Karlovic, avanzano solo per completare l'ace, e perché a rimbalzo non riescono a colpire. E' capitato persino di vedere uno come Monfils (che la volè la gioca come Pappalardo che si accinge a spaccare una noce di cocco), seguire la battuta a rete una o due volte a match, ma solo per motivi tattici: l'altro si spaventa e sbaglia. Tra le donne, splendido e pressochè unico esempio di tennista serve&volley è la mancina iberica Maria Josè Martinez Sanchez, pupilla assoluta, da me battezzata "farfalletta volleatrice", che a 27 anni ha saputo emergere ed avvicinare la prime venti.
Si contano sulle dita di una mano. Tra gli uomini, c'è qualche "purista" in più. Radek Stepanek si tiene a galla, a ridosso dei top ten, malgrado le incombenti 32 primavere. Autentico sfoggio di tennis vintage, il ceco. Smorzate deliziose, attacchi contro tempo e volè di gran tocco. Sul veloce come sulla terra. Altro esponente della "casta" è Feliciano Lopez, mancino spagnolo che tra gran colpi di volo, pause e bagliori, rema tra i primi trenta. Michael Llodra, mancino di Francia, il mese scorso è ritornato a deliziare le platee, vincendo a Marsiglia. Anche lui rattoppato ed oltre la trentina, fatuo godimento, in estemporanee esibizioni da virgulto della volée. Tristemente declinate e minato dalla sorte, è Nicolas Mahut, "volleatore" compulsivo che oramai rema nei challengers, e fatica a riavvicinare i primi cento. C'è il maldestro e arrangiato giamaicano Dustin Brown, che attacca prima e seconda, ed anche terza, se solo ci fosse. Rajeev Ram, troppo debole per essere vero. Ball e Guccione, riminiscenze contaminate della scuola australiana. Misha Zverev e l'airone ucraino Sergiy Stakhovsky, ultimamente visti sempre più timorosi, remare dietro la riga, in evidente fase d'involuzione. Frank Dancevic, canadese dai mezzi fisici e tecnici spaventosi, mestamente messo k.o. dal fisico.
Chi dal knock-out si è rialzato con caparbietà, è Taylor Dent, imponente americano, ritornato tennista dopo due anni da invalido civile, a causa di atroci problemi alla schiena. Si arrabatta gaudente e dolente, sempre seguendo la battuta a rete. Ma solo sulla prima palla. Perché "sulla seconda è diventato impossibile, e i tennisti sono migliorati molto nella risposta". Ma con l'indubbia soddisfazione di vedere un suo match giudicato fra i tre più belli della stagione 2009. Un confronto fuori dal tempo, con l'altro "volleatore" anacronistico Ivan Navarro Pastor (spagnolo che vede i primi 100 al mondo come un miraggio), sul centrale illuminato di Flushing Meadows. Quattro ore di tennis antico, con forsennate discese a rete, da commuovere i nostalgici e far rimanere allibiti i giovani, che non avendo mai visto Rafter, si saranno chiesti se fossero improvvisamente cambiate le regole del loro sport.
Post scritto per Tennis.it
"Tra dieci anni, nessuno giocherà serve&volley, e non ci saranno coach che insegnino i ragazzi a giocare in quel modo.". A margine della sfida di Davis contro l'Italia, Max Mirnyi parlava così. Più che una profezia di Nostradamus, quella del bielorusso è sembrata una chiara osservazione disincantata della realtà. Materiali, racchette, superfici sempre più lente, hanno scoraggiato gli allenatori ad erudire i ragazzini con la nobile arte del gioco di volo, a favore del muscolare "tira forte e corri", più adatto ai nuovi strumenti. Tutto muta e scorre, e il tennis non sfugge a questa regola. Una evoluzione spaventosa, che non sempre può piacere, ma alla quale ci si deve abituare.
Immagini sbiadite. Capita di rivedere un vecchio filmato di Edberg-McEnroe a Wimbledon 1989, e appare quasi un altro sport. Ventuno anni di mutamenti, tutti in quelle immagini. Il vecchio numero uno, respinto nello strenuo tentativo di riprendersi lo scettro dei prati londinesi dall'algido e flessuoso cigno svedese, che si esibiva in gran servizi lavorati e velenosi. Non per sparare la cannonata vincente, ma per guadagnare quella frazione di tempo in più, utile per aggrapparsi alla rete, e giocare la più bella volè d'approccio della storia recente. Mac non si rassegnò mica, ce la mise tutta. Inevitabilmente e malinconicamente, senza l'antica esplosività, malgrado ricami al limite del prodigio. Edberg finì per imporsi. Gelido, garbato ed implacabile. Perfetto trionfo e sfavillio armonico del gesto tecnico, Edberg era il Federer della volée.
