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giovedì 1 settembre 2011

US OPEN 2011 – L’ARDIMENTO DI VOLANDRI, VENUS LASCIA


Day 3- Dal vostro inviato cui è or-ora venuto a mente “Superciuk”. Lo sbevazzone alcolico dalla fiatata mortale, che rubava ai poveri per dare ai ricchi. Ma che aveva la tessera della Pdl?

Il pubblico trepidante, attendeva l’ingresso di Robin Soderling. Svedese e quinto favorito del torneo dopo i magnifici quattro, ed alterato castigamatti di professione. E invece si vede sbucare dagli spogliatoi uno strano brasileiro che pare un figurante di “Forum”, chiamato in tutta fretta per sostituire quel castigamatti messo k.o dall'influenza. Ecco che sul “grandstand” va in scena un leggendario match che avrebbe fatto storcere il naso agli organizzatori de challenger di Toluca, se sorteggiato come primo turno: Dutra da Silva-Louk Sorensen. Qualcuno tra il pubblico prova a darsi fuoco, altri iniziano dei balli di gruppo, i più intellettuali leggono Proust protetti da un ombrellino esistenzialista e fumano sigarette col bocchino. Il coraggiosissimo irlandese Sorensen, una specie di Maurizio Costanzo giovane, tarchiato e senza collo, aveva anche smesso un annetto fa per cronici problemi fisici, ma qui ha passato di slancio le qualificazioni. Talmente preparato al 6-0 Louk, che finisce per prenderlo anche da Dutra. Poi recupera bene vincendo il secondo, si fa male e si ritira. Più fortunato di così, il “perdente fortunato” Dutra da Silva, si ritrova da eliminato delle qualificazioni al secondo turno, nel giro di un paio d’ore. Una cosa da far schiattare d’invidia il maestro Simone Bolelli. A proposito, il piccolo Federer è sbarcato nella grande mela per giocare il doppio e ben prepararsi all’assalto del Cile. Soldatino Fit, fedele fino alla morte.
Pippo Volandri invece affronta di petto il granatiere Juan Martin Del Potro. Temerario e combattivo tiene i primi due servizi con sprezzo del periglio e sguardo assassino. L’argentino pare spaesato, si guarda attorno, pensa ad uno scherzo di qualche bontempone. Forse il solito Nole Djokovic. Uno non può servire in quel modo, si dice guardando il cielo ed interrogando gli astri. Persino Albertina Brianti serve meglio. Anche Giulia Gatto Monticone. All’argentino ci vogliono due games di adattamento per capire che deve avanzare un paio di metri per rispondere a quelle prime ischerzanti, ed inizia a prendere a fucilate il cardellino italico. Anche con un certo rispetto, per carità. Il nostro lotta come un leone, temo possa farsi male nel terrificante sforzo che fa. Ma, considerando tutto, cede con onore, vincendo ben 5 (dicansi cinque) games. Fin troppo agevole fare delle ironie su Volandri che, povero (fossi io povero, per un centesimo, quanto lui), è quello con minori colpe. Anzi, mi suscita anche molte simpatie per come è riuscito a rientrare tra i primi 80, ed a 30 anni provi a mostrarsi tennista professionista giocando anche Atp su erba e cemento. Quando ormai sembra tardi.
Volandri è soltanto lo specchio e l’evidente personificazione della sciagura autentica italiana. Del dilettantesco modo di gestire e pianificare il tennis in Italia. Un bel talento (Volandri) che vede il cemento, per sua ammissione diretta, a 17 anni. Quando gli altri già passano turni in tornei Atp. Un ragazzo con un servizio troppo debole per giocare sul veloce, si diceva. E bene, ci si rassegna a quella amara verità. E nessuno che provi a migliorarne il colpo. Non ci vuole molto a renderlo, se non buono, almeno dignitoso. Ci riescono tutti, non in questi grotteschi lidi. Perché qui o nasci col servizio di Malisse nella culla, o amen. O spunta dal niente un Federer italiano, o saluti e baci. Le cose devono arrivare dal cielo. Regalate. E quando da lassù ci lanciano un miserabile talentino, si può anche provvedere a distruggerlo con perizia (vedi quello nato a Budrio). Immagino, qualcuno commentando la stesa del nostro dirà con rassegnazione italica “eh ragazzo, ragazzo...se solo Volandri avesse il servizio di Del Potro, avremmo visto un altro match…”, che poi è la sintesi di tutto.
