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lunedì 9 maggio 2011

MASTERS 1000 MADRID - IL SORPASSO


Imperversano già gli Internazionali del Foro Italico. Io non ci sarò, ma se qualcuno volesse darmi le botte, si accanisca su un tizio strano che vagherà per campi. Vi fornisco qualche indizio. Porta un cappellino rosso con su scritto “Viva la mamma”, ed una t-shirt fucsia con dicitura: “Binagli love-love-LOVE!”. Quella “Siamo tutti caldarensi”, ormai, vista la prematura dipartita dal torneo del nostro eroico funambolo, non verrà usata. Non sono io, ma qualcuno che ho inviato, affinché si becchi tante mazzate al mio posto. Ma ancora non lo sa.
Ciance a parte, facciamo un passo indietro. Chiuso col botto il Masters 1000 spagnolo. Djokovic stende Nadal prendendosi il primo posto virtuale della classifica. Inquietante rivelazione Bellucci. Sprazzi di ritorno dal pianeta Federer, Soderling in ripresa, Murray ectoplasmatica visione. Mi diverto a dare i voti.

Novak Djokovic: (numero uno in orrido pectore). Siam mica qui a pettinar le bambole calve, direbbe il sommo condottiero delle sinistre Bersani. Ho coi numeri un rapporto tribolato, almeno quanto quello della Santanchè con gli infermieri di un centro di igiene mentale, ma posso dire con certezza che il serbo è imbattuto nel 2011. Non ha perso una partita, insomma. Ha vinto il primo slam della stagione, e tutti i Masters 1000 cui ha preso parte. Sorpassato sul campo (e non più con chiacchiere da guitto) Federer, divelto le certezze di Nadal. Sul cemento ed anche sulla terra battuta (sino ad ora, ovvio). Sperando ci risparmi il Tempio Sacro che fu, con l’erba posticcia. Quanto questo possa risultare piacevole e rassicurante per chi ancora crede in un tennis dominato dalla fantasia più che dalle gambe, dallo spettacolo più che dalle corse folli da quadrupedi che hanno inalato pepe di cajenna per cavalli da tiro, è altro discorso. Per vedere qualche guizzo d’estro, chi ancora ne vuole, deve andare a guardarsi le corride e trovare l’ispirazione superiore, come Hemingway. Rimane un torneo condotto in affanno, quello di Djokovic. Si complica la vita con l’esaltato gobbo terricolo Ferrer, ancora peggio contro Bellucci: bistrattato come un pupazzo floscio da un lato all’altro del campo, prima che il brasileiro tornasse nel suo guscio di insipienza ed alla caccia al tordo selvatico d'alte quote. Il serbo sembra addirittura rassegnato mentalmente e senza difese, privo di quella straripante condizione fisica dei mesi passati. ma è solo un trucco, e la rassegnazione si trasforma, in placida consapevolezza dei propri mezzi. Tipo: “annate, annate, ma ‘ndo annate? Tanto ve ripido tutti…”. Scherza quasi, a perdere i set (io aprirei un’indagine sulle scommesse, visto che in due giorni m’ha fatto svanire trecentoquaranta tondeggianti "pippi"). D’incanto trova la magica condizione nella finale, spadroneggia senza appello contro Nadal, dall’inizio alla fine con rinnovato agonismo da Tigre Arkan in una delle sue mirabolanti imprese. Ed ecco in tutto il suo splendore urticante la piovra dai tentacoli sghembi, che ti riprende tutto e quando serve contrattacca in modo efficace. Help. Sos.

Rafael Nadal: 6,5. Il grande sconfitto del torneo. Per il cannibale dell’argilla, da anni ormai, cedere un torneo sul rosso pur raggiungendo la finale, equivale a disfatta epocale. Già nel principato era parso col fiatone, ma vincente. Ciò di cui a Montecarlo non è stato capace Murray (Ferrer non lo cito nemmeno, per dignità) e Federer nella combattuta semifinale madrilena, lo completa Djokovic. L’esecutore finale. Rafa stramazza fisicamente, in due tirati set. Ha trovato pan per i suoi denti, l’iberico. Finisce per cedere proprio nel sui campo prediletto: le inumane evoluzioni nerborute. Cede in casa sua, sula superficie prediletta, ed al pretendente al trono. Uno smacco completo. Un dubbio mi coglie, tremendo, inquietante ed avvincente quanto una puntata di “Uomini e Donne” (quel programma con gli anziani dalle semoventi dentiere si innamorano e ballano il liscio): Può un uomo normalmente forzuto, in due mesi, giocare ed arrivare in fondo a: Montecarlo, Barcellona, Madrid, Roma e Parigi? Mi verrebbe da dire no, o avanzare l’ipotesi che ci arrivi senza benzina o sfibrato. Ma siccome nessuno più del domatore factotum Zio Toni può conoscere il suo puledro, mi limito ad osservare questi spettacoli degni di truculente corride, dove vince chi conserva più energie e risorse anaerobiche.

