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giovedì 23 dicembre 2010

OSCAR DEL TENNIS 2010 – Storie di paura, follia e sublime arte del suicidio


Richard Gasquet. Il cavaliere senza testa (magari). La stagione del riscatto dopo quella del lascivo bacio al sapor di gaglioffa cocaina. Certo, ero fiducioso assai. Una convinzione estrema. Del resto sono credo ancora che Marat vincerà un altro slam, se solo si allena una mezz’oretta al giorno. Che i Pink Floyd si riuniranno per un megaconcerto a Barcellona Pozzo di Gotto. E che Franco Baresi vincerà il pallone d’oro, un giorno o l’altro. Uscito indenne da quell’episodio degno di un film dei Vanzina, il giovin tennista minimalista poteva finalmente esprimere il suo cristallino talento castrato, liberando il braccio d’oro dalle oscure forze del male. Giocare senza quella testa irrecuperabilmente prigioniera del niente, in sintesi. Ne ero proprio convinto. Cosa sarebbe il mondo senza una accecata fiducia nelle utopie? Niente. Richard avrebbe potuto giocare sciolto, con la demente aureola del miracolato, liberato da catene che ne imprigionano il cervello. Stecchire con due sbluffate di potentissimo insetticida le frinenti cicale gorgheggianti nella sua scatola cranica, se preferite.
Ed eccolo, garrulo ed arrembante, tutto ritorto, azzannare la pallina col collo allungato e lo sguardo rassicurante di chi si dirige verso un burrone coi freni bloccati. Inizio col botto, in Australia. Il primo epico strillo dell’ennesima stagione tormentosamente suicida. Due set di vantaggio e dominio nella spumeggiante sfida di rovesci scudisciati contro il diversamente squilibrato Youzhny. Poi l’apoteosi. L’orrendo spettro della vittoria che si avvicina, gli occhi che divengono tremendamente spauriti ed inermi, le gambe storte che girano come trottole disconnesse, e il braccio che si rattrappisce ed ogni tanto si agita in patetici pugnetti di paralizzante angoscia. L’amica sconfitta finisce per abbracciarlo in un mortale avvinghiamento lacoontico, l’ennesimo. Bell’inizo, non c’è che dire. In primavera mette insieme due vittorie. Un challenger a Bordeaux e l’Atp di Nizza, dove la ritemprante brezza salmastra dona sollievo a quelle meningi stuprate dal male inventato. Batte persino un top ten come Verdasco, facendo la faccia da tigrotto di Mompracem. A brutto muso i due finiscono quasi per venire alle mani. Richard la spunta contro quello che malgrado le apparenze da guerrigliero tupamaru è schiavo della sconfitta più di lui. Piccoli successi e qualche vittoria che gli fanno rivedere i primi 30. Niente male per uno che poteva essere top 5 per un decennio, almeno. Come i Pink Floyd nella piazza centrale di Barcellona Pozzo di Gotto, appunto
Poi il secondo must di un kolossal scontato. A tratti delirante come una svisate di Satriani, nel mezzo di un fiume dirompente e più deprimente della faccia di Sandro Bondi. Parigi, nel tripudio sciovinista dei francesi che continuano a credere in quello strambo anitroccolo come facevano con Leconte, esalando una pernacchietta di sfiducia. Due set ed un break di vantaggio prima dell’atrofizzante paralisi neurocerebrale e delirio suicida, contro Murray. Prevedibile, piacevole ed avvincente. Simile a qualcosa che non ha senso. Che sai non si verificherà mai nel mondo dei vivi. Una religione smidollata senza l’urbi et orbi, e la faccia da triglia marinata di Richard. Ancora vittima di quel cervello da anestetizzare definitivamente. Il 2011 sarà il suo anno. Io ci credo. Lo vedremo finalmente come il cavaliere senza testa. Malvagio ed impazzito, farà fuori tutti. E il modo verrà invaso da caprette belanti che recitano delicati sonetti d’amor giulivo
