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venerdì 20 gennaio 2012

AUSTRALIAN OPEN 2012, GLI ORFANI DI COCCIOLONE


Day 5 – “Ungi l’assi, ca la rota camina…” (Zu Binnu Provenzano o l’on. Casentino. Non ricordo)

Cede di schianto Romina Oprandi, nel suo terzo turno degli Australian Open, alla tettuta valchiria teutonica, Julia Goerges. Si arrende, non prima d’aver illuso per un set e mezzo. Tedesca sotto tono, e quasi ridicolizzata da ricami e svolazzi. Non bastano le dita di una mano per contare i vincenti drop alati della nostra paffuta eroina dei monti. Circa dodici nel vincente primo set. Che diventano quasi venti, dopo un inizio di secondo set semplicemente delirante, infarcito di tocchetti da adepta del dio maramaldo, ed ancora smorzate. Anche quando non riesce alla perfezione, e l’altra la riacciuffa tirandole una roncola spaventevole che le rimbalza nei piedi, quella che fa? Partorisce un suadente pallonetto in controbalzo da funambola (difficoltà 2386 su 100).
Tutto magnifico, perfetto, fino al 6-3 3-2. Poi si rompe l’incantesimo. Ancora il fisico che cigola, con tanto di intervento della fisioterapista. L’altra sera il piede, oggi la schiena che ne limita servizio e smash, tirati solo in appoggio. Bisognerebbe davvero capire come mai ogni volta ne abbia una. Come possa il fisico di una sportiva subire sempre questi piccoli grandi traumi. Innegabile quanto la svizzerotta abbia avuto poca voglia di lavorare e costruirsi una macchina sportiva resistente e valida. Probabile che dopo i tanti, grossi ed enormi traumi patiti nel corso degli anni, paghi mentalmente ogni situazione rischiosa, al minimo accenno di dolore. Innegabile invece, come il terrificante infortunio al braccio non sia stato causato da scarso allenamento, ma da miserabile, malvagia cattiva sorte.
Poco cambia, la nostra cede di schianto, mentre l’imponente tedesca, tutta piegata su se stessa, tra pugnetti ad ogni pie’ sospinto ed insostenibili urla di minacciosa soddisfazione al suo angolo, vola via. Più ridicola di una Ivanovic applicata alla Sharapova. E ce ne vuole. Mazzate vincenti di servizio, e roncole come fosse tramontana di virulenza. Parziale di 10-1 e Goerges che approda agli ottavi in carrozza. Con l’uscita di Oprandi, è rimasta solo Sara Errani  a difendere i colori azzurri. Anzi, questione assai dibattuta, pare che Errani fosse l’unica italiana in corsa già da due giorni. Da quel fatidico dì in cui la pingue tortorella ebbe l’ardire di punire l’Italia racchettara battendo Schiavone. Forse per lavarsi qualche sassolino dalla bende di Tutankamon, Romina ha dichiarato che sta seriamente pensando di accettare la proposta della federazione svizzera (che di tennis qualcosa ne capisce…). Visto anche il silenzio di quella italiana, da anni. Sorpresa, condanna, costernazione, disgusto, aberrazione generale per la mancanza d’amor patrio della tennista. Dimenticando che, questa marrana manigolda sta riflettendo solo se tornare a difendere i colori di una nazione nella quale è nata, vissuta e pasciuta. Mica chiede asilo politico alla Birmania (come pure potrebbe fare qualsiasi tennista dignitoso e disgustato all’idea di rappresentare simili dirigenti italiani). Una nazione, quella scudocrociata, che sente comunque sua come l’Italia, e che a differenza di quella tricolore (listata a lutto dopo il successo con la leonessa), sta dimostrando attenzione per le sue prestazioni. Magari garantendole la partecipazione alle Olimpiadi. Che c’è di così mostruoso o inaccettabile? Niente, per chi non ha nel dna ancora quei rigurgiti di fascismo imperante e che pretende ogni volta frasi simili anche nello sport: “ve lo faccio vedere io come vince (spesso perde) un italiano”.
Tra le altre, passeggiano sul velluto Azarenka, Na Li, Radwanska, Clijsters, Wozniacki. Continua il suo percorso netto la ceca Benesova, mancina gradevolissima, che batte nettamente la qualificata che ha giustiziato Pennetta a suon di deliziose accelerazioni macine ed angoli pregevolissimi. Una specie di Melzer in gonnella, questa Iveta. Non a caso l’austriaco pare avesse approfondito questa comunanza con sedute extra, tra un doppio misto e l’altro.
Tra gli uomini, a passeggio Nadal, Berdych e Del Potro. Bene anche Federer col sempre pericoloso Frankenstein Karlovic. Dello svizzero si rimarca un miracoloso salvataggio a rete, sulla palla che gli sarebbe costata primo set e fatica ulteriore. Mezza sorpresa la vittoria del rospo Almagro contro Wawrinka, nella norma quella di Lopez contro il fromboliere gigante Isner, forse stanco dopo la maratona con Nalbandian. Mentre continua il sogno australiano incarnato da Bernard Tomic che si impone a suon di affilate difese sulla libellula pazza Dolgopolov, ucraino che fino ad ora ha vinto il mio oscar di tennista più divertente di quest’edizione degli Australian Open. Pazienza se è già fuori.

2 commenti:

  1. Dolgopolov e Tomic hanno dato vita al match più interessante e atipico del torneo. Due talenti che esprimono (finalmente!) un tennis fuori dagli schemi, ricco di variazioni e di tagli dal sapore antico. Devo confessare una lieve predilezione per l'ucraino: forse discutibile stilisticamente, definirlo originale è riduttivo. Non si sa mai cosa rimanda dall'altra parte della rete ed ha una velocità di braccio rara. A mio parere ha buoni margini di miglioramento, quantomeno a livello di testa. Più che discontinuo, direi schizofrenico il suo andamento prestazionale.... con evidenti ripercussioni sui temerari che si azzardano a scommetterlo vincente. Nella partita con Tomic ha servito circa il 40% di prime, contro il 70% dell'australiano, peraltro alternando a game di 2-3 aces altri di sole seconde tenere. Ho poi il sospetto che la molla impazzita non abbia capito che negli Slam non è obbligatorio arrivare al quinto set per vincerle le partite!
    Tomic ha già la stoffa del giocatore maturo, e nei punti salienti ha fatto la differenza, anche se oggi si è arreso con forse troppa deferenza nei confronti di un Federer ispirato.
    Saluti!

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  2. Ciao Luca,
    Sì, non l'ho visto tutto, ma è stato match interessante. Pieno di ricami, slice e varanti tattiche. Effettivamente l'australiano sembra molto più maturo degli anni che ha. Dolgopolov, beh...la sue bellezza sta proprio in quell'imprevedibilità ed atipicità del gesto tecnico. Imprevedibilità che spesso finisce per essere il suo punto di forza contro avversari spesso spiazzati. Altre volte finisce per imbrigliare se stesso. Ma va bene così...
    Ciao, alla prossima.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.