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giovedì 23 settembre 2010

L'ITALTENNIS SI ARENA NELLA TUNDRA


Lidkoping l'Italia fallisce il ritorno nella serie A di Davis, dopo dieci anni. Contro un Soderling ingiocabile per tutti i nostri e l'impresentabile Vinciguerra, il doppio è risultato decisivo per l'intero confronto, e con esiti nefasti per i colori azzurri.

Simone Bolelli: 4. Sempre con quel fantastico incedere ed atteggiamento di chi ha appena mangiato una sontuosa "amatriciana" e come maggior obiettivo di giornata anela uno stuzzicadenti per pulire la dentatura. Barazzutti lo piazza in doppio, dove il gran talento di Budrio sciorina il solito bel tennis senza gambe e piedi. Qualche bel dritto, poi una sequenza imbarazzante di aberrazioni "volleanti", con gli stessi riflessi saettanti di una lumaca artritica. Reattività e movenze da soldatino in terracotta con lo sguardo triste. Dopo due ore si spegne anche fisicamente, al cospetto dei due attempati svedesi che in due fanno settant'anni. Sorge il dubbio che avrebbe ceduto alla distanza e di puro fisico persino all'invalido civile Vinciguerra. Il capitano lo schiera anche nel singolare della disperazione disperata e disperante contro Soderling, e lui lo affronta col solito cipiglio agonisticamente comatoso. Trattato come semovente bambolina del luna park dal boscaiolo della tundra. Ma lì c'era poco da fare, il vero delitto rimane il doppio. Senza fisico, Leconte faticava a stare tra i primi 5. Lui esita a rientrare tra i primi cento. Tutto nella norma. Ma forse ha ragione Paolo Canè, che dalla cabina indica la via maestra: "Qualcuno deve provare a riaccenderlo.". Già, chi?
Potito Starace: 6. Quasi superfluo elencarne le doti di gran generosità, professionalità ed attaccamento ai colori azzurri. Dal campano sai sempre quello che puoi aspettarti. Gli basta il minimo sindacale per avere la meglio sullo spettro Vinciguerra. Quasi da solo prova a dare il punto del doppio all'Italia. Cerca invano di prendere per mano un Bolelli che in coppia risulta dannoso non solo per se stesso, ma anche per gli altri. Per un crudele gioco della vita, proprio lui che aveva tentato di mascherarne gli atroci disastri, gli cede il posto nel singolare decisivo. Altro pradosso, persino con un pizzico di logica motivazione. In questo week-end ne ho contati almeno tredici.
Fabio Fognini: 4,5. Un set a Soderling non lo strappavano nemmeno tutti e cinque (compreso lo scattante Barazzutti) fusi in un'unica pesona grazie al rituale magico del dragone di Okuto. Figuriamoci il solo Fognini, sul veloce. Meglio un mediocre ambizioso, di un mediocre rassegnato. E' una convinzione mortale che conservo malgrado tutto, ed in cui si fa fatica ad inquadrare il "caso Fognini", se non per il lodevole tentativo di sottrarsi alla sindrome di provincialismo italico. Il modo in cui cede allo svedese, rasenta l'inverecondia sportiva. Da mettere per sei ore a palla Giorgio Gaber che intona "io non mi sento italiano". Risolino contagiosamente urticante, passo da bullo lobotomizzato, aria tronfia di chi si sente superiore anche all'aria che osa insinuarsi nelle sue nari. Gioca come stesse tirando di tamburello con le infradito sulla spiaggia di Gabicce mare. "Starà dominando, e non resiste alla fanciullesca tentazione da numero 71 al mondo di esibire risolini e sguardi di commiserazione verso il modesto avversario semidilettante?". Si chiederebbe un qualsiasi uomo mediamente sano di mente, entrato in visione a match iniziato. No. Il punteggio recita 6-1 6-3 4-1 per Soderling, numero 5 al mondo, che dà quasi l'impressione di non voler infierire su quella curiosa macchietta di se stesso. Un