.

.

lunedì 31 ottobre 2011

KVITOVA, MASTRA 2011


Tra Halloween, Deserto dei Tartari e notte delle morte viventi.


Trova il mostro che è in te. Avevo appena approntato il costume per l’incombente seratona di Halloween (mi travestirò da Tipsarevic col rasserenante sguardo di Cilic – tipico del nano pisolo affetto da gigantismo che cammina contro mano in autostrada. Una mostruosità assoluta -) quand’ecco che va in scena la finale dell’edizione 2011 del Master femminile, in quel di Istanbul. Torneo, ovviamente, sterile e deludente. Match di asfissiante noia, talvolta confinanti col coma narcolettico, altre con la medesima brutale sensazione che si proverebbe nell’essere trafitti da una scure in pieno petto. Una scure sbirola, storta e arrugginita.
La Wta attuale è questa, e lo stato di ridicola crisi mortifera in cui versa, ben si riassume in quella foto in alto. Al solito, l’acme del patetico, si concentra nella presentazione pre-torneo. No, anche se così sembra, non è la serata di Halloween anticipata. Manca la zucca. Alcune bambolone, altre muscolose bestie da campo, posano in ghingheri da sera come neanche ad una prima della scala, con odor di muffa imperante e tante piccole eredi della contessina Serbelloni Mazzanti vien dal mare. Hanno nello sguardo un pizzico di composta vergogna per quello cui le costringono, tra svolazzanti e frivole vestali luccicanti, in stile pulzellette della Cappadocia.
Vince Kvitova in finale su Azarenka, amen. Trionfa la più forte del lotto, fra le tre che quest’anno avevano vinto uno slam (la quarta, Kim, non c’era e chissà se ci sarà ancora) e quelle che provavano l’exploit. Ma passiamo ad analizzare le protagoniste singolarmente. Per le loro tristi prestazioni sul campo? Non sono così crudele, quindi ci sarà spazio anche per un sapido sguardo alle loro mise da sera. Per l’onanistica gioia di quel commentatore che mi consigliava di lasciar perdere i tecnicismi, concentrandomi sulla moda. Ed io lo contento. Altrimenti potrei dirvi che un tennista tutta forza come Malisse ha poche speranze contro il funambolo Djokovic. Ed io non vorrei rubargli simili gemme.

Petra Kvitova: 8. A guardarla, in quel lungo abito color del mare verdino antracite o muffa di mandarancio, sembra la compagna di scuola vagamente cessa ed afflitta da problemi di acne. Proprio lei, che rivedi dopo qualche anno ad una festa di matrimonio, agghindata come le gran dame. Fa ridere, al più, con quegli occhioni ritrosi. Sul campo invece stende tutte con inaudita virulenza. Dopo qualche mese di pausa seguito al trionfo londinese, torna al top in Turchia. Cadono come pere lesse sotto i suoi magli mancini le varie Zvonareva, Wozniacki, Radwanska. Maggior resistenza offrono la cangura Stosur e Azarenka in finale. In questo scenario lunarmente rarefatto, sembra l’unica ad avere i colpi devastanti e le stimmate, se non da campionessa, da dominatrice costante. Un minimo di spavento lo provocano solo quei terrificanti guaiti striduli, fulminei e rochi, che esala a mo di esultanza. Prima di ricomporsi allo istante. Un “bawaurggh”, che dovrebbe somigliare ad un “c’mon”, forse.

Victoria Azarenka: 7. Assente nella sfilata, impegnata in una seduta extra con gli esorcisti travestiti da mental coach. E i benefici si vedono. Si qualifica subito per la semifinale passando sui cenci di Na Li e Stosur. Poi si rende un filo ridicola perdendo dalla “supplente” Marion Bartoli. Cosa che non ho visto, viva iddio. Pare che l’indemoniata Linda Blair, del tutto disinteressata al risultato, non emettesse nemmeno quello stridulo rantolo (“iiiiiiihhhhhhhhh”) tanto simile al vagito di uno spettro malato di mente con fattezze spongiformi. Ed ammutolita, si sia lasciata battere senza raglio e colpo ferire. Un po’ (tanto) colpa della formula a gironi, il resto lo fa la sua proverbiale e schietta antisportività. In semifinale brutalizza Vera Zvonareva, mancando però la consacrazione nella finale con Petra Kvitova. Ci sarà tempo anche per lei, temo.

