.

.

mercoledì 28 aprile 2010

Internazionali d'Italia, il mesto saluto di Federer


Una giornata da tregenda fantozziana. Dense nubi di cemento all'orizzonte, premonitrici di nefaste novelle per gli adoranti supporters sugli spalti. Sua maestà danzante Roger Federer, signore di tutte le celestiali galassie tennistiche, fa il suo esordio agli Internazionali d'Italia, in un uggioso tardo pomeriggio romano.
Gulbis, per un esordio imprevedibile. Al cospetto del monarca, la sagoma allampanata e scapigliatamente rossiccia di Erests Gulbis, giovane lettone criminosamente auto confinatosi ai margini della classifica. Un ceffo che da almeno due anni s'ingegna per soffocare il nitidissimo talento avuto in dono da divinità in giornata di grazia. Sembra, Ernests di Lettonia, uno di quegli svitati che godono intimamente nell'ammazzare il proprio talento, trovandone ispirazione mortale. Gli altri, i dritti, li credono pazzi, e loro glielo fanno credere. Sarà per quello che, ritiratosi Marat, si è guadagnato un ingresso di diritto nella mia classifica di "ram-polli".
Sebbene schizoidamente imprevedibile, svogliato, snob, viziato, e tanto altro, rimaneva brutto cliente per un Federer alla prima assoluta sulla terra battuta. Non l'avversario ideale per la sua oramai risaputa scelta di programmazione, su tutte quelle manifestazioni che non sono Grande Slam: Preparazione approssimativa (inesistente suona male), un paio di avversari materasso da superare e con cui trovare un minimo di condizione. Poi tutto ciò che viene sarà accettato con l'animo sereno di chi ha già vinto tutto, e che vuole solo provare l'ultimo sfizio immortale. Altro conto sono le frotte di estasiati tifosi, che dagli spalti gridano il nome del "verbo" in estatica crisi mistica. Quelli, si aspetterebbero di vedere lo stesso mostruoso atleta che ammirano dalla tv, nei majors, capace di macinare record ed avversari. Ingenuità da poveri tifosi. A qualcosa occorrerà pur rinunciare, per diventare Roger Federer, si starà ripetendo lo svizzero da tempo.
Primo set da numero uno assoluto. Complice il candido e poco ingannevole bianco, lo svizzero pare pingue e con una tondeggiante panzetta da ricco signore snob, schiavo del vitello tonnato made in Mirka. Poco male, c'è sempre un irripetibile talento a tenerlo a galla. Federer svolazza leggiadro. Gulbis è il solito Gulbis. Prova invano ad uscire dalla morsa letale, con una tattica da giovane aspirante al suicidio. Rischia l'impossibile, e sbaglia anche di più, con impazienza kamikaze. Timore reverenziale, nessuno. Ernests, al limite ce lo ha con il suo "io" fluttuante da qualche parte, nell'iperuranio. Il numero uno al mondo, tra abbozzi di pioggia imminente, pattina in leggerezza sulla terra umida, e fa suo il primo set, tra un ricamo ed un fulminante dritto ad uscire, piazzato in punta di piedi: 6-2, e trenta o quaranta minuti di gran tennis elvetico da numero uno al mondo, senza tanti se.
Il lettone naif soffre maledettamente. Stringe i denti e rimane lì, ad inizio secondo set. Quattro o cinque games di tennis di veemente bellezza, tra un Federer ancora in palla ed un Gulbis che comincia a prendere fiducia nei suoi straripanti mezzi tecnici. Inizia a servire benissimo, accelerazioni in controbalzo che sono assoluta sinfonia deflagrante. Il numeroè svogliatamente smarrito dall'affronto, e a quell'attitudine si appaia la rabberciata condizione fisica.
S'accende la spia della benzina monarchica. Aveva un set nelle gambe Federer, non di più. Comincia a remare, in balia dei colpi fluidi ed esplosivi dell'avversario. Pesante e sempre in ritardo sulla palla, finisce per perdere la misura dei colpi, gettandoli via. Il secondo set scorre via dominato dal lettone: 6-1. Lo svizzero prova a tenersi a galla con qualche fiammata isolata, ma il suo viso è una sagoma di stanchezza, come non la si riesce a intravvedere nemmeno dopo cinque ore di battaglia, in un torneo dei suoi tornei dello slam. L'altro, manco a dirlo, continua nella sua missione virulenta. Gli riesce un rovescio incrociato vincente in controbalzo, col corpo in tremendo ritardo sulla palla, che è fantascientifica gioia tennistica. Gran personalità il boccoluto eroe di giornata. Nessuna paura, ed uno sguardo a metà tra lo sbruffone, l'allucinato, l'annoiato e l'incurante, quando si prende con violenza un break di vantaggio anche nel terzo set.
Il commovente sostegno del pubblico. C'è ancora il tempo per l'ultimo teatrino, ad impreziosire la tragicommedia in atto, sul nuovo centrale. Roger salva miracolosamente due match point sul 3-5, uno osservando un missile di dritto dell'avversario, fuori di un nulla. Gioia e tripudio del pubblico, che al di là delle latitudini, somiglia a quello di un eccitato (ed eccitante) comizio di Borghezio a Ponte di legno. Fischi e schiamazzi, con la palla ancora in gioco. Gulbis è colto da frenesia, simile ad angoscia folle, mentre serve per il match. Un letale miscuglio di insondabili morbi "Marattiani" e "Goraniani" di cui il lettone è vittima impotente, lo portano a provare l'ace di seconda sul match point, a 220km/h. Delirio assoluto del pubblico sul doppio fallo, così come sulla prima sbagliata. Gulbis non reagisce e non si scompone, forse non sente nulla. Cori da stadio, drappi svizzeri sventolanti. ma Federer è come un Robert Plant che regala mezz'ora di delirio ai suoi fans accecati d'amore, e poi prende a steccare, letteralmente sbronzo. E quelli applaudono lo stesso. Non pare nemmeno troppo entusiasta del 5-5 raggiunto (San Jimmy Connors, salvaci tu, penso tra me e me). Getta via nuovamente il servizio, con un game che rasenta lo scempio tennistico. Quando non conta più la condizione, ma il match devi solo portartelo a casa con uno sguardo. E la seconda volta, Enests non delude, chiudendo 7-5. Amen, una prece.
Roger Federer esce mestamente, con uno svogliato cenno di mano verso il pubblico che lo ha sostenuto fino all'inverosimile. Era giunto a Roma con una quarantina di minuti nelle gambe. Il resto poteva acciuffarlo con la sua esondante classe, tirando un coniglio dal cilindro. Ciò che lo solletica, l'ultimo stimolo che ancora lo fa andare avanti dopo aver vinto tutto, è ben chiaro nella sua mente. Gulbis non era tanto d'accordo, è rimasto agganciato, e quel"coniglio dal cilindro" di cui sopra, se l'è sbranato. Non sorprende che abbia vinto contro uno svizzero non al meglio. Al più, smarrisce come riesca a rimanere fuori dai primi cinque al mondo. Ci vuole davvero tantissimo impegno e abnegazione per riuscirci. Forse in ottavi avrà pochissima voglia di stare su un campo, e perderà contro il fantasma formaggino. Non sorprenderebbe. Lui è quello che fece scrivere ad un pazzo appassionato di pelota basca (io medesimo): "Oh, Gulbis. Quello se vuole il torneo lo vince. Se vuole, però." . Confermo, e sottoscrivo alla virgola.

Nessun commento:

Posta un commento


Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.