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lunedì 4 luglio 2011

WIMBLEDON 2011 - LA SCONSACRAZIONE


Giornata del post mortem - ora posso svelarlo, la mia lettera di auto implorante licenziamento dalla fabbrica di biscotti “sgranocchia-ben”, mi fu dettata dal Bisignani

(essendo tempo di esami, nessuna insufficienza grave. Tutti promossi)

Novak Djokovic: (il nuovo numero uno, debbo pure pagellarlo?). Fermatelo voi, se ne siete capaci. La consacrazione definitiva doveva necessariamente avvenire sui sacrali ed immacolati campi di Wimbledon. Come ispirato Pippo Franco che riceve la palma d’oro a Cannes. Seduto al fianco di Woody Allen. Si può pensare alla consacrazione ancestrale, o sconsacrazione del premio stesso. Fate vobis. Io pendo tutto per la seconda ipotesi, con quel centrale ormai sconsacrato, avvolto da fiamme pagane. Domina anche sulla sconsolata ed inerme erba, divorandosela e abbrancando palline con occhi appallati e scucchia orrendamente ritorta. Come su terra o cemento, cambia poco o nulla. E’ ormai in una condizione psico-fisica che lo rende immune da quasi tutto, e giustamente raggiunge anche la prima piazza mondiale, come degno coronamento. Soffre, solo un po’, le giovanili esuberanze di Tomic e le fiammate goduriose di Tsonga. Poi trionfa su Nadal, ormai divenuta sua sacrificale e simbolica vittima. Il resto è un mare d'inquietante isteria pecoreccia che lo circonda. Mai visto nulla di simile. Un battaglione di parenti-amici-ultrà che si eccitano scomposti come nemmeno dietro le reti della “bombonera” per un goal di Martin Palermo. Una sequela di immagini agghiaccianti, col babbo sempre sul filo del prolasso, la madre, bianca come un cencio a pregare ognissanti di Serbia, il fratellino che pare uscito da un riformatorio per ricchi snob, e dulcis in fundo, la ciliegina per l’occasione solenne: Il presidente agitato come “l’ultrà Ivan” sulle tribune di San Siro. Tutto paonazzo, rischia di ruzzolare giù per la contentezza. Provate ad immaginare il nostro premierissimo satiriaco sul centrale di Parigi che si agita per Francesca Schiavone. Beh, una delle poche figuracce internazionali che ci mancano. Quello al limite lo avrebbero rinvenuto con gli occhietti vitrei dietro le sottanelle svolazzanti di qualche tennista under 17. Ha rotto gli schemi Nole, dicono in molti. Dipende come si rompono, direbbe un altro. Se questa moda dovesse fare proseliti, azzardo, dal 2012 vedremo anche qualche passamontagna e i fumogeni sul centrale di Wimbledon.

Rafael Nadal: 6. Detronizzato implacabilmente, con l’immagine della sconfitta dipinta sul volto. Ha ormai trovato in Djokovic il sadico fustigatore con inquietanti sembianze esagitate. E la tournè americana, sindromi d’appagamento serbe a parte, non promette nulla di buono. Si arrampica alla finale con buone prestazioni ed i soliti trucchetti da scugnizzo dedito alla commediucola dell’arte. Rimane cosa bruttissima l’abuso del medical time-out personale. Stop auto imposto all’inerme arbitro prima di un tie-break decisivo, nel match che rischiava seriamente di perdere contro Del Potro. Come l’anno scorso e come l’anno prima, stessa spiaggia, stesso mare. Poi è feroce nel dilaniare ancora le velleità di Murray in semifinale. Djokovic fa giustizia, per una volta.

Jo Wilfried Tsonga: 7. Pura sciocchezza e consolatoria menzogna intellettuale, parlare di vincitore morale. Sia chiaro, la coppa e la finale è andata ad altri. Rimane, invece, il trionfatore del bel gioco visto a Londra, mettiamola così. Dal gran match vinto con l’astro nascente Dimitrov (6+), all’epocale stesa inferta a Ferrer (5, allo sbarazzino ciuffetto da Shining), fino alla fenomenale rimonta a Federer ed i maestosi guizzi di quel fine quarto set con Djokovic. Un quarto d’ora di delirio puramente dimostrativo, perché poi è la costanza a contraddistinguere chi alza le coppe degli slam. Spacca il granito e lavora finemente il cristallo, con quel braccione. Finalmente risparmiato da infortuni e piccoli acciacchi, questa poderosa macchina da spettacolare tennis ha dimostrato che può ancora essere protagonista. Dio, e quel fisico da bisonte di cristallo, permettendo.

