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mercoledì 30 giugno 2010

Nadal, mezzo numero uno



WIMBLEDON 2010 - Diario di (fuori) bordo - day 6/7/8.
La storia è zeppa di numeri uno al mondo. Spesso casuali, a volte leggendari. Longeve dinastie e brevissimi interregni. Quello di Rafael Nadal è un caso a parte, a tratti esaltante, spesso imbarazzante
Il maiorchino ha dominato da frullante cannibale la stagione sulla terra battuta, senza alcun cenno di cedimento, riprendendosi lo scettro dalle mani di un Federer svagato.
Lo spagnolo è dunque giunto a Wimbledon da numero uno, ma senza i favori del pronostico. Le superfici rapide lo espongono a probabile sconfitta. Da parte del picchiatore esaltato in buona giornata (forse Gulbis, Del Potro, Soderling). Gli altri invece, si ritrovano costretti a dover giocare la partita della vita. Variazioni impeccabili ed elaborati schemi che debbono riuscire alla perfezione. Altrimenti quello, il satanasso di Maiorca, riprende tutto. E' ovunque, te lo trovi in ogni angolo. Lo ammazzi solo con un colpo secco di scimitarra in testa, o con un lavoro ai fianchi che rasenta la perfezione immacolata. L'unico capace di farlo è l'ex monarca spodestato, Roger Federer.
In disarmo contro un Picasso. Eppure questo Wimbledon ci regala uno spagnolo in grave difficoltà. Finanche Philipp Petzschner ieri, di limella e frustate folli, è riuscito a fargli ammirare i fluttuanti fantasmi della sconfitta. Il tedesco stava per compiere l'impresa leggendaria. Quella che avrebbe consegnato il suo cristallino talento alla storia. Il gran perdente che riceve la rivelazione divina sulla via di Damasco. Quella storia la accarezzava con orrida dolcezza, Philipp. Stava per prendersela con sagacia, tecnica e forza. Sotto di un set, inizia a mulinare le gambette come un forsennato satropo ispirato. Finisce persino in prima fila, quasi in braccio ad un'imbacuccata carampana che lo coccola con materno compatimento. Gioca un match al limite delle sue umane e miserande possibilità. Quello che un pò scherzando si era auspicato nel pre partita, affinchè potesse almeno provarci: Servizio impeccabile, gran difese nell'angolo sinistro con slice velenosi. Per sfiancare l'iberico rimandandogli palle difensive basse o aprirsi il campo per il fulmine di dritto. E ancora proditorie discese a rete da funambolo squilibrato.
Ricami ed abomini sparsi, per il Picasso. Che pure non sarà Federer, ma ci prova. Rispetto allo svizzero gli manca il rovescio, le "palle", la mentalità, l'allenamento, il cervello e chi più ne ha... Eppure Nadal è sull'orlo del baratro. Vede le streghe sdentate, e quella faccia da Picasso che riluce oscenamente concentrata dall'altra parte della rete. Ispirato e centrato. Abbagliante, a tratti. Vuoi che regga l'istrionico tedesco possessore di un magnifico rovescio inesistente? Che riesca a chiudere? Difficile. Ma tiene Picasso, tiene alla grande. Non sembra patire di quei cedimenti o black-out che lo hanno reso celeberrimo perdente fulminato. Il pubblico s'esalta. Voglia il cielo c'è ancora qualcuno capace di riconoscere quanto quei ricami elaborati che dipingono il campo e le saette improvvise di dritto, siano qualcosa di prezioso.
Turbamenti e trucchi da scafato baro. E Nadal? Ad inizio del quarto set, incredibilmente sotto di un set, comincia a fare la faccia turbata, quasi seccata. L'altro gli rimanda una stop volley al millimetro simile ad una gemma rara, che avrebbe ripreso solo Nembo Kid truccato da Superman. E lui torce il labbro. Si tocca il poderoso braccio sinistro, dialoga col suo angolo. Gli hanno fatto credere d'esser Superman. E' lì l'inganno. Si tocca ancora, sofferente. Poi a gioco fermo tira un fendente di inusitata violenza intimidatoria. Forse per vedere fino a che punto è dolente l'arto, azzardo. Lo spagnolo comincia la saga del teatrante millantatore, ostentando al mondo il dolore che forse ha e con cui convive da anni. Quello che quando vince e rulla avversari sopporta con gran devozione da martire. E tira fuori, come gran mago delle carte truccate, solo al momento opportuno, appena avverte che il match rischia di sfuggirgli di mano. Ed eccolo fare smorfie urticanti. Si intuisce chiaramente il dialogo. Rafa rassicura Zio Toni sull'ordine di stop medico giunto dall'alto. Come contro Istomin al Queens, per dire dell'ultima sceneggiata degna dei migliori Carmando e "Alemerolao" di pallonara memoria.