Vera Zvonareva: 5,5. Che dire, ormai. Vorrei evitare il tennis concentrandomi sul sobrio vestito a manica lunga della sfilata, in un nero che sfina, sormontato da una specie di cintura rossa simile a contenitiva panciera per ventrazze da birra. Ma io l’adoro, e continuo a preferirla completamente ignuda, come nell’ormai leggendario servizio del mese scorso su non saprei quale rivista. Anche se di nudo c’era poco, anzi niente. Quanto al campo, se proprio devo…beh, ogni parola rischia di risultare scioccamente inutile di fronte all’ennesimo spettacolo del bellissimo e paffuto cigno aspirante al macabro suicidio, cui si assiste impotenti. Ce l’aspettiamo noi, se lo aspettano anche i mental coach (che prima o poi preferiranno il capezzale di un Fognini, per disperazione), ma se lo aspetta anche lei. Si attende che noi ce lo stiamo aspettando. Serve per il match con Radwanska, sventra due match point, poi si lancia in sguardi assenti, risatine isteriche, smorfie da antologia. E perde. Eccola la figlia illegittima di Dorando Petri. Con gli occhioni affranti ci comunica, come una specie di presa in giro di ogni cosa: “Avete visto cha anche stavolta ce l’ho fatta a non vincerla? Eh?” e poi lacrime trattenute a stento. Per una sorta di miracolo e laboriosi calcoli alfanumerici riesce ugualmente ad approdare in semifinale, dove prende una memorabile stesa dalla Azarenka. Stesa che ben fa il paio con quella ricevuta nel girone da Kvitova. In sintesi: è completa, caruccia, persino gradevole. Ma oltre ad essere perdente nel dna, non ha winners e poche difese contro orchesse in discreta giornata.

Samanta Stosur: 6,5. Così conciata, boccoli da Shirley Temple  e scollata sottana ricavata da un ricco paletot o tappetto volante egizio, è la più anacronistica. Deve vergognarsene intimamente. Voglio dire, con quei muscoli che la fanno apparire figlia illegittima di Sylvester Stallone e Schwarzenegger dopo una scellerata notte d’amor struggente, sembra domandarsi con gli occhi timidi: “perché proprio io? Che ho fatto di male?”. Meglio con una camicetta a scacchi da contadina.  Dopo il fantastico disvelamento nuovayorchese, sul campo era attesa ad una conferma. Non ci riesce, ma fa il suo dovere, passando sui ripugnanti cocci di Sharapova e schiantando Na Li. Prova anche a sbarrare la strada alla devastante Kvitova. Gioca un gran bel primo set a suon di dritti schioccanti, si dà delle gran pacche d’incoraggiamento sulle cosce manco fosse la fantina di se stessa. Poi si arrende alla distanza.

Caroline Wozniacki (la numero 1, cioè): 5. Il suo corto tubettino color prugna del Nebraska è forse il più sobrio del lotto. Su di lei sembra ugualmente grottesco. Senza collo e senza tennis, questa dolce danesina trasparente. Numero uno triturata (secondo pronostico, ed è questo il paradosso) da Kvitova e persino Zvonareva. Rimane dominatrice delle classifiche grazie alla raccolta punti del discount. Qui non regalano una pirofila, ma la coroncina fittizia di numero uno al mondo. Cosa può farci lei? Niente. Bruttissima a vedersi, cerca invano di far parlare di se per altro. Ora un morso ad opera di un dingo incazzato (poi diventato canguro con le turbe psichiche) che attentava la sua illibatezza in Australia, quindi il fidanzato sciocco e sportivo (Nandone nostro). In Turchia pare abbia provato a venderci una tresca con l’indimenticato “imperatore” Fatih Terim.

Agnieska Radwanska: 5,5. La meno peggio del lotto, nella sfilata. O meglio, quella che appare meno a disagio nell'orrore circostante. Gonnellino-tutù svolazzante, sorriso radioso ad impreziosire il triplo mento, gambe smilze e ginocchi puntuti, somiglia ad una delle girl di Fonzie in Happy Days. Arrivata in Turchia con discrete credenziali, e reduce da buone prestazioni, manca la prova del nove. La consacrazione sul gran proscenio. E fallisce miseramente. Raccoglie solo il cadeaux della vezzosa aspirante al suicidio Vera, per il resto non riesce a mettere in campo quella sagacia tecnico tattica ammirata in Cina, ma tornando melacotogna matura che cade dall’albero. Ho sognato, un mezzo incubo meno atroce di altri, una  futura rivalità al vertice tra lei e Petra Kvitova. Almeno ci sarebbe una specie di contrasto di stili.