Andy Murray: 5,5. Aspettando un Godot, disgustato da se stesso. Ennesimo delirio d’isteria inglese costretta a fare confusione tra croce di San Giacomo e Sant'Andrea pur di potersi dire patria del campione di Wimbledon, disatteso mestamente. Il ragazzo sa ben giocare al tennis. Possiede bel braccio, discreta tecnica e buona tattica. Non abbastanza per contrastare lo strapotere fisico di Nadal e Djokovic, che giocano quasi un altro sport, specie al meglio dei cinque set. Fagocitato implacabilmente da Nadal in semifinale e dalle troppe, asfissianti attese che lo circondano da anni.

Roger Federer: 5,5. Il re nudo, che si cala tra le genti arrembanti e rabbiose. Etereo, innaturale e distaccato. Ne potrei scrivere una preziosa ed immortale opera letteraria, che batterebbe ogni record (negativo) di vendite: Nessuna copia venduta. Perché la verità, in fondo, è sempre più semplice di come la si descrive.  L’eroe distaccato dei mille record ha ormai un livello di tennis inferiore a quello degli altri due. Per intensità, picchi di atletismo forsennati e soprattutto costanza. Poi può anche capitare uno Tsonga in versione mostre, cui inchinarsi. Ma vederlo senza nemmeno l’apparente voglia di provarci, quasi fosse stato sorpreso dall’insolente rimonta del ragazzone di origini congolesi, rimane affare stridente seppur in linea col suo personaggio. Io faccio caso a parte rispetto a chi si costerna per i mancati record, ed anzi, la storia del campione in parabola discendente mi ha sempre affascinato. Rimango pur convinto che sui prati, la differenza con gli altri due si assottiglia, e se la sarebbe anche potuta giocare, dalle semifinali in poi. Ma stavolta c’è stato Tsonga, e dunque non lo sapremo mai.

Bernard Tomic: 7. Volti nuovi nell’Atp. Oddio, parlare di volti nel caso del giovane australiano, potrebbe risultare crudele, visto quell’aspetto da Belpietro adolescente che si compiace dello scoop su un Fini dodicenne fotografato con delittuosi calzini più rossi della piazza rossa. Questo invasato ragazzino mi colpì due (o tre) anni fa nel torneo junior, visto per caso prodursi in una prestazione di folle difesa arroccata, quasi da letteratura mitologica. Raggiunge i quarti di finale, partendo dalle qualificazioni ed approfittando di un Soderling malfermo. Una precocità che lo accomuna ai grandi. Regolare e dal tennis facile, risulta meno appariscente di Dimitrov e Raonic (6, sfibratosi clamorosamente prima di trovare Nadal. Un caso, per carità.), ma forse con più carattere e tigna da vincente. Ai posteri.

Feliciano Lopez: 6,5. Altro protagonista inatteso, “Deliciano”, che si guadagna proscenio e sconfinata ammirazione palpitante di mamma Murray, battendo Roddick (5, sembra ormai aver mestamente imboccato il tristo vialetto). Shignon d’ordinanza, look da bel dannato e languide volèe morenti per questo esperto spagnolo che sembra abbia imparato a giocare su un campetto erboso del Queens australiano negli anni ’70. Infilzato tristemente da Murray nei quarti, match che poco toglie al suo bel torneo.

Mikhail Youzhny: 6. Si issa agli ottavi battendo Nicolas Almagro (5,5, sempre in attesa di trapianto facciale e delle meningi), a suon di barocche pennellate. Festa nazionale, quasi. Per un set mette addirittura paura a Federer, come ospite di un braccio della morte del Texas improvvisatosi fluttuante danzerino. Ma non ci crede nessuno, nemmeno lui. E finisce col soccombere. Sempre danzando leggero, lui così pesante e piantato in terra.