Arriva il fisioterapista. Una specie di sciamano pazzo, dovrebbe essere. Gli chiede lumi, e Rafa mostra la faccia dell'indifferenza. "Fai quello che vuoi". Sembra dirgli, assai piccato. I commentatori inglesi se la ridono. Non hanno la benché minima paura o timore reverenziale a smontare la assai presunta correttezza (ormai divenuta legge) dell'iberico. E' solo un modo per spezzare il ritmo ad un avversario ispirato, lo sanno anche i sassi. Ma colpo di scena, il malessere tremendo dell'iberico non è al braccio, bensì al ginocchio. Uno a caso. Petzschner osserva le nuvole gonfie. Picasso intanto, in quei minuti interminabili, starà pensando alla storia. A quell'impresa leggendaria che deve solo andarsi a prendere. Che ormai non può scappargli dalle mani. Certo. Quale pusillanime codardo potrebbe essere lui, dovesse sfuggirgli una simile occasione contro un avversario ormai ferito? E pensa Picasso, pensa. La storia e quel centrale stracolmo che gronda fascino, nel torneo più importante al mondo. Con quello sguardo atrocemente ingarbugliato di chi ha la guerra atomica in testa. O il nulla più stordente.
Il match riprende, ed il lazzaro zoppicante, che pure sembrava sull'orlo dell'eroica tumulazione, sciorina gran colpi arrotati e corre come un ratto-coniglio invasato. Agita i pugni sul muso del "Petzsche". Quello lo guarda quasi con commiserazione. Sarà questo il numero uno? Si starà chiedendo. Ma il match gira, inevitabilmente. 6-2 per l'iberico e quinto set. Ora è il tedeso a stare male, seriamente. Non corre più Philpp. Il tempo di una ridicola "fiatella" trucidata a rete ed altre atrocità sparse, prima di cedere 6-3 al quinto. Bizzarrie di una regola sul medical time out che dovrebbe essere abolita.
Eretiche considerazioni sui trucchi da mezzi campioni. Viene in mente l'affermazione dell'ultimo Marat Safin. Il russo dopo aver dominato in lungo ed in largo Tomas Berdych perse il lume della ragione e la partita, dopo che il ceco s'inventò un pavido medical time-out. "Berdych non è uno sportivo e nemmeno un uomo, ha chiamato lo stop solo per spezzarmi il ritmo e due minuti dopo correva come un coniglio.". Queste le parole dell'inimitabile Marat. Tutti unanimi nel dargli ragione. Perché Berdych è Berdych. Guai ad estendere simili illazioni verso il campione maiorchino. Perché lui è l'emblema della corretezza "decouberteniana". Lo ha stabilito Dio, la bibbia o Gianni Clerici. Ma per fortuna gli eretici speaker della tv inglese e chiuque sappia di tennis, non può avere dubbi su quella tattica pateticamente oscena.
La realtà è che a Nadal si vuole un pò tutti bene. Un pò per la sua storia, un pò per quel carattere irriducibile che non può non destare ammirazione. Anche, e soprattutto, per questo si rimane sgomenti e sconcertati di fronte a simili trucchi da figuranti, mezzi campioni e mezzi numeri uno. Risulta imbarazzante che ad usarli sia il numero uno al mondo contro il numero 40 o 70. In un match che avrebbe comunque vinto, senza bisogno di minare le menti già in disarmo di avversari inferiori. Indegnamente surreale per chi dovrebbe essere il più forte di tutti.
Secoli fa, ricordo un diciassettenne cinesino con gli occhi a fessura da scugnizzo furbo, sul centrale del Roland Garros. Usò ogni trucco e carta al sua disposizione (non lo stop medico, non esisteva), per battere Ivan Lendl. Il numero uno non era quel cinesino, ma Lendl. Altri tempi, altra classe, altri numeri uno.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.