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lunedì 26 aprile 2010

Fed Cup, promosse e bocciate


Nel week end romano, l'Italia accede alla finale di Fed Cup. Schiavone impeccabile, Pennetta contratta. Il ritorno di Galeazzi, rutilante e naif come i "lobboni" anni '70 della Hradrecka
Flavia Pennetta: 7. La brindisina è più nervosa del solito. Tesa, frenata, bizzosa come una puledra recalcitrante. Davvero non si capisce cosa le crei quel leggero malessere sotto traccia. Un po' la sagoma corpulenta e surreale della Hradecka, arrangiatissima ma a suo modo imprevedibile. La tensione, forse. O quell'ossessivo "spingi! spingi!" del capitano, che le trapanava le meningi. E Flavia (estenuata) risponde con atteggiamento stizzito da Ana Ivanovic quieta (parlandone da viva). Nel match d'esordio contro la modesta e goffa ceca, la si vede eccessivamente sulla difensiva. Inizia entrambi i set con l'handicap, prima di prendere il sopravvento. Qualche problema anche con Petra Kvitova, da cui si fa trascinare al tie-break, per poi dilagare e darci il punto della semifinale. E in fondo, quello conta.
Francesca Schiavone: 7,5. La "leonessa" offre una prestazione tecnicamente sontuosa, contro quella che la classifica indicava come il maggior ostacolo tra l'Italia e la finale. Sciorinante esibizione di tennis vario ed imprevedibile, che manda in tilt la centralina di una Safarova già improponibile di suo. Back, top, smorzate e prese della rete, come nulla fosse. Un "lift&loft" spumeggiante. L'esperta azzurra, leggiadro passo da "gangsteressa", e lancinanti rantoli udibili solo nelle cerimonie di evirazione di future voci bianche, si conferma la punta di diamante della squadra.
Sara Errani: 6,5. La bolognese urlante vince il doppio e l'ultimo singolare a risultato acquisito, ovviamente lontana dai miei occhi. Intento in una ritemprante passeggiata tra gli augelletti tubanti, udivo in lontananza gli echi strazianti delle sue grida di battaglia. Affidabile numero tre, comunque.
Roberta Vinci: s.v. Il suo record di vittorie consecutive nel doppio rappresentava uno degli argomenti più interessanti dell'intero week end. Fabretti non stava nella pelle all'idea, prospettandocelo come un avvenimento epocale. Chissà se qualcuno gli avrà raccontato che un tizio strano ha vinto sedici slam. In condizioni fisiche precarie, la tarantina rinuncia a giocarlo a risultato acquisito. Brava a prescindere Robertina, sempre. Increscioso il Fabretti: Alle prese col tennis è come Flavia Vento (o la Carfagna) che disserta di politica.
Lucie Hradecka: 5 (8 di umana stima). Il capitano ceco, forse sapendo del rutilante ritorno al commento del "bisteccone" nazionale, deve avercela proposta come cadeaux. Surrealmente goffa, imponente e pesante. Gote paffute e braccia da pingue lanciatrice del peso, questo curioso esemplare di quadrumane semovente ispira una gran tenerezza. "Quando si giocano entrambi i colpi a due mani, occorre compensare con una maggiore mobilità", rimarca con crudele cinismo Rita Grande (6,5). Perché quella per muoversi avrebbe bisogno di un carro attrezzi. "Lucie in the Sky with Diamonds", somiglia ad un viaggio allucinato. Alterna orride pallate in piccionaia a degli anacronistici "lobboni" da sfide over 65 nei circoli. Qualcosa che non si vedeva a livello professionistico dal 1962. Ogni tanto segue quei gran pallonetti a rete, vi si fionda come un adorabile cucciolo di mammuth all'arrembaggio e colpisce di volo con terrore vero, neanche la pallina fosse una salamandra urticante o una pillola contro l'inappetenza. Poi sbaglia e si prende a furiose racchettate sulle rotule. Idolo assoluto. Avrà un posto nel mio cuore e la seguirò con maggiore attenzione, in futuro.