Juan Martin Del Potro: 6+. Sta tornando. Sembra un promo all’avanguardia. Non sarà mai un tennista da erba, per quanto queste specializzazioni possano avere ancora un senso. Quelle braccia allargate durante l’auto Mto imposto da Nadal, ben dipingono il suo torneo. Perde dal maiorchino, cedendo il primo servizio dopo tre ore di gioco. Ma, mi sbilancio, se il fisico regge, l’estate americana potrà segnare il definitivo ritorno.

Richard Gasquet: 6+. Lo osservi, e pare davvero il reduce da un coma. Con ancora immaginari elettrodi ed ammennicoli sulle tempie a studiarne il grave caso. In realtà è già da mesi restituito al mondo dei vivi, dei tennisti normali. Degno top 20 che sta imparando come scolaretto (per ora) disciplinato, la pazienza, la tattica ed i benefici della corsa. Splendente nei primi turni contro gente di livello chiaramente inferiore, delude chi si attendeva buone cose nell’ottavo con Murray. Un passo alla volta. Se riusciranno a condurlo nell’alveo di una disciplinata normalità di livello, nella quale poi incastonare i guizzi di anarcoide talento innato, il prossimo anno sarà, assieme a Del Potro, il primo dopo i quattro lassù.

Robin Soderling: 6. Stronca le velleità di Philipp Petzschner (s.v.) addentrandosi nel suo eremo/manicomio di delirante slice, e quelle di Hewitt (6,5), calandosi nel clima di battaglia epocale. Poi, quasi sciancato, si arrende Tomic. L’essenza del suo torneo sta in quei sorrisetti isterico-inquietanti che dona al suo angolo, per far capire che “’o n’in poss piò”.

Xavier Malisse: 6. Smarrenti guizzi e stilettate di purissima classe e protervia da numero uno di se stesso, che lo riportano nella seconda settimana di uno slam dopo sette anni. Addirittura favorito per un ingresso tra i primi 8. Se solo lo avessero avvertito in tempo che doveva anche giocarlo, il suo ottavo.

Mardy Fish: 6,5. Bellissimo torneo, ribadito dalla bella vittoria su Berdych. Gioca bene sul veloce ed ha una moglie da 8,5 almeno. Per il resto, quasi eroico nel tentativo di rimonta a Nadal.

Jurgen Melzer: 7. Anche quest’anno vince. Di questo passo supererà Borg, Sampras e Federer messi assieme. Come lo scorso anno, in coppia col Picasso. Stavolta trionfa assieme ad Iveta Benesova, nel doppio misto.

David Nalbandian: 5,5. La classe non è acqua ma, a guardarlo, birra e carne argentina alla brace. Per lui è già un successo epocale stare entro i cento chili ed avere qualche osso sano per poter competere. Perfetto nei primi due turni, dimesso e senza i proverbiali lampi contro Federer.

Lukasz Kubot: 6,5. Rimanda ad antiche idee di eroiche battaglie, questo marcantonio polacco. Come a Parigi, anche a Wimbledon si esalta passando le qualificazioni e facendo fuori nel main draw gente del calibro di Karlovic (4,5, pronto per qualche lampo di rigor mortis a Newport) e Monfils (per l’Onnipotente, no!). Gran servizio, risposte folgoranti e volèe coraggiosissime. Fermato ad un quindici dai quarti di finale da Feliciano, dopo furibonda lotta da fenomenali attaccanti rusticani.

Italiani brucanti: Fognini, non ancora al meglio, rinuncia in partenza. Poco più di un’ora di passerella per Starace e Volandri, indefessi terraioli in un’epoca dove le superfici non esistono più e persino Mello vince partite su erba. L’eroe di Eastbourne Andreas Seppi, non riesce rinverdire gli erbivori fasti di Rosewall (di cui è erede designato) e si arrende al maggiore spunto di Baghdatis. L’italico protagonista per caso si chiama Simone Bolelli, al solito ripescato come perdente fortunato dopo ignominiosa dipartita nelle qualificazioni, passa due turni. Batte persino un Wawrinka (5) più piombato del solito e monotematico nei suoi rovesci accidiosi. Ben più vario e mirabolante quello di Gasquet che fa capire all’italiano la differenza tra un  gran talento criminosamente gettato via, ed un buon tennista potenzialmente da top 50. Che se gioca bene e torna sereno, rimane da top 50. Segnali di risveglio comunque, se si pensa che lo scorso anno, appoggiato da dotte analisi tecniche, era restato in Italia a preparare i challengers argillosi.