Jurgen Melzer. All’improvviso l’incoscienza. Prendi un mancino austriaco coi capelli a “scopetto” cinghiale. Fallo rimanere per anni nelle buie selve della mestieranza tennistica. Poi concedigli un par d’anni da discreto professionista, imprevedibilmente prevedibile e con colpi tanto belli quanto dettati dal caso. Fagli perdere partite, vagando per il mondo con negli occhi vaste e sconfinate distese di niente. Poi arriva il 2010 e quel divertentissimo totano rassegnato alla malvagia panatura diventa top 15. Avvista i primi dieci sfiorando addirittura la qualificazione al Masters di Londra. Come gradevole divago trionfa a Wimbledon, nel doppio del delirio incosciente, assieme all’altra dispettosa scimmia del circo Medrano, Philipp Petzschner. Un crescendo rossinianamente irrazionale, il suo. Autodidatta inconsapevole, alla soglia dei trent’anni pare aver compreso il gran segreto del mondo: Lasciar andare il braccio fumigante e spegnere il curioso ammennicolo che divinità malvagie gli hanno messo al posto dell’organo raziocinante. Quello che non ha capito Gasquet, malgrado frotte di calzolai per il cervello si affannino attorno al caso umano. Ed all’improvviso l’incoscienza. Jurgen batte in gran rimonta Djokovic e raggiunge le semifinali al Roland Garros. Trionfa nel torneo di Vienna, solitamente bottino di caccia per anacronistici musicisti sordi con l’uva passa nel cervello e la melodia nelle vene. A Shanghai abbatte a suon di sanguinolente rasoiate nientemeno che Rafael Nadal. Nel mezzo accade di vederlo soccombere ad Andreas Seppi, dopo un’afona prestazione nell’inutile torneo di Umago. Perché dal morbo non si guarisce mai del tutto.
Philipp Petzschner. Il ruggito del topo sciancato. Par di vedere quasi un tennista serio. Di quelli con l’insolente abitudine di vincere partite. Un vizio dissennato, per i prigionieri del delirio nichilistico. Il “Picasso” tedesco inizia il 2010 come l’anno dell’avvento insperato. Quattro semifinali su quattro superfici differenti. In tornei Atp, mica nel proprio condominio. Al morente pittore fulminato in tre mesi riescono risultati che nemmeno tutti i tennisti italiani messi assieme, nell’ultimo lustro tennistico. Per ribadire come sono messi i pretoriani tricolori dediti allo scribacchio seriamente comico, su testate da “Zelig” inconsapevole. Sempre con quell’aria assonnatamente svagata ed il passo palmato, fionda servizi e spennella dritti da top ten.
Fino all’apice dell’irrazionalmente fascinoso destino, consumatosi sul centrale di Wimbledon. Gioca al massimo delle sue possibilità contro il numero uno al mondo Nadal. Un match da stropicciarsi gli occhi con fiero orgoglio. Il ruggito del topo. Fa quasi tenerezza, talmente concentrato che gli sanguineranno le meningi e tremoleranno le zampette. Non sembra nemmeno lui, non fosse per quel rovescio. Ne tira due o tre in top in tutto il match. Ma a cosa serve, pensi, quando ne sibila un paio di fila in controtempo nell’angolino, chiusi a rete con una stop-volley? A nulla. Si ritrova avanti due set a uno, e campo aperto ad una facile conclusione di volo. Basterebbe toccarla col manico o di testa, e sarebbe palla break anche ad inizio nel quarto. Il campo diviene incresciosamente piccolo ed enorme al tempo stesso, e lui partorisce un abominio denso di raccapriccio. L’altro tiene il servizio e da vecchia volpe chiede il medical time out che cambia i delicati meccanismi del match. Il sogno finisce lì, assieme alla stagione del virtuoso artista surreale, come avesse lasciato su quel centrale ogni energia psico (certo)/fisica (come no). Fa solo in tempo a vincere il doppio stellare assieme al degno compare Melzer, scimmiottando tutti. Lui orridamente sorridente, che solleva la coppa di Wimbledon. Era nel suo destino. Il resto è un goffo alter ego che si porta a spasso. Non più pittore ma vice aiutante scrostatore di intonaci ammuffiti. Si trascina per tornei come bertuccia anchilosata. Da vero spartano impavido si era fatto male nell’inutile challenger di Atene. Lo strano figuro sciancato inanella sconfitte in serie. Poi si ferma due mesi e ritorna, in tempo per deliziare gli amanti del nulla genialmente instabile, giocando a mezzo servizio il doppio nella Masters Cup di Londra.
