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lunedì 5 settembre 2011

US OPEN 2011 - VOLA PENNETTA, A NADAL VIENE UN COCCOLONE

Day 7 – Dal vostro improvvido inviato, che non ha compreso il vero business: Fare il magnaccia delle libertà a 20mila euro al mese, con ulteriore benefit presidenziale di 500 mila. Tanto per non fare la fame.

Pennetta conquista gli americani. Poteva ben prevedersi, già dopo la vittoria contro la statua di piombo Masha, che per Flavia Pennetta l’ottavo contro la cinese Shuai Peng sarebbe stato ostico. Ma pure agnostico. Match diverso tatticamente, più complicato. E infatti, la quadrumane che pare una instancabile lavoratrice ossessa delle risaie, si conferma osso durissimo. Meno devastante della siberiana (spesso per se stessa), ma costante, più mobile, tignosa, una petulante ed ammirevole mosca tzè-tzè. Ne vien fuori un furibondo match sul ritmo, con scambi a notevole velocità che l’italiana è brava a chiudere, spesso con puntiglio. Regge e chiude la brindisina, segno di stato di grazia fisico notevole. Rare variazioni sul tema: qualche smorzata della nostra, terrificanti lobboni da circolo parrocchiale della cinese. Normale che le due finissero quasi stramazzate dalla fatica, dopo oltre due ore di rusticana battaglia. Con tanto di finale thrilling. Flavia in un concentrato di stanchezza ed emozionale pressione, si piega su se stessa e quasi vomita sui teloni, proprio sul traguardo, mentre serviva per il match. Grottesco warning e 0-5 nel successivo te-break, ripreso prodigiosamente con carattere che ne basterebbe la metà per fare quello di Fognini-Bolelli-Seppi-Starace mano nella mano in semicerchio. Annesso un passante di folle disperazione, steccato e miracolosamente rimasto in campo. Anche gli astri sono dalla parte della nostra. Un po’ come il pubblico newyorkese, che l’ha adottata. Rapito dal carattere, l’eleganza e da quelle moine da timida ed incredula ragazza della porta accanto.
Ora un quarto di finale regalato dal cielo, contro la tedesca Kerber (che ha estromesso Niculescu). Incontro da non sottovalutare, ma che può finalmente darle la gioia della semifinale in uno slam.  L’ipotetica avversaria uscirebbe fuori dal confronto tra le due adorabili perdenti del circuito Stosur (altra maratona per battere Kirilenko la bella), e Zvonareva, facilmente vittoriosa sulla tedesca Lisicki in giornata no.

Del Potro triste ombra malferma di se stesso. Stavo combattendo eroicamente con un pipistrello gentilmente portatomi in casa (vivo ed orbamene svolazzante) da quel bastardone del mio gatto, quando vedo qualche immagine di Juan Martin Del Potro. Impegnato, l’argentino, nella titanica impresa di abbattere l’osceno muro difensivo eretto da Gilles Simon (mica Nadal). Le espressioni, le smorfie ed il modo di comunicare degli occhi, spesso valgono più di mille disquisizioni tecnico-tattiche da gran soloni sminchiati. Persino Fabretti, capirebbe. Juan Martin è l’ombra di quello ammirato due anni fa, ma in calo anche rispetto alla versione primaverile, che tanto aveva lasciato sperare. Non sta in piedi, il povero gigante pistolero. Una via crucis fin troppo crudele. Normale non sfondi, né col servizio, né col dritto. Prova a restare a galla solo grazie all'orgoglio, spinto dal pubblico che pare quello della bombonera. Ma si arrende dopo quattro set tirati. Passa, come orrido intruso, il francese che, poveretto, in fondo non ha nessuna colpa d’esser il più noioso tennista del globo terreste.
In nottata, va liscio come l’olio Murray che rifila tre set a zero al buon Feliciano Lopez. Avanzano anche John Isner, Roddick (convincente contro Benneteau), Ferrer e Donald Young. L’americanino col cappello di traverso stile bimbominchia appassionato di hip-pop, gioca un gran bel tennis. Ma proprio divertente. E pare svegliatosi dal letargico sonno durato cinque anni buoni. Intanto ci libera dal male, incarnato da Juan Ignatio Chela. Mistero come l’argentino possa giocare quel tennis sul cemento, se davvero quello è cemento. Ogni tanto si scrolla anche l’immaginaria argilla dalle suole. Buon dio. Regge solo un set, regalando qualche fiammata autentica di classe smerigliante invece, David Nalbandian. Poi Nadal sgroppa via facile.