Na Li: 5. La fasciano in un sontuoso vestito a più strati di chiffon, manco fosse una geisha orientale. Cinese. Perché travestirla da mondina delle risaie indocinesi pareva brutto. La campionessa del Roland Garros (mai finiremo di ringraziarla per quella indimenticabile impresa), sembra essere rimasta a Parigi. Quasi il torneo francese nascondesse una maledizione. In realtà, forse, quella è Na Li. Solida tennista, spartana e senza ghingheri. Una bella top ten. Quando attraversata da buona forma, un paio di mesi all’anno, top 5. Se a tocchi come in questo periodo, reduce tra l’altro dalla dolorosa separazione col marito coach, si rivela assolutamente incapace di competere con le altre. Batte solo Sharapova, ma quella, nelle condizioni in cui era, l’avrebbe battuta anche Volandri o una cucurbitacea.

Maria Sharapova: s.v. Esibisce uno sbluffantissimo e delicato abito color gialletta in amore, parco di plissè e trasparenze eccitanti quanto la Binetti che fa uno streapease sulle pietre tombali di un cimitero comunale. Il tutto condito dal solito sguardo di contrita, virginale ed altera consapevolezza stretta tra le contegnose chiappe. "Che fai, ci sputi sopra ad una ragazza di siffatta bellezza? Sei recchione peggio di Malgioglio, Picasso?", potrebbe domandarmi qualcuno. Per niente, risponderei. Con una così ci uscire volentieri, portandola in un bar bettola, tra avvinazzati che ruttano, spetazzano, mangiano uova sode e tracannano birra scadente. Ma ha anche giocato, l’urlante siberiana. Se possibile, mezza claudicante risulta ancora più insostenibile del solito. Riesce a perdere da Stosur mettendo fine ad una striscia di nove vittorie nei precedenti, s’inchina anche a Na Li, prima di rinunciare al terzo match.

Marion Bartoli: 6. La supplente alle grandi manovre. Scordatevi Edwige Fenech, questa cosa transalpina è invece la morte dei sensi. Ma da supplente, almeno, ci ha evitato la sfilata. Rabbrividisco al sol pensiero. Sostituisce Maria Sharapova per un inutile terzo match. Fa il suo inutile dovere e vince, sulla insolitamente muta e rinunciataria Azarenka.

5 commenti:

  1. ciao pic, visti roger e novak in quel di basilea? Xavier e' andato vicino al colpaccio, ma e' pur sempre Malisse...tu chi metteresti nel lotto dei favoriti a bercy(federer mi e' parso un po' appannato)? E chi vedi come possibili sorprese? Ciao e a presto, Angelo

    RispondiElimina
  2. Visto un po' di Federer contro il Potone. Lo svizzero m'è parso ancora al 4,2% della condizione ed ha rischiato addirittura di perdere un set. Normale, credo, dopo lo stop. Lo stesso per Djokovic, ma Malisse era ben più pericoloso. Anche il serbo deve carburare. Peccato per Malisse, quell'incontro somigliava ad un trattato brail su come il tennis sia cambiato negli ultimo dieci anni.
    Ciao Angelo, a presto.

    RispondiElimina
  3. -Ho sognato, un mezzo incubo meno atroce di altri, una futura rivalità al vertice tra lei e Petra Kvitova. Almeno ci sarebbe una specie di contrasto di stili.-
    Questa te la straquoto!

    In merito al torneo hai già detto tutto tu, è stato bello vederle stendere l'Azarenka, ma temo anch'io che ci sarà posto per lei.
    Diamoci alla moda! I vestiti sono tutti orribili ed esagerati, prendo quello di Na Li per carnevale

    RispondiElimina
  4. Ci manca il tuo blog! un appassionato lettore!

    RispondiElimina
  5. @Star,
    ciao, con ritardo elefantiaco (ma ho aperto il blog solo oggi dopo tempo), beh in un certo senso sì...è una possibile rivalità. La ceca sembra già matura per dominare, l'altra ha ancora poco credito (vincitrice in Australia la danno a 21,00), ma se al meglio può essere una specie di Murray in gonnella.
    Sui vestiti...boh. Quello di Na Li è da baraccone carnascialesco. Mi costerno ancora per l'assenza di Marion Bartoli. =)

    @Anonimo,
    grazie per la fedeltà. Quale dei tre? In realtà la mia presenza qui sarà ridotta al minimo. Forse nulla. Vedrò. Attualmente mi scoccia non poco, scrivere. Ciao, a presto.

    RispondiElimina


Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.