meraviglioso paradosso vivente. Se Fognini avesse il talento tennistico di Kohlschreiber (mica di Safin), lo ammireremmo volare nell'aere come un dirigibile. Qualcuno dovrebbe spiegargli dove viviamo, cosa facciamo, chi siamo, dove andiamo. Il giorno dopo i compagni giocano punto a punto il decisivo match di doppio. Lui smanetta col cellulare e ride di gusto. Chi lo ha soprannominato "pazzo", non conosce la differenza tra pazzia e disconnessione protervica dalla realtà. Chi lo dipinge come "genio e sregolatezza", una specie di Cassano pallonaro, deve rivedere il concetto di genialità. Il ligure ha un buon talento da primi 50 al mondo, una discreta facilità pigra nei colpi, ma di "genialità tennistica" nemmeno l'ombra. Lui non è Cassano, ma un buon Lanzafame che crede d'esser Cassano. Anzi, Maradona. E' lì la piccola differenza.
Corrado Barazzutti: 6. Non c'era molto da inventarsi per poterla vincere o perdere con una estrosa trovata da capitano coraggioso. Nessuno dei nostri (ad eccezione del Bracciali 2007) aveva una chance di strappare un set a Soderling, su questi veloci lastroni di ghiaccio. Tutti gli italiani, compresa una ventina di onesti ragazzi rimasti a casa, potevano demolire quella "cosa mancina" chiamata Vinciguerra. In una situazione simile, le uniche scelte capaci di influenzare il risultato erano quelle del doppio. Lui opta per la conservativa scelta Bolelli/Starace, sperando che il valore individuale nettamente superiore dei nostri potesse prevalere sulla maggior specializzazione dei due figuranti scandinavi. Viste le condizioni di un Bolelli che faticherebbe anche a giocaresela in un senior tour over45 ed i cui riflessi elefantiaci rappresentano l'antitesi assoluta del doppio, forse si poteva rischiare Daniele Bracciali. Benché in calo, difficilmente l'aretino avrebbe offerto lo spettacolo inerme della statua di Budrio. Anzi, poteva garantire qualche soluzione offensiva ad un doppio ancorato a schemi atrocemente difensivi. Paradossalmente condivisibile scelta di coraggiosa disperazione quella di preferire Bolelli a Starace, nella sconfitta con Soderling (sconfitta già data all'Ansa due ore prima dell'inizo del match). Un ribattitore narcolettico per contrastare un servizio devastante. Sperando solo in una sua ritrovata vena al servizio (è vero o no che la potenza dei colpi da fermo nei boxeur 50enni rimane immutata?). Per portare, nella migliore delle occasioni, un set al tie-break. Vana utopia.
Daniele Bracciali: 7. Vien da domandarsi cosa lo abbiano portato a fare in Svezia. Ad ammirare il desolante tramonto rossastro delle lande svedesi? O forse per illuminare la scena grazie ad impareggiabili gemme che elargisce nelle interviste da bordo campo: Un continuo "speriamo che l'altro ci dia una mano...", fino al geniale "Soderling ha servito davvero incredibile!". Eppure in doppio poteva dare il suo bel contributo. Certamente più di questo Bolelli.
Andreas Seppi: (era prontissimo, lui). Le sfolgoranti evoluzioni di Bolelli e co. sono talmente estremizzanti da far aleggiare nell'aere il reprobo fantasma formaggino di Andreas Seppi. Lui che dopo l'imbarazzante prestazione a New York, in un picco di genialità surreale da teatro dell'assurdo "beckettiano", si era detto "prontissimo". Con lui avremmo avuto una morte differente. Gli appassionati italiani, almeno in quello, hanno diverse opzioni.