Ernests Gulbis, alla perenne ricerca di quell’equilibrio. Il tennis è un delicato gioco di equilibri sopra una pazzia di fondo. Il giovane lettone seguita a ricercarlo da anni. Sembrava la stagione giusta. Boccoli da putto e michelangiolesco volto ricoperto da barba selvaggia, vince un torneo giocato a grandi livelli, a Delray Beach. Conferma spavalderia e colpi immacolati anche a Roma. Sui campi del Foro Italico fa fuori Federer e se la gioca alla pari con Nadal. Forse l’unico ad aver impensierito sul serio il maiorchino al top sulla terra battuta. Braccio veloce, avvolto da gran naturalezza violenta ed un carattere da incanalare nel giusto binario di una gioiosa pazzia applicata al tennis. Sassate fulminanti e smorzate compulsivamente candide. Chiunque capisca un po’ di tennis non può non capire che questo ragazzo nato da famiglia miliardaria possegga un talento raro nella mano. Che il destino di quelli come lui è vincere gli Slam senza troppa difficoltà. Che il momento è vicino. Nel periodo di moria della vacche attraversato dal tennis, ci si accontenterebbe anche di un personaggio capace di mettere pepe al circuito. Scheggia indomabile come furono Ivanisevic e Marat, da cui ha ereditato gli occhi folli e il rovescio bimane simile a musicale colpo di mannaia. Il delicato giocattolo si rompe a Parigi, a causa di un infortunio alla gamba. Si trascina anche lui fino a novembre senza più un acuto. Solo qualche bagliore sparso. Ma se entro il 2015 non vince uno slam, io vado a vendere platani in Congo, assieme ai vice campioni del mondo di calcio del Mazembe. E vado dallo stesso barbiere di Materazzi.
Mikhail Youzhny. “Er canaro” regala musicali rovesci da top ten. Prigioniero di un corpo da macellaro “er ventresca” e con quel fastidiosissimo gracidar di ranocchie a minarne la serenità mentale, Mikhail Youzhny ha finito per giocare la migliore stagione della sua carriera. A ridosso dei campioni veri e ad un soffio dalla qualificazione per il Masters di Londra. Faccia da bi-ergastolano serial killer di mosche cavalline e fisico tarchiato, è indiscusso protagonista due più bei match d’inizio anno: A Melbourne contro Gasquet e nella vincente semifinale a Rotterdam opposto a Djokovic. Scudiscia di rovescio da perfetto D’Artagnan travestito da Bombolo e come l’incantatore pifferaio magico che si accanisce col serpe, vince per poi arrendersi il giorno dopo all’involucro di cui è schiavo. Una serie di buoni risultati inframmezzati da infortuni e militari saluti al pubblico. Due finali, vittoria a Monaco, discreto Roland Garros ed eroica semifinale a New York. Tanto basta per far gridare al piccolo miracolo di un braccio che vive di vita propria, zavorrato da quella che sarebbe la vincente combinazione di questo sport (mente e fisico).
Michael Llodra. Mancato eroe, sbucato dal passato. Essenza intima del tennis classico che ancora sopravvive alle nefandezze della modernità sparacchiante. Una specie di ritorno all’inebriante passato. Funamboliche evoluzioni, dardeggianti colpi piatti, servizi seguiti a rete con tanto di tagli, merletti e graffi felini. Il trentenne mancino si dibatte come il pulzello d’Orleans nel mondo malvagio. Guizzi balzellanti ed il piccolo capolavoro a Parigi Bercy, tra la sua gente eccitata. Sfiora la finale, affettando con fine arte da cesellatore volleante niente meno che Novak Djokovic. Stagione perfetta, best ranking con parziali successi nei tornei di Marsiglia e Eastbourne, ed estetica fine a se stessa placata grazie a virtuosismi ormai dimenticati. Manca solo la ciliegina. Quello che lo avrebbe consacrato come indiscusso eroe di questo 2010 per gli edonisti del nulla che credono nelle fiabe. Nella finale di Coppa Davis ha sulle corde la possibilità di regalare la Coppa Davis alla Francia, ma nel catino di Belgrado affonda miseramente, stanco e svuotato.