Il coccolone di Nadal in diretta. In serata la tv americana interrompe le dirette per mostrare l’incresciosa immagine di un Nadal stramazzato al suolo durante la conferenza stampa. Col volto terreo e sofferente, scivola dalla sedia. Una scena brutta, quasi simile al coccolone che colse Andreotti in uno studio televisivo. Ma è solo un normalissimo (insomma) crampo post match. Acuito dal dover stare seduto. Chi ha assistito alle corse dei cavalli, specie quelle barbare e clandestine, vedrà una clamorosa attinenza con quelle immagini. Le povere bestie stremate che dopo la corsa non riescono a fermarsi, scalciano in preda a spasmi muscolari indotti da chissà cosa. Materiale buono per aumentare le illazioni e far moltiplicare le dietrologie. Io che sono un puro, fervido seguace dell’immortale verbo “zemaniano” (da dda a do, da do a dda), non ho mai parlato di doping, e giammai lo farò per qualcuno, senza prove. Al limite penso e taccio. Sempre seguendo gli insegnamenti del maestro boemo, considero già doping l’assumere medicinali, leciti, oltre l’umana misura, tenendo autentiche farmacie negli spogliatoi. Anche l’autoemotrasfusione di proprio sangue sulle ferite, rimane una stortura. Un eccesso medico.
Ok, ora sembro la Binetti durante un delirante vaniloquio sul corpo mistico di cristo. Ma Nadal, da profano osservatore delle cose, mi dà l’immagine di un povero fenomeno nelle mani di aguzzini, che ne stanno spremendo il corpo per cavarne fuori tutto il possibile. Argomento che meriterebbe più profonda riflessione drogata, ma ci ho premura che devo mangiare i rapanelli bolliti. Ne scriverò diffusamente dopo che sarò morto.

Breve riassunto degli ottavi maschili:

Djokovic-Dolgopolov (80%/20%). Che dire. Se il mondo andasse come dico io, le percentuali sarebbero al contrario. Ma il mondo rimane malvagio.
Ferrero-Tipsarevic (50%/50%). I bookies vedono l’occhialuto serbo favorito. Non ne sarei così sicuro. Se “mosquito” sta in piedi, può far valere la sua maggiore esperienza a questi livelli (e 2,75 è quota allettante).
Fish-Tsonga (50%/50%). Anche qui, match aperto ad ogni soluzione. Gradirei Tsonga “the marvelous”, ma anche il bibbitaro Fish&chips non sarebbe una condanna.
Federer-Monaco (80%/20%). L’argentino dovrebbe aver esaurito le cartucce. E sarebbe già nella Pampa, se solo Stepanek non si fosse azzoppato. Svizzero che dovrebbe suicidarsi con una scure, per perdere.
Murray-Young (65%/35%). Ah, come gioca Donald…(cit.). ma difficile faccia il miracolo. Murray potrebbe andare a nozze con le gradevoli accelerazioni mancine del giovane americano, che pur vive una fase di splendida esaltazione. Forse.
Isner-Simon (60%/40%). A questo punto, meglio il pivottone americano con la faccia da nerds. Molto meglio. Simon è qualcosa di mortifero, inverecondia dormiente che ti stecchisce per inedia.
Ferrer-Roddick (45%/55%). Azzardo la sorpresa (due anni fa sarebbe stata bibbia) di Roddick. L’americano tirerà fuori ogni risorsa rimastagli (poche credo), e può farcela. Ma ‘ozzappatore non regala niente.
Nadal-Muller (70%/30%). Precedente a Wimbledon, due mesi fa. E per due set il lussemburghese infastidì Nadal. Esperto, mancino, gran battitore ed asfissiante attaccante. Basterebbe per recare qualche problema allo spagnolo. Vincere è difficile.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.