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lunedì 12 aprile 2010

Doping e contraddizioni. Il caso Odesnik



Fa ancora discutere il caso di Wayne Odesnik, americano trovato in possesso di sostanze proibite. Il mondo del tennis torna ad interrogarsi sul controverso problema doping.
L'ultimo caso. Beccato con il sorcio in bocca. Anzi, con le fiale di sostanze dopanti nel borsone, assieme alle racchette. Otto, per la precisione, stabiliscono i gendarmi australiani. HGH, s'affrettano a specificare i ben informati, un ormone della crescita. Doping di nuova generazione assai raffinato e difficilmente rintracciabile. L'ominide colto in fallo è Wayne Odesnik. Modesto pedalatore americano d'origine sudafricana, con l'espressione da pantegana e le orecchie a sventola. Uno dei tanti gragari che vagano nel circuito, di quelli che puoi scorgere nei primi turni, peregrinando tra i vari campi. Scoperto in flagrante, ha confessato il possesso delle sostanze. Non è ancora dato sapere se abbia ammesso solo la detenzione, o anche il consumo. La sostanza non cambia di molto, e ripropone in modo inquietante, un problema antico, vecchio come lo sport. Ed al quale, il tennis non può sottrarsi.
I controversi scandali del 2009. La stagione passata, è stata foriera di piccoli grandi scandali. Ancor più discussi e discutibili, perchè hanno visto coinvolti atleti del presente e del passato, più famosi di Odesnik. E non sempre si è trattato di sostanze dopanti tradizionali. Devono ancora esaurirsi gli echi della vicenda Richard Gasquet, trovato positivo alla cocaina. Con lo smarrito ragazzo francese, dapprima squalificato, poi reintegrato ed ancora al centro di controversie in vari tribunali. La geniale trovata del contagioso bacio alla cocaina "subito", sembra aver fatto breccia nei teneri cuori dei giudici. Ma al di là dell'aspetto grottesco, può dirsi che giustizia è stata fatta, seppur con mezzi che definire fantasiosi sarebbe riduttivo. Il giovane francese non ha mai brillato per intelligenza, ma vedere un semplice sciroccato da night club, punito alla stessa stregua di truffaldino patentato pieno come un'otre di nandrolone, con gli occhi a palla e la bava fluorescente, era troppo.
Il ciclone Agassi. C'è stato poi l'enorme polverone sollevato da Andre Agassi. L'ex kid di Las Vegas, per vendere qualche copia in più del suo libro, ammette il consumo di polvere d'angelo ed altre droghe allucinogene. Dichiara di aver giocato sotto l'effetto di quelle sostanze. Chi lo sa, magari invece del solito Pete Sampras, vedeva un elefantino verdastro che volteggiava sulle note del rigoletto. Sdegno e costrenazione nell'ambiente tennistico. Colleghi ed addetti ai lavori unanimi nel condannare l'americano che calzava parruchini da cantante heavy metal. Ma lo scandalo maggiore ha coinvolto la federazione antidoping, scoperta nel suo attegiamento di scodinzolante transigenza verso il campione cui non si poteva rinunciare, per il bene dell'intero circo.
Yanina e Xavier, sospesi. Sbugiardati dalle parole del pelato americano, gli illustri membri della federazione hanno deciso di usare iol pugno di ferro. Dopo il caso minore di Ivo "carismio" Minar, prime vittime della ritrovata severità (verso mezzi figuri, ovvio) sono stati i due belgi Xavier Malisse e Yanina Wickmayer. Il vecchio squilibrato e la giovane vatussa, condannati a due anni a causa di ripetute mancate reperibilità ad un controllo. Ora, almeno per Xavier è parsa una crudeltà gratuita. Quale reperibilità può garantire uno che da anni prova a reperire, senza alcun risultato, il suo cervello? Dopo il seguente ricorso, i due giocano ancora, come coloro son sospesi nell'aere, in attesa del giudizio finale. Rimangono vittime, più che del doping, del tragicomico tentativo della federazione, di voler recuperare punti e credibilità, dopo l'ignomignoso affaire Agassi.
Odesnik, e vecchi fantasmi argentini. Ora Odesnik. A pensare male si fa peccato, ma certe volte ci si prende alla grande. Maldicenze, dicerie e risolini si sono susseguiti, leggendo il nome dell'allenatore di Wayne: Guillermo Canas. Appena ritirato dalla carriera agonistica e addentratosi in quella di coach. Uno dei quattro moschettieri argentini del doping, forse il D'Artagnan. Assieme a Coria, maghetto del nandrolone, Ignatio Chela che ancora si arrabatta orridamente nel circuito e Mariano Puerta, quello delle doppia squalifica, ergastolo sportivo, perdono e maldestri tentativi di rientri in challenger per residuati bellici. Il nome di Canas potrebbe anche essere del tutto fortuito, allo stato attuale non v'è connessione provata. Magari è solo una sfortunata casualità. Potrà tranquillamente dire: Non sono io che cerco il doping, è il doping che viene dietro a me.
Contraddizioni e caos. L'americano è un altro pesce piccolo e rachitico, caduto nella rete del doping. Anzi del presunto doping, anche lui. Perché non è stato mica smascherato da un controllo, ma dai gendarmi di frontiera. Ed è qui il primo dei tanti paradossi, che la vicenda porta con se. La conferma lampante di quanto i controlli attuali non servano quasi a nulla, potendo simili sostanze essere facilmente occultabili nei prelievi d'urina. Il rischio tragico è che la lotta alle sostanze proibite venga lasciata a gendarmerie locali e forze dell'ordine anche nel tennis, dovendo assistere a scene simili a quelle già viste nel ciclismo. Perché è inutile continuare a negarselo, il doping si evolve con maggior alacrità dell'antidoping, in una specie di circolo vizioso senza fine. Lascia ancor più perplessi sapere come Wayne fosse stato controllato tre volte negli ultimi tre anni. A testimoniare una tendenza che vede la lotta al doping, già fallace in se, concentrarsi soprattutto sui primi al mondo, in modo puramente scenico. Tra solite banalizzazioni, ed inutili richiami a lealtà e cultura sportiva, è evidente come il cancro doping purtroppo ci sarà sempre. Bisogna solo conviverci e cercare di limitare in modo più efficiente possibile. Fregare il prossimo, è un'inclinazione che ci si porta dietro dai tempi di Adamo ed Eva ed il furbetto ci sarà ovunque, anche nel tennis. Rimane la più lucida provocazione, una volta ascoltata da Rino Tommasi, secondo cui l'unica soluzione per rendere inutile il ricorso alle sostanze dopanti ed evitare la tentazione, sarebbe legalizzarlo. Il resto, è solo caos intellettuale, e marasma allargato dalla confusione di chi gestisce maldestramente i controlli
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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.