Roger Federer: 6+. Inatteso, forse. La veloce terra di Madrid risveglia sempre il tennis dello svizzero. E’ protagonista assieme a Feliciano Lopez (7) del miglior match dell’intero torneo. Qualcosa da stropicciarsi gli occhi, e che ancora ridona l’illusione che si possa giocare in modo differente rispetto al “corri, nitrisci e spatapummete” ormai imperante. Miracolato dal malinconico suicida iberico in volata, si gioca una gran semifinale contro Nadal. Un bel primo set, prima d’esser risucchiato nel vortice arrotato d’Iberia. Pare un bel pugile, elegante, sinuoso, dotato. Saltella e schiva l’avversario, per poi colpire col fendenti saettanti ed inattesi. Quell’altro incassa e sta in piedi. Resiste, contrattacca ed alla distanza, attorno all’undicesimo/dodicesimi round aspetta che lo sfinito avversario crolli, da solo, al tappeto. Lo svizzero è ormai il numero tre al mondo. A parole sembra essersene convinto anche lui. Ma i colpi continuano ad essere da numero uno assoluto. Quando entrano riuscirebbe a battere anche i due carnefici. Il problema è quel “quando”, e riuscire a concentrarli in due set di un intero match giocato mentalmente al massimo. Perché quei due hanno la cattiva abitudine di non provare troppa pietà per le pause, le stecche, errori ed altre amnesie che ormai lo colgono sovente (quando deve giocare una palla break a suo favore, soprattutto).

Thomas Bellucci: 7 (frustatemi pure). Incresciosa rivelazione del torneo, questo brasiliano col collo da giraffa e lo sguardo che rimanda a lontane demenze sopite. Bocca aperta e lingua penzoloni, ad attendere il servizio. E poi via, verso la sua missione suprema. L’unico tennis che il brasiliano possa concepire: Terrificanti roncole mancine che bucano la terra a cinque centimetri dalle righe. La stessa soave sinfonia di un martello pneumatico. Fantasioso quanto un suonatore di tamburi. Nessun barlume di tattica. Mi dona una sensazione di urticante repellenza e nessuna idea di quell'insieme organico cui inserire l’estro, tipico delle cose belle. Dovesse vincere uno Slam, come voto finale, mi riprometto di comperarmi e leggere in una sera, l’ultimo parto letterario di Sandro Bondi. A Madrid trova la continuità che gli consente di stramazzare Murray e Berdych (4, in due). Arriva ad un soffio dall’impresa contro Djokovic: Un set ed un break di vantaggio, riducendo il dominatore delle scene mondiali ad pietosa comparsa, un orsetto delle giostre nelle sagre paesane. Manca solo l’odore del pop-corn. Ad un passo dal trionfo finisce la benzina fisica e mentale, e cede di schianto. Non prende più le righe con inusitata violenza, ma manca il campo di metri. Questo è Bellucci. Futuro campione, di caccia alla quaglia però. Capace di perdere con Fognini mettendo nel rettangolo di gioco una pallina su dieci, o stendere Murray e Berdych, piazzandone sulle righe sette su dieci. Il tennis di alcuni, talvolta, è demente statistica.