David Nalbandian, l’eroico Sancho Panza. Grande attesa per l’argentino, rientrato dopo le vicissitudini all’anca. Balbetta, ostenta un paio di acuti antichi. Deambula pesante, semi-infermo, col volto paonazzo ed il ventre abnorme pietosamente nascosto da magliette sblusate stile Demis Russos. Il solito Nalbandian, cristallino talento zavorrato da rivoli di ciccia debordante. Cosa fregherà mai a lui, di dimagrire come ha fatto Mardy Fish? Proprio nulla. Con quel braccio, quando vuole, e soprattutto se lo vuole, è capace ancora di incantare. Mezze volate e prodigiosi colpi, contro tempo e contro ogni legge fisica. Sbendato come una mummia egizia ed ancora infortunato, prende un aereo per la Svezia e si trasforma in eroe argentino di Coppa Davis. Rinuncia a Wimbledon per prepararsi all’altra sfida a squadre contro la Russia, ed affossa Davydenko e Youzhny. E il singolare? Poco gli interessa. Mantiene qualche refolo di forma tra un incontro di Davis e l’altro, dominando a Washinghton. Chiude trionfando nella Copa Argentina dove, tra gli altri, batte in due divertentissimi e tirati set Marat Safin versione ex (nel senso che non gioca più, perché allenarsi non s’è mai allenato).
Nicolas Mahut, volleante uomo dei record. Si prende il proscenio mondiale, finalmente. Lui e quel serve&volley diventato arte anacronistica a causa di materiali e superfici che assecondano i picchiatori smidollati. Guadagna l’attenzione di tutti per qualche giorno. Mica per una vittoria importante, ma per l’immortale sfida dei record contro Isner a Wimbledon, durata due giorni. Servizi e volée deliranti, ore di battaglia coi due che continuano semoventi ed appaiati, tra urla e gridolini d’eccitazione del pubblico che affolla il campo secondario dell’All England Club. Finisce per perdere, ma è solo un dettaglio. Chiusa la parentesi biblica torna nel dimenticatoio dei tornei challenger e di chi fatica a restare tra i primi 150 al mondo. Ma questa è un’altra storia (faccio la faccia da Lucarelli).
Frank Dancevic. Un pirata di marzapane. Accade che questo fulgido puledro di razza passi metà stagione da mutuato ex tennista, per i soliti problemi ad una schiena consistente quanto una giuncata. Ritorna in tempo per la brucante stagione su erba, e sciorina qualche bagliore infermo. Quarti a Newport, al solito proscenio per funamboli estemporanei. Sembra davvero voglioso di riemergere anche sul cemento degli States. A Gramby, semifinale, si schianta fantozzianamente contro un tabellone piazzato a bordo campo, facendosi un male atroce ed uscendo sorretto a braccia. Ogni cosa ha il suo destino. Qualche altra fiammata nei challengers europei con le vittorie sul giovin rampollo Dimitrov ed il botolo Clement. Prima di risprofondare nel suo baratro da over 300. Ma io credo ancora che entrerà tra i primi venti. E che contro il nostro giovanissimo ed adorato megapresidentissimo aprostatico vi sia una congiura. Una specie di malvagio complotto ad opera di oscure forze antidemocratiche. Forse alieni color verde marcio, con tre occhi e melliflue antennine vibranti.

4 commenti:

  1. Caro Picasso,
    ho letto con attenzione questo tuo lungo e bell'articolo.
    (I tennisti-suicidi sono proprio una tua incorreggibile passione, eh?). :-)
    In ordine sparso, ecco qualche mia "riflessione" in materia.
    - Se la forza mentale di Soderling - costruita sul NIENTE, nel vero senso della parola - venisse unita alle qualità tennistiche di Gasquet, si otterrebbe un giocatore davvero interessante (e, probabilmente, vincente).