Donne

Petra Kvitova: 8. Vince e convince questo campionato di gran mazzuolatrici, mostrando anche sangue freddo e buona personalità. Forse sarebbe arrivata in fondo anche a Parigi, senza i malanni alla spalla. Questa mancina gigantessa serafica, prevale perché rispetto alle altre picchiatrici del lotto dimostra minore isteria, frenesia e (non guasta mai) algida spocchia di nulla inguardabile. Lampante è la finale, dove argina con sapienza da veterana le folli sfuriate a mente spenta della rivale. Lei 21enne, l’altra 24enne e già vincitrice su quel campo a 17.

Maria Sharapova: 7. “E’ tornata Maria la bella”. Anche i cinegiornali, ne davano accaldate notizie. Che sia tornata, non v’è dubbio. Dopo due anni a trascinarsi e strillare a vuoto per i campi come pericolosa evasa da un manicomio navale, riacquistata un po’ di salute e mobilità, rieccola nel gotha. Sufficiente per stare a galla. Non ancora per vincere slam, però. Con le Williams che si dilettano in modo amatoriale ed una Kim sfasciata, basta la giovane Petra ben centrata a svilirne le ambizioni.

Victoria Azarenka: 6,5. Metteva terrore reale vederla scagliare i pugni nell’aere, appena qualificatasi per la prima semifinale di uno slam in carriera. E’ maturata e più serafica (certo, come una bomba ad orologeria che si contiene) rispetto a quando usciva dal campo salutata da salve di fischi ed ululati, per l’ennesimo scempio trucido messo in atto. Non abbastanza tatticamente, dove continua a mostrarsi scriteriata. Kvitova (sempre lei, merita un diploma da esorcista per meriti sul campo) disinnesca la sua virulenza annebbiata.

Sabine Lisicki: 7. La mina vagante, dimostratasi tale. Tedesca già più volte sul punto di esplodere e poi implosa, vittima di infortuni e larmanti capottamenti sul traguardo. Volto da cricetino, viso pallido e calzettoni da collegiale su gambe che paiono tronchi d’eucaliptus secolari. Vasta gamma di roncole e servizio devastante. Sorprendenti variazioni sul tema, improvvise smorzate con le quali fa fuori Na Li e ridicolizza Marion Bartoli. Forse appagata perde in semifinale contro la siberiana, un match che in altro momento avrebbe potuto fare suo.

Caroline Wozniacki: 5 (di pura, umanissima pietà). Come quel tale che si è comperato una Bugatti coi buoni del discount. Numero uno, ormai longeva, che dà la netta impressione di non saper più che fare e poter perdere quasi con tutte. O meglio, con quelle che azzeccano una giornata di buona violenza. Tutta tempestata di fiorellini di campo sulle bretelle, finisce a tappeto sotto i colpi della gnoma killer Dominika Cibulkova (152 centimetri di furia). Ora, potendo solo sperare che le scialatrici cicale schiattino al sole di luglio, sotto con Bastad, ove raccogliere punti come la piccola formichina di un metro e ottanta.

Tamia Paszek: 6,5. Sorpresa del torneo, questa tipetta tutta atipica e da discreto rovescio bimane. Fa fuori Francesca Schiavone, può poco per evitare d'esser divorata da Azarenka nei quarti. Occhi strabuzzati a guardare l’angolo, feroce pugno sbattuto sul cuore e surreali “ajde” (lei, austriaca) d’incoraggiamento. Mancano solo le urla belluine ad accompagnare i colpi, e poi il Dott. Frankenstein potrà dire d’aver prodotto la  mostruosa creatura perfetta.