David Ferrer: 6 (politico). Un ruvido mattone dopo l’altro, arriva sempre in fondo. Stavolta è stoppato nei quarti da Novak Djokovic. Trasforma il “Manolo Santana” in una bolgia sovraccarica d’eccitazione. Mi chiedo come facciano gli spagnoli ad esaltarsi per una “cosa” simile. L’incredulità dura poco, il tempo di una riflessione indotta dagli oppiacei: Se (per assurde congiunzioni astrali miste a casualità spiccia) lo avessimo in Italia un Ferrer, cosa accadrebbe sul centrale del Foro nelle fasi finali degli Internazionali? Probabilmente rispolvererebbero i poetici, delicati e tambureggianti cori all’avversario che cade in terra: “Devi mo-ri-re! Devi mo-ri-re…”. Desta repellenza mista a tenerezza, vederlo tutto gobbuto ed esaltato, trascinare al terzo set il serbo. Quando è chiaro a tutti che non potrà mai vincerla quella partita. Va oltre la soglia delle sue capacità, ma non basta contro quelli dominanti. Un comprimario di lusso, insomma.

Flavio Cipolla: 6,5. Meriterebbe, forse, un trattamento a parte che non ho avuto il tempo di stendere. Ma vi consoli sapere che ce l’ho tutto a mente. Passa le qualificazioni e ci regala una bellissima battaglia di tre ore con Roddick. Vinta, è questa l'epocale novità. Il ragazzo romano alto quanto Enzo Ghinazzi (in arte Pupo) è da anni forse l'unico italiano che riesco a guardare con interesse, e non solo per riderne o ammirare l'avversario come accade per gli altri nostrani alfieri. Piacere appena stemperato da quella famosa missiva che il suo cuore di mamma inviò ad una icona del nostro giornalismo. Reo, l'icona, di criticare troppo gli eroici protagonisti della nostra racchetta. Ella concedeva (bontà sua) tale diritto solo a chi fosse stato almeno un affermato professionista della racchetta. Come se a giudicare un disco di Gigi D'Alessio possa essere autorizzato solo chi ha pubblicato dischi, che i libri di Bruno Vespa debba sdegnarli soltanto Cèline, etc... Per poi chiosare con l'invocazione del rispetto per chi tra stenti e sacrifici ottiene discreti risultati, quasi i nostri atleti fossero degli operari della Thyssen, invece che ricchi ragazzotti che possono viaggiare e vedere il mondo colpendo (spesso maldestramente) una pallina. Delirante missiva stilnovistica della premurosa mamma a parte, di cui forse non ha colpa, Cipolla rimane un professionista ineccepibile. Uno di quelli che rimanda all'idea della scuola filosofica dei Gianluca Pozzi, scartati dai cacciatori di talenti nostrani per gli "evidenti" limiti. Zaino in spalla, allenarsi e pedalare. Senza elemosinare wild card o altro nel nostro bel paese. Testimonianza diretta è la risalita di cui si è reso protagonista in questa stagione, andando a vincere anche un bel challenger in terra australe. Piace per la professionalità, serietà e (perchè no), per quel taglia-cuci e rattoppa che in giornate felici risulta assai piacevole. Ridicolizza il top player americano, mandando in frantumi le sue nerborute certezze in disarmo, grazie ad una prestazione difensivamente perfetta. Back diabolici, passanti cesellati e gran carattere nel portare a casa un match che sembrava vinto e per tre volte rimesso in discussione. Ritorna sulla terra perdendo da Llodra in due rapidi set. Perché non sarà mai un campione, ma uno che tra i primi cento ci sta benissimo.

Andy Roddick: 4. Vedi sopra. Non è mai stato tennista da campi lenti, ora che la sua carriera ha imboccato la barabola discendente, risulta una goffa ed inutile presenza. Rema pesantemente sull'argilla, quasi mandato al neurodeliri dal nostro soldo di cacio. Prova a sfondare di potenza, niente. Poi a rete, uccellato come un principiante dai passanti dell'italiano. Tenta la via delle accelerazioni intelligenti e graduali, e finisce per andare fuori giri. Progetta alla fine un pallettarismo spiccio, e l'altro gli piazza belle scudisciate sapienti o smorzate precise. Rimaneva soltanto di provare il volo del gabbiano in amore aspirante al suicidio. Lo guardi in faccia e ti accorgi di quanto non sappia più cosa fare, coi nervi a pezzi, ad un passo dal ricovero coatto in manicomio. Il tutto condito da quell'incedere ed atteggiamento di supponenza tipicamente yankee, che proprio non si capacita di come quello sconosciuto carneade possa osare tanto.

