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domenica 14 marzo 2010

Volée senza tempo


La tappa di Zurigo del champions tour, in cui si affrontano vecchi campioni, è l'occasione per riflettere sul mutamento del tennis, e la progressiva scomparsa del servizio e volée
"Tra dieci anni, nessuno giocherà serve&volley, e non ci saranno coach che insegnino i ragazzi a giocare in quel modo.". A margine della sfida di Davis contro l'Italia, Max Mirnyi parlava così. Più che una profezia di Nostradamus, quella del bielorusso è sembrata una chiara osservazione disincantata della realtà. Materiali, racchette, superfici sempre più lente, hanno scoraggiato gli allenatori ad erudire i ragazzini con la nobile arte del gioco di volo, a favore del muscolare "tira forte e corri", più adatto ai nuovi strumenti. Tutto muta e scorre, e il tennis non sfugge a questa regola. Una evoluzione spaventosa, che non sempre può piacere, ma alla quale ci si deve abituare.
Immagini sbiadite. Capita di rivedere un vecchio filmato di Edberg-McEnroe a Wimbledon 1989, e appare quasi un altro sport. Ventuno anni di mutamenti, tutti in quelle immagini. Il vecchio numero uno, respinto nello strenuo tentativo di riprendersi lo scettro dei prati londinesi dall'algido e flessuoso cigno svedese, che si esibiva in gran servizi lavorati e velenosi. Non per sparare la cannonata vincente, ma per guadagnare quella frazione di tempo in più, utile per aggrapparsi alla rete, e giocare la più bella volè d'approccio della storia recente. Mac non si rassegnò mica, ce la mise tutta. Inevitabilmente e malinconicamente, senza l'antica esplosività, malgrado ricami al limite del prodigio. Edberg finì per imporsi. Gelido, garbato ed implacabile. Perfetto trionfo e sfavillio armonico del gesto tecnico, Edberg era il Federer della volée.
Come prima, più di prima. Ventuno anni dopo, in un marasma di top-spin, bordate di servizio, bazooka e randelli sovrumani, riecco i due eroi a Zurigo, nella seconda tappa del Champions Tour. McEnroe è un 51enne signore brizzolato, che tra una sceneggiata da copione e l'altra, zompetta a rete come un satanasso. Stefan è in forma imbarazzante. Asciutto, impeccabile, una statua greca. Maschera abilmente i problemi alla schiena, e quasi alla soglia delle 44 primavere, continua a volleare senza umane sbavature. Approdano sulla rete sempre più in ritardo. Ma vederli, anche solo per qualche scorcio, è sempre un sollievo dello spirito oramai struprato dalla maniscalcheria legalizzata del tennis recente. Con la mano riescono a compensare il resto. Loro possono. La spunta, ancora una volta Edberg: 6-4 4-6 13-11, dopo aver annullato due match point. Tripudio del pubblico, e Mac che gli stringe la mano e vorrebbe intimamente ammazzarlo.
Inutile rimuginare. Prima che trascorrano quei dieci anni annunciati da Mirnyi, non rimane che godersi gli ultimi esemplari del servizio e volè, che come delle specie in via d'estinzione, ancora s'ostinano, quasi tutti a fine carriera. Fuori tempo e fuori moda, ma anche "fuori risultati", perché il più delle volte è uno schema che non paga. Andare a rete non serve, perché il punto si chiude prima. Le pertiche semoventi Isner e Karlovic, avanzano solo per completare l'ace, e perché a rimbalzo non riescono a colpire. E' capitato persino di vedere uno come Monfils (che la volè la gioca come Pappalardo che si accinge a spaccare una noce di cocco), seguire la battuta a rete una o due volte a match, ma solo per motivi tattici: l'altro si spaventa e sbaglia. Tra le donne, splendido e pressochè unico esempio di tennista serve&volley è la mancina iberica Maria Josè Martinez Sanchez, pupilla assoluta, da me battezzata "farfalletta volleatrice", che a 27 anni ha saputo emergere ed avvicinare la prime venti.
Si contano sulle dita di una mano. Tra gli uomini, c'è qualche "purista" in più. Radek Stepanek si tiene a galla, a ridosso dei top ten, malgrado le incombenti 32 primavere. Autentico sfoggio di tennis vintage, il ceco. Smorzate deliziose, attacchi contro tempo e volè di gran tocco. Sul veloce come sulla terra. Altro esponente della "casta" è Feliciano Lopez, mancino spagnolo che tra gran colpi di volo, pause e bagliori, rema tra i primi trenta. Michael Llodra, mancino di Francia, il mese scorso è ritornato a deliziare le platee, vincendo a Marsiglia. Anche lui rattoppato ed oltre la trentina, fatuo godimento, in estemporanee esibizioni da virgulto della volée. Tristemente declinate e minato dalla sorte, è Nicolas Mahut, "volleatore" compulsivo che oramai rema nei challengers, e fatica a riavvicinare i primi cento. C'è il maldestro e arrangiato giamaicano Dustin Brown, che attacca prima e seconda, ed anche terza, se solo ci fosse. Rajeev Ram, troppo debole per essere vero. Ball e Guccione, riminiscenze contaminate della scuola australiana. Misha Zverev e l'airone ucraino Sergiy Stakhovsky, ultimamente visti sempre più timorosi, remare dietro la riga, in evidente fase d'involuzione. Frank Dancevic, canadese dai mezzi fisici e tecnici spaventosi, mestamente messo k.o. dal fisico.
Chi dal knock-out si è rialzato con caparbietà, è Taylor Dent, imponente americano, ritornato tennista dopo due anni da invalido civile, a causa di atroci problemi alla schiena. Si arrabatta gaudente e dolente, sempre seguendo la battuta a rete. Ma solo sulla prima palla. Perché "sulla seconda è diventato impossibile, e i tennisti sono migliorati molto nella risposta". Ma con l'indubbia soddisfazione di vedere un suo match giudicato fra i tre più belli della stagione 2009. Un confronto fuori dal tempo, con l'altro "volleatore" anacronistico Ivan Navarro Pastor (spagnolo che vede i primi 100 al mondo come un miraggio), sul centrale illuminato di Flushing Meadows. Quattro ore di tennis antico, con forsennate discese a rete, da commuovere i nostalgici e far rimanere allibiti i giovani, che non avendo mai visto Rafter, si saranno chiesti se fossero improvvisamente cambiate le regole del loro sport.
Post scritto per Tennis.it

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.