Marion Bartoli: 6. Ci si era quasi convinti che avesse stretto uno scellerato patto con le divinità del brutto. Che l’avessero salvata ad un passo dal baratro contro Dominguez Lino e Pennetta. Arriva poi la vittoria con Serena, e quella convinzione si fa più corposa quando riesce a riprendere un match già perso anche contro Lisicki. Il tutto con colonna sonora impreziosita da scimmieschi “allez!”, sudata oltre l’umano e sbattendo la sciatta coda di cavallo che pare intrisa nella sugna di cinghiale. Terrificante, questa macchinetta dalle goffe fattezze e movenze irreali, congegnata dal babbo, una specie di scienziato del male applicato alla balistica tennistica, che avrebbe fatto la fortuna dei tedeschi negli ani ’30. Invece Marion finisce la benzina nel terzo set contro la tedesca, nessun balzelletto, nessuna taranta attendendo il servizio e nemmeno energie per la proverbiale caccia al moscone immaginario, che tanto impreziosisce la beltade delle sue esibizioni. Via, fuori, alleeez!

Williams sisters: s.v. Serena tornava dopo un anno condito da mille, serie, traversie fisiche. Venus dopo qualche mese ed acciacchi di varia natura. Riprendevano col tennis, una delle loro mille attività. Nemmeno la principale. Serena ferma e nettamente fuori condizione fisica riesce a vincere tre match. Idem una Venus un po’ più in palla, ma che si fa notare soprattutto per quel sobrio abitino brilluccicante degno della prima del Rigoletto. I tornei americani diranno molto sulle loro intenzioni, ma dovessi scommettere, non metterei molti danari sulla possibilità di rivederle a Wimbledon.

Francesca Schiavone: 5. Già con la testa a Parigi 2012. Si vede lontano un miglio che non ci crede nemmeno lei, dimessa, quasi intimorita dal poter vincere. Ma, comodamente sul divano, al povero coltivatore di cucurbitacee viene comunque spontaneo di consigliarle di smetterla con quei “frulloni” orrendi, che se non sei Nadal finiscono col dare all’avversaria tre quarti d’ora per girarsi come crede. Lo stesso coltivatore di tuberi vorrebbe vederla insistere di più con gli slice, gli attacchi e le volèe che pure sa giocare. Invece niente, pare rassegnata a non poter fare nulla sul veloce, vittima della forza altrui in via preventiva. Superficie o meno, aveva un tabellone da pasqua, natale, epifania, carnevale ed ognissanti, per approdare ai quarti. Invece basta una Paszek normale per farla fuori.

Flavia Pennetta: 6+. Anche la brindisina fuori al terzo turno, ma in netta controtendenza rispetto alla connazionale, dimostrando come si deve giocare sui prati. Sfodera forse il più bel match che le ho visto mai giocare, pur perdendo dopo battaglia di tre ore e mezza da Marion Bartoli. Colpisce in positivo l’abnegazione ed il lodevole tentativo di variegare il suo repertorio. Non è mai troppo tardi. Bellissime smorzate, come e quante non ne ha mai giocate nell’intera carriera, che mandano in tilt il botolo d’oltralpe, godibili volèe e variazioni brillanti. Insomma, perde ma vince.

Maria Josè Martinez Sanchez: 6,5. Piccole fiammelle di classe volleante misconosciuta alle più, impreziosiscono l’inizio di torneo. Stronca ed avvilisce le sgroppate della serba Jankovic, domina la Niculescu, e poi raccoglie le briciole da Venus. Un match che dal manicomio in cui vi scrivo, continuo ad esserne convinto, poteva addirittura vincere, se solo lo avesse giocato.

Kimiko Date Krumm: 6,5. C’è qualcosa di strano, se non sbagliato, nella Wta, se per vedere il più avvincente match del torneo bisogna rimanere legati alle ardimentose gesta di questa minuscola combattente giapponese di 41 anni. Perde 8-6 al terzo da Venus, ma importa poco. Che iddio le conservi ancora la voglia di giocare.

