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venerdì 9 settembre 2011

US OPEN 2011 - FEDERER-DJOKOVIC, ANCORA LORO


Day 11 – The day after. Dal vostro inviato, costipato nell’ovetto ipobairco per curare il raffreddore da fieno


Pennetta manca l’appuntamento di una vita. Alla fine è spuntato anche qualche timido raggio di sole, ad asciugare i campi impregnati d’acqua. Si gioca in un ambiente lunare da post apocalisse, con alcuni match assai interessanti confinati sui campi che meglio hanno tenuto. Tutti insieme appassionatamente, con inquadrature d’emergenza stile webcam amatoriale e pubblico che neanche al primo turno del challenger di Le Gosier. Ci mette un po’ a carburare Serena Williams, coi poderosi muscoli ancora imballati ed atrofizzati dall’umidità. Appena si mette in moto, ha ben poco scampo l’adorabile mortazza basculante Pavlyuchenkova. L’americana si guadagna la semifinale, dove troverà la formichina numero uno al mondo, Caroline Wozniacki, che ha ben controllato le sfuriate ansiogenamente asfissianti della tedesca Andrea Petkovic. Almeno ci siamo scampati il suo subumano balletto.
Due giorni di snervante attesa che si trasformano in tracollo da incubo per Flavia Pennetta. L’italiana manca lo storico approdo in semifinale, coronamento di una carriera. Stoppata dall’emozione, quasi inerme di fronte al mancino randello ispirato della tedesca Angelique Kerber. Tennista non più teenager e dalla classifica modesta, ma in gran progresso. Sconfitta ancor più amara per la brindisina, che pure sembrava esser riuscita a raddrizzare un match difficile, involandosi ad un passo dal 3-0 nel terzo set. Invece s’accartoccia ancora, in balia della tedesca con le cosce come quelle di Rummenigge e Briegel messi assieme e che di secondo nome fa “pestasodo”. Poco da dire, forse colpevolmente sottovalutata questa ragazzona teutonica o, probabile, colpa di quell’attitudine mentale comune a molte di saper giocare meglio contro pronostico, e venire avvolte da una cappa d’ansia quando si è chiamate a vincere da favorite. Sconfitta brutta, ma che non deve far dimenticare il bel torneo della tennista piugliese. Ottimo, anzi. Soprattutto per chi la vedeva già sfavorita contro Romina Oprandi (uno di quei pazzi incompetenti, sta scrivendo or-ora). Completa il quadro dei quarti l’agevole vittoria di Samantha Stosur contro Vera Zvonareva. Le maggiori soluzioni offensive dell’aussie hanno la meglio sulla regolarmente confusionaria Vera. Scenario che avevo previsto avvenisse per Petkovic contro Wozniacki, ma non si può sempre prenderci. Perdiana.
Il piccolo Bopanna di Budrio. Breve divagazione. L’italico appassionato può ben  mitigare la cocente delusione per l’eliminazione di Pennetta, col gran risultato che vien fuori dal doppio maschile. Prima semifinale dell’era open per una coppia italiana (Fognini-Bolelli). Uno senza risposta e l’altro senza servizio, entrambi con approssimativo gioco di volo. Ma che hanno trovato la giusta alchimia mentale (in due la pressione personale viene a stemperarsi), per dare buoni risultati in una specialità dominata da coppie con età media di poco inferiore a quella di Emilio Fede, in cui il 47enne McEnroe fu ancora capace di vincere un torneo Atp a San Josè e nella quale uno come Petzschner ha addirittura alzato la coppa di Wimbledon. Poco male, soprattutto Bolelli potrebbe ricostruirsi una carriera sulle orme di Aisam-Ul-Haq Qureshi Mahesh Shrinivas Bhuphathi. Insomma, non più piccolo Federer ma “piccolo Bopanna”.
Uomini, avanti i quattro dell’apocalisse. Aveva la solita aria seccatamente snob dei giorni di sventura “cipollesca”, Andy Roddick. Alla fine ottiene d’esser spostato su un campo meno dissestato, e completa un gran successo contro David Ferrer. L’americano avrà però bisogno dell’impresa di una vita, nel quarto di finale contro Nadal (agevolmente sbarazzatosi di Gilles Muller). Senza nessun problema Murray passato in tre set su Donald Young, ed il gigante Isner che castiga l’omino invisibilmente atroce Simon. I due ora si ritroveranno nei quarti.
Disputati invece in tarda notte i quarti di finale della parte alta. Derby serbo da “Famiglia Addams” tra Djokovic e Tipsarevic, col barb-occhialuto sfidante che dimostra timori reverenziali zero innanzi al dominante connazionale. Anzi, per due set gli fa vedere le streghe grazie ad una prestazione attaccante che rasenta l’eroismo greco. Nole regala anche qualcuno di quegli antologici siparietti che lo rendono assai simpatico alla gente cui manca qualche rotella. Tipo: braccia levate al cielo, pugno sul cuore e strabico sguardo di ringraziamento al superiore lassù, appena l’altro scentra la settima accelerazione consecutiva. Come a dire “ah…finalmente iddio s’è ricordato che deve farlo sbagliare a quello, che mica posso stare qui a riprendere caterve di accelerazioni disteso sui teloni allo infinito…”. Che simpatia. Contagiosissima. Il buon Janko, malgrado gli manchi qualche venerdì, è tennista dal potenziale assai notevole, ma finisce per sfibrarsi i muscoli sul set pari, nel disperato tentativo di fare partita col mostro della laguna. C’è anche il tempo per un altro teatrino del numero uno, che si blocca come emiparalizzato dopo l’ennesima forzuto recupero. Stop medico anche per lui, a game in corso. Non c’è il tempo materiale per un sollazzante bagno nell’ovetto ipobarico che guarisce ogni male, ma si rimette in sesto ugualmente. L’altro dopo cinque minuti si ritira.
Terza semifinale consecutiva a New York e terza negli slam 2011 tra Djokovic e Roger Federer. Lo svizzero ha regolato in tre set un abbacchiato Jo Tsonga. Prestazione convincente, perché giunta dopo i due recenti precedenti contrari e perché priva di quelle amnesie o regali fughe dalla realtà che ultimamente l’elvetico concede e che spesso consentono all’avversario di rientrare nel match. L’attesa ed ennesima semifinale sarà un po’ lo specchio del mutato scenario tennistico. Col vecchio numero uno ancora capace di stellari picchi tennistici ed il nuovo automa dominatore, costruitosi coccio dopo coccio quel numero uno, quasi progettato da scienziati addetti alle costruzione di aviojet militari. E’ il tennis del tremila, questo. Alla faccia della naturalezza insita nel gesto di colpire una pallina.
Che vinca chi prima porta a casa i tre set. Dicessi che vinca il migliore a scapito della scienza, rischierei di sembrare filo elvetico. Ed invece sono equidistante. Come la Svizzera, appunto.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.