Come prima, più di prima. Ventuno anni dopo, in un marasma di top-spin, bordate di servizio, bazooka e randelli sovrumani, riecco i due eroi a Zurigo, nella seconda tappa del Champions Tour. McEnroe è un 51enne signore brizzolato, che tra una sceneggiata da copione e l'altra, zompetta a rete come un satanasso. Stefan è in forma imbarazzante. Asciutto, impeccabile, una statua greca. Maschera abilmente i problemi alla schiena, e quasi alla soglia delle 44 primavere, continua a volleare senza umane sbavature. Approdano sulla rete sempre più in ritardo. Ma vederli, anche solo per qualche scorcio, è sempre un sollievo dello spirito oramai struprato dalla maniscalcheria legalizzata del tennis recente. Con la mano riescono a compensare il resto. Loro possono. La spunta, ancora una volta Edberg: 6-4 4-6 13-11, dopo aver annullato due match point. Tripudio del pubblico, e Mac che gli stringe la mano e vorrebbe intimamente ammazzarlo.
Inutile rimuginare. Prima che trascorrano quei dieci anni annunciati da Mirnyi, non rimane che godersi gli ultimi esemplari del servizio e volè, che come delle specie in via d'estinzione, ancora s'ostinano, quasi tutti a fine carriera. Fuori tempo e fuori moda, ma anche "fuori risultati", perché il più delle volte è uno schema che non paga. Andare a rete non serve, perché il punto si chiude prima. Le pertiche semoventi Isner e Karlovic, avanzano solo per completare l'ace, e perché a rimbalzo non riescono a colpire. E' capitato persino di vedere uno come Monfils (che la volè la gioca come Pappalardo che si accinge a spaccare una noce di cocco), seguire la battuta a rete una o due volte a match, ma solo per motivi tattici: l'altro si spaventa e sbaglia. Tra le donne, splendido e pressochè unico esempio di tennista serve&volley è la mancina iberica Maria Josè Martinez Sanchez, pupilla assoluta, da me battezzata "farfalletta volleatrice", che a 27 anni ha saputo emergere ed avvicinare la prime venti.
Si contano sulle dita di una mano. Tra gli uomini, c'è qualche "purista" in più. Radek Stepanek si tiene a galla, a ridosso dei top ten, malgrado le incombenti 32 primavere. Autentico sfoggio di tennis vintage, il ceco. Smorzate deliziose, attacchi contro tempo e volè di gran tocco. Sul veloce come sulla terra. Altro esponente della "casta" è Feliciano Lopez, mancino spagnolo che tra gran colpi di volo, pause e bagliori, rema tra i primi trenta. Michael Llodra, mancino di Francia, il mese scorso è ritornato a deliziare le platee, vincendo a Marsiglia. Anche lui rattoppato ed oltre la trentina, fatuo godimento, in estemporanee esibizioni da virgulto della volée. Tristemente declinate e minato dalla sorte, è Nicolas Mahut, "volleatore" compulsivo che oramai rema nei challengers, e fatica a riavvicinare i primi cento. C'è il maldestro e arrangiato giamaicano Dustin Brown, che attacca prima e seconda, ed anche terza, se solo ci fosse. Rajeev Ram, troppo debole per essere vero. Ball e Guccione, riminiscenze contaminate della scuola australiana. Misha Zverev e l'airone ucraino Sergiy Stakhovsky, ultimamente visti sempre più timorosi, remare dietro la riga, in evidente fase d'involuzione. Frank Dancevic, canadese dai mezzi fisici e tecnici spaventosi, mestamente messo k.o. dal fisico.
Chi dal knock-out si è rialzato con caparbietà, è Taylor Dent, imponente americano, ritornato tennista dopo due anni da invalido civile, a causa di atroci problemi alla schiena. Si arrabatta gaudente e dolente, sempre seguendo la battuta a rete. Ma solo sulla prima palla. Perché "sulla seconda è diventato impossibile, e i tennisti sono migliorati molto nella risposta". Ma con l'indubbia soddisfazione di vedere un suo match giudicato fra i tre più belli della stagione 2009. Un confronto fuori dal tempo, con l'altro "volleatore" anacronistico Ivan Navarro Pastor (spagnolo che vede i primi 100 al mondo come un miraggio), sul centrale illuminato di Flushing Meadows. Quattro ore di tennis antico, con forsennate discese a rete, da commuovere i nostalgici e far rimanere allibiti i giovani, che non avendo mai visto Rafter, si saranno chiesti se fossero improvvisamente cambiate le regole del loro sport.
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