Ma venendo alle cose serie, esordio di Andy Murray che cincischia un po’ nel primo set prima di dilagare contro l’indiano Somdev Devvarman. Poche, quasi nessuna, le sorprese dopo la conclusione dei primi turni maschili. Solo per i numeri potrebbe esserlo la dipartita di Nicolas Almagro, spennato in tre rapidi set da Julien Benneteau. Francese in buona forma, spagnolo che doveva essere (per dire) l’avversario più ostico sulla strada di Nadal fino alle semi, a casa di gran lena. Avanza Roddick, facile esordio di Feliciano Lopez e Robin Haase, Gilles Simon impiega cinque set per piegare l’ostinata resistenza del brasiliano Ricardo Mello. E me lo immagino contro Djokovic. Garcia Lopez e Gimeno Traver si ammazzano per cinque set e cinque ore e, azzardo, stecchiscono anche un paio di improvvidi spettatori che, esasperati, si saranno gettati dagli spalti credendo d’essere diventati delle aquile reali.
Se tra gli uomini i più forti avanzano, tra le donne continuano a cadere come pere mature, alcune delle possibili favorite. Una vera e propria moria delle vacche. Non in senso figurato (oddio, non per tutte). Dopo Li, Kvitova e Hantuchova, fanno armi e bagagli anche Agnieska Radwanska per mano della tedesca Kerber e Marion Bartoli stesa (esultiamo) dalla giovane americana McHale, altra tipa che avrà un bel futuro. Se sorpresa può essere, fuori anche Giovannona Wickmayer per mano di quella cosa bruttina, isterica e smoccolante manco fosse “er monnezza” (Kudryavtseva credo si chiami, ma non garantisco) e gnoma Cibulkova battuta dal bocciuolo Irina Falconi. Avanza con brivido Vera Zvonareva, che lascia per strada un set alla minore delle Bondarenko, Kateryna. Parecchio triste la rinuncia di Venere Williams, destinata ad un triste e malinconico addio, che lascia campo libero a Sabine Lisicki.
Match più atteso della serata italiana, il derby Pennetta-Oprandi. Attendo con ansia che questo benedetto match inizi. E corro il rischio di aspettare due settimane, forse dodici. Tutta di nero come una corsara, la Oprandi ha levato quasi tutte quelle bende che la rendevano simile alla reduce di una guerra contro le ossa rotte. Tuttora in corso, con alterni risultati. Confronto inesistente, perché Romina che non entra mai in campo. Incapace di mettere due colpi nel rettangolo, sbadata, svogliata, umorale, lunare. Non gli andava proprio, di giocare. Perde il primo 6-0, poi entra in campo per dieci minuti. Un paio di drop e palombelle, qualche scambio in cui tiene, e Pennetta si spaventa assai. Non ci capisce molto. Rischia addirittura il 2-3. Poi l’italo-svizzera decide che è ora di andarsene: 6-0 6-3. Esce dal campo strimpellando incurante, sul suo i-phone. E’ così la ragazza, prendere o lasciare. Sembra sia lì per caso o per punizione, quando non ha voglia. Se invece che giocare 10 minuti ci avesse provato per mezz’ora almeno, chissà. Se la tortorella avesse il fisico integro… se la sua mente fosse da atleta…il risultato sarebbe da leggere al contrario, nove volte su dieci. E si ricade nel solito fatalista “se”, già abusato per il tennis italiano al maschile. Con la differenza che questa ha avuto così tanti infortuni da treno bianco di Lourdes, che alcuni colleghi maschi al suo posto non sarebbero certo a giocare il secondo turno di Flushing Meadows. Azzardo, sarebbero in qualche isola tropicale, tra ballerine e cocktail esotici alla papaia.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.