Robin Soderling: 7. E' numero 5 al mondo, su una superficie così rapida anche qualcosa in più. E finchè non si darà altra formula alla manifestazione, una nazione che può contare sul numero 5 al mondo merita di stare in serie A più di una squadra piena di medi tennisti. Gioca da campione vero. Servizio devastante e dirittoni demolenti. Attento anche a non strafare, perché contro i due azzurri incapaci di metter due palline in campo nello stesso scambio, non c'era bisogno di piagiare sull'acceleratore. Concentrato ma non troppo (vuoi rimanere iper-concentrato giocando contro Fognini?) va a sedersi sul 40-15 provocando l'ilarità compiaciuta del nostro angolo. La vittoria del doppio lo salva dalla gogna, perché il (presunto) rifiuto di giocarlo poteva costare caro.
Lindstedt/Aspelin: 6,5. Danzano in prossimità della rete come due attempate ballerine monche. Doppisti mestieranti di lungo corso in quello che è quasi un altro sport. Rispettivamente, 33 e 36 anni. Meno peggio il primo, recente finalista a Wimbledon. Mentre Aspelin dà l'impressione di apprensivo tremolio nell'affrontare la volée, tipico di chi faticherebbe anche ad affondare un cucchiaio in un piatto di semolino e pancotto. Confermano pienamente quella che è una delle riflessioni dottrinarie più avvincenti sul tennis: Due top 50/100 normali, adeguatamente motivati, valgono più di due doppisti nella top 30 di specialità, che in singolo non passerebbero nemmeno un turno in un futures. Se poi si aggiunge che i due non avevano nemmeno un grosso affiatamento, il destino per loro sembrava segnato. I due italiani riescono a sfatare anche questa credenza. Dopo due set crollano fisicamente (nella persona di Bolelli) lasciando il campo alla freschezza dei due svedesi, di quindici anni più anziani. Altro paradosso inquietante di questa Italia da serie B.
Andreas Vinciguerra: 4 (a chi non gli concede la pensione d'invalidità). La colpa non è sua, ma di chi lo ha messo su un campo. Il 29enne svedese con padre italiano emigrato in scandinavia per fare il pizzaiolo, è evidentemente un ex tennista. Una carriera iniziata con grandi speranze e prospettive. La vittoria a Wimbledon jr. e il primo torneo atp vinto a 18 anni. Quando ancora non ne aveva 20 era già a ridosso dei primi trenta al mondo e con tre trofei in bacheca. Un evento che in Italia sarebbe accolto da dieci giorni di festa nazionale annesso spettacolo di fuochi pirotecnici. Poi però, solo una serie di infortuni e una carriera da intermittente comprimario. Famoso più che altro per aver abbandonato il campo lo scorso anno a Cordenons, logorato mentalmente dal Demonio Koellerer (per dirne il triste livello). Andreas ora gioca pochi match in tutto l'anno, e si è riciclato come Davis-man tappa buchi. Evidentemente menomato fisicamente e senza il ritmo partita. Contro Starace è una sequela avvilente di servizi e maldestri tentativi di accelerazioni mancine morte a mezza rete. 6-2 periodico da Starace sul ghiaccio vivo predisposto dagli svedesi, vale più che una perizia di invalidità civile.
Thomas Enqvist: 6. Con quell'acconciatura da giovin stellina diciottene di una boy-band, l'espressione assente ed impermeabile alle emozioni, quasi non ci si accorge che è stato ad un game dalla lapidazione e feroce linciaggio morale in salsa scandinava ("non sei stato mica bravino!" gli avrebbero rimproverato). Dati per scontati i due punti di Soderling, presenta l'impresentabile (Andreas Vinciguerra). Non è certo colpa sua se la Svezia è incapace di produrre una spalla decente a Soderling. Forse Prpic (mica quello buono che giocava il doppio assieme ad Ivanisevic)? il giovane Daniel Berta, facendogli fare esperienza? Se proprio bisognava vedere un ex, perché non il 54enne orso Borg? Oppure l'esplosiva Victoria Silverstedt? Il vero rischio è rappresentato dalla scelta (sua o meno) del doppio. Soderling sta al doppio come un leghista al governo di un paese che non riconosce come tale, ma su una superficie così rapida rinunciare ai suoi due ace per game ed alle bombe a rimbalzo, contro una coppia, quella azzurra, che interpreta la specialità come due inguardabili singolari giocati dal fondo, è parso atto di masochismo volontario. Lo salvano per un pelo i suoi specialisti, ed il mezzo suicidio azzurro.