Lucie Safarova: 5. L'altra Lucie, quella forte. Così dicevano i bene informati, con un pizzico d'apprensione guardinga negli occhi venati. Una che se trova la giornata giusta se la gioca punto a punto con Venus Williams al Roland Garros. Altrimenti perde da Romina Oprandi ad Ortisei. Santa Lucia protettrice della vista, a lei non deve aver fatto la grazia. E Francesca Schiavone si diverte come al luna park nello svelare i limiti di questa ragazza dall'intelligenza tattica pari a quella di un lichene. Tradito dalla nazionalità e dal quel modo accecato di concepire il tennis, qualcuno può crederla gemella mancina monozigote di Tomas Berdych. Niente di più sbagliato, è stata la sua girlfriend. E tutto ha una sua malvagia logica. Anche l'eventuale pargolo nato dalla loro gaudente unione: Il lichene di cui sopra, con occhiali da miopia fulminante.
Petra Kvitova: 5. Mandata dentro nella seconda giornata, è parsa meno peggio delle altre. E in fondo, sebbene non adatta alla terra battuta, i risultati giovanili e negli slam, confermavano le capacità del giovin balenottero mancino. Alta e massiccia, con un girovita da figlia illegittima di Moby Dick e Mara Maionchi, Petra è tennista spartana ed estrema. Il suo tennis prevede due varianti di fondo: Roncola terrificante sparata sulla riga o errore pacchiano. Dal terzo scambio in poi si arena tristemente, esalando un ghignetto di dolore. Regge per un'ora contro Flavia Pennetta, prima di squagliarsi inesorabilmente.
Corrado Barazzutti: 7. Soliti pomeriggi da Fed Cup, tranquilli e fiduciosi. Senza nemmeno quel picco "hitchcockiano" dato dal palpitante "dilemma doppio". Ad un certo punto pare si voglia limare le unghie. Solo qualche attimo di concitazione a lacerare il suo serafico mutismo, per scuotere una Pennetta tesissima. "Spingi! Spingi!", le ripete, neanche fossimo in una sala parto. Ad ogni collegamento con la panchina, la solerte inviata riporta quel preziosissimo ed ossessionante suggerimento tecnico-tattico, simile ad un mantra sciamanico: "Eh, Corrado le sta chiedendo di spingere!".
Petr Pala: 5. Leggendo le scelte del capitano ceco, vien da chiedersi quale strano morbo sadomasochistico possa averlo colpito nel preferire Lucie Hradecka a Petra Kvitova. A giochi fatti, questo Davydenko un filo più vitale e con un po' di peluria in testa, non aveva molta scelta. I tre quadri di Botero a disposizione, facevano mezza giocatrice intera.
Giampiero Galeazzi: 8. Il ritorno dell'istrione inarrestabile. Sarà la frizzante atmosfera romana, o chissà cosa, ma pare in forma dirompente. Una serie sconfinata di battute e citazioni da gatto sornione del colosseo, tipiche del cabaret o della trattoria da "Mirketto er monnezza". Dalla Sukova, fino a Kodes. Mica Tilden o Laver. La sua conoscenza tennistica è limitata al Foro. Sta tutta lì, e negli aneddoti che sciorina in modo godereccio. Del tennis moderno dovrebbe sapere poco o nulla. Ma senza mai prendersi troppo sul serio, o con patetiche pretese di rendersi credibili malgrado l'evidenza. Sta lì il segreto. Ogni riferimento a chi lo sostituisce la domenica, reduce dal commento dei campionati regionali ciclo amatori della Valcamonica, è puramente casuale.

2 commenti:

  1. effettivamente la lieta sorpresa non consiste nel vedere l'italia in finale,ormai più che una abitudine,ma nelritrovare il mitico bisteccone.Meno male che ogni tanto qualche gara ciclistioca debba venire trasmessa sennò poveri noi.

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  2. Ciao Marco,
    si, in effetti è stata una delle cose più interessanti. inarrestabile il bistecone. La cosa bella, è che lui è molto autoironico. L'altro, beh...non sa assolutamente nulla e si mostra neanche fosse un mix tra Clerici e Tommasi...e invece conosce solo di punzonature, traguardi volanti, etc...=)
    ciao, alla prossima.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.