Daniel Gimeno Traver: 6. Iberico essenziale. Essenzialmente orripilante. Testone vagamente abnorme e cavallo basso, da anni nelle retrovie e protagonista al più di qualche torneo dopolavoristico su terra. Sfiora i quarti di finale in un Masters 1000, prima che Michael Llodra (7) ci salvi dall'orrore col suo magnifico serve&volley compulsivo. Ma aveva già mietuto eccellenti vittime, nell'ordine: Richard Gasquet (4. Buttatela in gazzarra e l'adorato codardo perde undici volte su dieci) e Jurgen Melzer (4,5. Inconstante se ve n'è uno). Insomma, ci sono tutti i crismi per accusarlo di genocidio tennistico innanzi al tribunale dell'Aja.

Fernando Verdasco: -2. In condizioni semplicemente imbarazzanti. Impacciato, goffo, stucchevolmente ansioso. Lo vedo qualche minuto annaspare contro l'infingardo cinese di Taipei Lu (6). E proprio non riesce a venirne a capo, neanche l'asiatico fosse diventato Sampras. Sconcertante in risposta, raccapricciante nei suoi schiaffoni fuori misura. Il giorno dopo, questo invincibile Lu raccoglie quattro games ed una nocciolina omaggio da Xavier Malisse (7. Malisse, l'immenso Xavier Malisse). per dire come è ridotto Fernando. Si consola tifando come una "groupie" con le caldane per l'amico Feliciano Lopez. Come se il povero Feliciano non fosse già splendido perdente di suo.

4 commenti:

  1. Lo smacco che ha preso Nadal lo hai analizzato benissimo, per uno come lui è tregedia.
    Detto-fatto, battuto Nadal sul rosso, in casa, non lo ferma più nessuno e trottarellerà orridamente.
    Su Bellucci come ti avevo detto non ho parole, è di inutilità tennistica e come lui ce ne sono a dozzine, mi chiedo cosa fumino i giornalisti, anche quelli di cui mi "fidavo".
    A roma purtroppo non ci sono andata, ma sinceramente io questi che tifano per gli italiani proprio non li capisco, ma io devo sostenere un giocatore solo per la nazionalità? No, sostengo il giocatore che mi piace e sopratutto non quelli che mi urticano (6-0 da Almagro, mica Sampras ma Bertolucci dice che si vedono miglioramenti..)per come giocano e anche perchè sono miei connazionali.
    Malisse,ovviamente oramai è andato-ha dato(?), ne abbiamo parlato l'altra sera io e Luca per un pò e siamo giunti alla conclusione:codardo come Gasquet e scoglionato come Safin forse con più talento degli altri due non ha combinato niente, un mix mortale!
    Jess

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  2. Ma chi è questo eccelso vate orbo che ha battezzato Bellucci come "campione"? Ora sono curioso. C'è l'abitudine, tipica degli insipienti, di profetizzare gran futuro, al primo mezzo exploit di qualche tennista normale. Hai visto mai che per sbaglio ci prendano. Intendiamoci, il brasiliano ha colpi che (SE entrano) possono mettere in difficoltà molti. Stop. Poi può essere ridicolizzato da Fognini o sbertucciato da Paolo Lorenzi (come oggi).
    Bolelli...visto qualcosa del secondo set. Lo sappiamo, ormai. Ha bei colpi (dritto e servizio), e limiti imbarazzati di rovescio, mobilità e in risposta. Con un buon carattere sarebbe da top 50/60, come altri. Ma non è un fighter e nemmeno un estroso. Se a questo ci aggiungi che non è migliorato negli anni, eccolo lì. "In ripresa"...rispetto a quando ha raccimolato tre games da Millot, forse.
    Malisse...ma ha giocato un bel torneo a Madrid. Due turni (annessa vittoria sull'invincibile Lu), poi ha perso da Federer. Ci sta. Braccio straordinario e voglia di allenarsi e soffrire prossimi al sottozero. Se poi ci aggiungi il fisico da paggetto panciuto di cristallo, il risultato è lì. Figuriamoci ora che ha 31 anni e non più 22. Gioca con l'animo di chi raccoglierà ancora quel che viene. Ma magari stasera batte Murray (in tre set, credo).

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  3. L'eccelso vate orbo era su ubi un paio di giorni fa, non ricordo l'autore, se lo trovo te lo posto!
    Malisse in 3 set perde da Murray.

    Jess

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  4. Ah ok, fa niente. Sì, ha perso, ma poteva vincere. Nell'altro mondo. =)
    Ciao.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.