L'immagine più bella: I supportes italiani. Immensi. Saranno stati quattro o forse cinque. Con la parrucca tricolore facevano più baccano dell'intero palazzetto. Una serie di cori elettrizzanti, che paiono una feroce presa in giro, solo provassero a guardare in faccia o conoscessero un minimo gli azzurri. Da Starace esortato a tirare la bomba di servizio, a Bolelli incitato a lottare come un leone, fino all'emozionante "siamo noi, siamo noi, i campioni siamo noi...", rivolto ad una squadra in serie B da dieci anni. Mancava un incitamento a Barazzutti affinchè legasse la folta chioma in lunghe trecce, e poi il teatro dell'assurdo era completo. C'è da chiedersi chi li abbia ingaggiati o se fossero dei residui del pubblico di "Forum".
Gherarducci/Canè: 6,5. Orfani dell'unico spettacolo avvincente della Davis (le mirabolanti e logorroiche perle d'isipienza maramaldeggiante del Fabretti), v'era gran curiosità nel vedere come la tv sultanica avrebbe trattato questo sport di cui si è innamorata d'improvviso. Tra dirette lampo e match in differita, chi accende il televisore domenica vede scampoli di tennis solo con Flavia Pennetta, bardata come una vamp, ospite al gran premio spagnolo di motociclismo. Gherarducci si limita al professionale minimo, lasciando lo scettro allo spettacolo di ruspante rutilanza esibito da Paolo Canè. Qualche gemma, ascoltata e passant e lucidissime verità mascherate da battute, con cui si riesce a passare sopra al fin troppo stucchevole richiamo al doppio fallo "straniero": "Molto meglio il capitano Enqvist, anche adesso, di questo Vinciguerra...". Basta vedere il livello di gioco che Thomas esprime nel senior tour, per sottoscivere pienamente. E ancora sul povero Andreas, "mai visto uno svedese più scarso di questo". Sempre lucidissimo, mentre il doppio svedese si appresta a servire per il match: "Chi batte, quello buono (Lindstedt) o quello scarso (Aspelin)?" Poi arrivano le dotte considerazioni/consigli di vita a Bolelli: "Eh si, puoi andare a tutto braccio, ma se non hai quelle cose lì sotto (le gambe?) che si muovono...", verità inconfutabili, "Non voglio parlar male di Simone, ma deve essere più reattivo a rete...". Chiosa senza mezzi termini, "Il ragazzo va riacceso, lo vedo spento anche come persona...io mi riicordo bolognesi diversi.".

3 commenti:

  1. ciao, c'è ancora tempo per commentare l'italia di davis?
    ho solo una parola : sconforto.
    analizzando più in profondità la prestazione degli azzzzzurri, posso altresì aggiungere : tremendo.

    ciao picasso. uhm, quando un post sulla tristezza di vedere nadal dominatore incontrastato? la vittoria finale della tecnologia sul bel gioco?

    gabriél fc

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  2. Ciao Gabriel,
    si ancora in tempo...anche se mi è più facile rispondere subito nel sito. Sconforto e tremendo mi sembra possano riassumere la situazione in modo preciso...=)
    Bon...su Nadal, non è il primo a fare della fisicità la sua arma vincente e che lo rende dominatore. Può piacere o meno...Sicuramente il suo tennis è l'antitesi della mia concezione di tennis, ma non ruba nulla. Per un anno ha pagato gli sforzi sovruamani ora sembra tornato in palla (Garcia-Lopez a parte). Ciao, a presto.

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  3. Grande Picasso, a te Clerici ti fa na pippa!!

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.