6 commenti:

  1. Il premio è sconsacrato, l'erba non è erba, ma Djokovic fa giustizia. Non faccio parte della parte dei tifosi dello svizzero che gode per la sconfitta di Nadal, ma io (come vedo anche tu) quell'mto ce l'ho sullo stomaco, perchè anche l'anno scorso, avrebbe perso o rischiato grossissimo senza quell' mto, dunque in questo caso grazie Djokovic. Che poi se la tirano tanto sui sacri campi e davvero tra un pò siamo ai fumogeni, la sua panchina riesce davvero a far risultare quella di Nadal accettabile.
    Io non so se questa sconfitta "scombussolerà" Nadal, non sono una che ci vede lungo, per niente, di sicuro era incazzato nero ed anche un pochino umiliato. Una scena in particolare mi è rimasta impressa: Nadl costretto a uncinare il lungo linea 3 volte prima di fare il punto ed esultare per un solo 15 come fosse un set, pari pari vidi Soderling al RG in finale. Quello lì i suoi uncini li neutralizza. Non so se questo ha minato le sue sicurezze. Dopo aver vinto parecchio solleva vederlo inerme ogni tanto e senza il piano b. C'è chi già grida ad interregni pallettari in attesa del nuovo dominatore come fu Federer..io non so, vedremo. Al momento io aspetto Del potro fiduciosa.

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  2. Chiaro che qui la si butta in caciara e mi piaceva giocare sul gioco di parole consacrazione/sconsacrazione. Forse in codesti giorni ne faccio una riflessione seria, come quelli colla cravatta. Mi pare, mai come in questi tempi, la questione sia ben chiara e delineata.
    L'interregno non esiste, è solo una creazione della mente. Questo, piaccia o meno, se continua così fa paura. Che poi Nadal e Djokovic siano due tennisti che hanno nella difesa il maggior pregio, non ci piove. Penso che Nadal lo soffra tanto, non trova soluzioni. Il serbo ha, come lui, una terrificante efficacia in difesa, ma anche colpi di contrattacco più efficaci. Per assurdo, ma neanche tanto, ha più possibilità di battere Djokovic in queste condizioni un Del Potro versione vicina al 2009, o Federer che trovi la gran giornata come a Parigi. Vediamo, disse il saggio.

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  3. è vero, l'unico che gli è andato appena sopra, e per breve tempo, è stato Tsonga, con quel gioco che estroverso è dir poco. E Tomic, va riconosciuto, ma appunto grazie a soluzioni parecchio offensive, almeno così mi è parso.
    Con i mezzi che ha, pur enormi, Nadal può solo sperare che Djokovic cali, cosa che è anche possibile, tutto sommato.
    Sconsolante il capo ultrà presidenziale, veramente sconsolante.
    Aspetto le tue riflessioni con la cravatta. L'altro giorno ho visto un pezzo di una finale Navratilova-Evert (si lo so preistoria), quegli applausi trattenuti, quel silenzio irreale.. Poi finisce che uno fa il nostalgico, però tutto mi sembra meglio di quell'apparato demenzial-marziale.

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  4. Ciao Arturo,
    certo, qualche fastidio, Tomic e Jo, glielo hanno portato. Se il francese avesse chiuso il primo set, forse staremmo raccontando una storia diversa. Nadal dà proprio la sensazione di patire enormemente il serbo. Ma più che aspettare che l’altro cali o provare qualcosa di differente nel suo gioco (mi pare lodevole, ma senza alcuna possibilità di riuscita), può poco.
    Il pezzo in cravatta, certo. Più probabile ne faccia uno in bermuda iridescenti. =)
    Quanto all’evoluzione…un ragazzino che vedesse un match del 1990, penserebbe ad un altro sport. Mi viene in mente Pat Cash, 1987, che si arrampicò sulle tribune per abbracciare fidanzata ed allenatore. Un gesto spontaneo, magari selvaggio e fuori dai canoni ingessati (come lo fu il Mac degli anni ’80). Quello del clan serbo odierno invece mi sembra più un “rompere gli schemi” studiato, poco selvaggio, a tratti insostenibile per quanta ansia trasmettono quei volti incresciosi.

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  5. sottoscrivo appieno la tua disamina,in particolare sulla moglie di fish,ora capisco perche ieri ha fatto di tutto per perdere con ferrer (probabimente l'avrà consolato tutta la notte).
    p.s. lei una palla break su 15 l'avrebbe trasformata di sicuro.marco

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  6. Indubbiamente. 8,5 che con quel vestitino tutto tempestato di stelline ed un altra incollata sulla gota, tende nettamente al 9.
    Ed è ovvio che una palla break l'avrebbe sfruttata. Magari rispondendogli uno slice sul rovescio ed avanzando giuliva a rete. Sicuro. =)

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.