    - Capitolo-Petschner: un grande Wimbledon, il suo. È stato eliminato da Nadal in un match epico, dove il "premio fairplay 2010" non si è tirato indietro dall'attuare i suoi trucchetti che - chissà perché - vengono sempre occultati dalle cronache (che invece non si stancano mai di esaltare in maniera esasperante il suo cuor di leone). Polemichuzze a parte, Petsch è vittima della sua fragilità, probabilmente più mentale che fisica (come sempre per questa categoria di tennisti-suicidi).
    - L'impressione che mi dà Gulbis è quella di un "Murray versione 2.0", quindi di un talento incompiuto e che rimarrà tale per MOLTO tempo.
    - Ultimo appunto su Llodra: un bel giocatore! Mi piacciono questi "vecchietti" che contrariamente alle regole della logica riescono ad emergere e, almeno per un po', a stupire. Llodra rappresenta il giocatore-medio di cui il Tennis avrebbe disperatamente bisogno. Eleganza, tecnica e variazione; e non il solito giocaccio "alla spagnola", fatto d'inguardabile fisicità e poc'altro.
    Un augurio di buon Natale (per ciò che ne campa) e buone feste!

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  2. Ciao Fabio,
    certo. Una gran Passione. Fin da piccolo ero attratto dai manicomi in genere. =)
    Gasquet è ormai una causa persa. Mi diverte il personaggio così codardo e talentuoso. Se gli impiantassero una biglia di piompo al posto della testa, vincerebbe di più. Gulbis come Murray...lo scozzese è inespresso solo in parte. Gulbis completamente. Oltre ad avere un tennis completamente diverso. Petzschner ha servizio e dritto per stare tra i primi 20 senza problemi, ma uno stafilococco al posto del cervello. Llodra invece è come il vino, migliora invecchiando. E i suoi due tornei all'anno li vince sempre.
    Ciao, buone festività anche a te.

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  3. CIAO PICASSO!!!
    Bella l'idea degli Oscar del tennis di quest'anno, sei divertentissimo come sempre!
    Come mio solito condivido le tue riflessioni, in ordine molto sparso direi che:
    -decisamente Richard ce lo siamo giocato non ci sono più dubbi ormai;
    -Nabandian non si metterà mai a dieta quindi rassegnamoci a vederlo gongolare sul campo stile foca della Patagonia con qualche numinoso sprazzo di pure talento;
    -Gulbis purtroppo l'avevo detto che ci avrebbe fatto disperare anche questa stagione ahimè;
    -Murray ci ha l'ossessione dello slam e se vuole combinare qualcosa sul serio deve cercare di stare sereno e smettere di farsi le pippe mentali su cosa gli manchi rispetto a Federer e Nadal;
    -purtroppo devo ripetermi ma circa un anno fa l'avevo detto che Del Potro lo vedevo maluccio, non sono così certa che sia il polso il vero problema a questo punto, mi pare un ragazzo tanto forte sul campo quanto ipersensibile e fragile nella vita "normale";
    -sono curiosa di vedere cosa combinerà Roger alla soglia dei 30!
    A presto caro Picasso, BUON 2011 a te, al blog e ai suoi lettori. Ciao!

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  4. Ciao Silvietta,
    eh, sì...c'erano anche quello sull'Italtennis ed uno sui ggiovani, ma non ho fatto in tempo a pubblicare. Trascorro quei minuti a disposizione su internet per ancestrali puntate e scommesse illuminanti. L'ARTE ne esce sconfitta, lo so.
    Tornando semi-serio, certo, Gasquet è andato, ma io sono sempre fiducioso. Nalbandian più di quei due o tre guizzi elefantini a stagione, non può fare. Visto nella "Copa Argentina" conro Marat. Grande spettacolo, tra due che considerano l'allenamento una sevizia corporale. =)
    Questo sarà l'nno di Gulbis (tanto ormai, dirlo ad ogni inizio stagione, fa tanto "Michele l'intenditore" degli amari).
    Del Potro, vedremo...se si rimette in sesto può tornare a buoni livelli. Tranne che per gli ottuagenari dittatori impotenti, quando il fisico colpito gravemente o non risponde più, anche la mente diviene insicura.
    Ciao, e grazie Silvietta.
    Buon 2011 anche a te ed a presto.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.