.

.

mercoledì 18 aprile 2012

TO ROME WITH LOVE



La triste storia di un giovin signore, nelle sue annoiate vacanze romane
Tutto quello che seguirà è frutto della disturbata fantasia di un autore inesistente. Invenzioni immaginifiche traviate dagli oppiacei, semplicemente. Nessuna novità, forse.



Ho accettato, chinando il capo, che Djokovic diventasse numero uno. Cosa vuoi che sia il resto? E’ nei momenti più difficili che un uomo deve mostrare il petto, esponendosi coraggiosamente al pubblico ludibrio ed al cicaleggiante afflato di linciaggio. Un uomo, mica un nickname.
Non voglio tediare l’inconsapevole lettore con le amene e tristi vicende del torneo monegasco, in corso di svolgimento nelle principesche paludi. E’ assente Federer, ok. Manca lo svitato pittore tedesco Petzschner, rimasto a casa a leccare, come un’anatra squilibrata,
 le ferite  di un’esistenza malvagia.
Ma è altro, quello che mi interessa. Torno a quel coraggio di mostrare il petto villoso su cui sparare. Ci sono le prove, tanto. Tracce di una vaniloquente ammirazione tennistica per il boccoluto talento di Ernests Gulbis, sono ben rinvenibili. E mica le nego. Mutare idea è sinonimo di intelligenza. Cambiarla spesso, di genialità assoluta e rara visione d’insieme. Sarà perché io invece sono solo un umile stronzo, ma idea non la cambio. Sposto la prospettiva, come fanno i dritti.
Da ormai oltre quattro anni si discute, annaspando ed esibendo terrificanti piroette degne di un Roberto Bolle drogato di trielina, di questo miliardario ragazzo dal cristallino talento nel braccio, capace di colpi di violenza devastante e smarrenti palombelle morbide. Basta solo citare il tristemente surreale campionario degli ultimi tempi. Gaudenti e violente fiammate che quasi ti lasciavano senza fiato, nel mezzo di assordanti silenzi. Una all’anno, come l’istrione potenziale che non vuole inflazionarsi abituando bene la plebaglia. Poi, all’improvviso l’incoscienza. Può essere nei pressi di Malibù beach, arginando sontuosamente Mardy Fish o travestito da Elvis Presley a Memphis, irrazionale città che col tennis ha poco a che spartire. Poi a Roma batte Federer e se la gioca alla pari col mostro dell’argilla, Rafael Nadal. Tanto per mostrare agli infedeli quello che poteva essere.
E a Roma è atterrato nuovamente lo scorso fine settimana, il “giovin signore” lettone. Lo vedo con gli occhi abbottati di sonno, il volto paciocco sporcato da un velo di barba a dargli la consueta aria da miliardario bohemienne. Scende dal velivolo, coi riccioli rossastri scossi dal vorticoso venticello delle eliche. E’ nella città eterna per la presentazione di “To Rome with love”, ultima fatica cinematografica di Woody Allen? Può essere. Anzi, no. E’ sbarcato per giocare e vincere in punta di budello i due challenger capitolini, iniziando a Tor di Quinto. Ma certo, come no. Nei paraggi sgroppano puledri e ronzini, in un triste, quanto significativo parallelo con nitrenti manifestazioni ippiche. E’ numero 90 e rotti Ernests, ma che differenza fa. Fin troppo algidamente superiore agli altri polverosi mestieranti, questo ragazzo. Naif, svagato, viziato e cullato nella bambagia con fili d’oro. Ed è in questo stridente groviglio di contrastanti e talvolta opposte caratteristiche tecniche, mentali e caratteriali, che si nasconde il suicidio tennistico di Ernests Gulbis.
Pochi giorni fa aveva prospettato l’ipotesi di ritiro a fine stagione, a 24 anni. “Se i risultati non arriveranno”, dice. Ciancia di fantomatici problemi fisici. Sofferenze. Uno prova anche a crederci, forte di una granitica venerazione per il talento folle minato dal muscolo. Ma ormai anche quella accecata e demente credenza nel suo nulla arricciato, come una di quelle deliziose foglie morte che partoriva sul campo, è andata a farsi benedire. Semplicemente getta via tutto, talento, carriera e titoli potenziali. Perché questo come braccio sarebbe da primi quattro o cinque. Non ha l’inflazionata fame tennistica, ovvio. Ma nemmeno quella è la decisiva scriminante, il disvelamento del clamoroso fallimento sportivo. Altrimenti, con il suo conto in banca ed i trofei vinti, ve lo vedreste Federer ancora a rincorrere una pallina? O Shumacher a 300km/h, dietro una Force-India? Al lettone manca la voglia di lottare, il carattere, l’istinto e il sacro fuoco dell’atleta. Non ama il tennis, forse. Non gli piace quella magnifica sensazione di muscoli dolenti, prima di andare a letto. Preferisce quattro escort lapponi che si prendano cura delle pudenda reali, al limite. Come dargli torto. Un non-atleta è anche quello. C’è  chi può e chi non può, diceva il fraticello da Scasazza. Lui, modestamente, può. Come un Safin piccolo ed insignificante, senza titoli ed allori, pare essersi già annoiato. Irrimediabilmente. Quasi avviato alla decisione di abbandonare.
La storia recentissima lo vede sgroppare in sourplace su campi dell’impianto Rai, dopo che i suoi nobili ed ancora assonnati occhietti hanno addirittura dovuto vedere Santopadre che sgambettava garrulo. Vince i primi tre games. Poi raccoglie un esemplificativo 12-2 da Simon Greul, tedesco in possesso di ripugnante tennis arrotato. Schiantato, il “giovin signore”, da un tizio che da un paio d’anni è nell’assoluto dimenticatoio dei ronzini tennistici, incapace di battere anche i “Dimauri” e “Giannessi”. Avvilente.
Uno prova a darsi due violenti schiaffi in faccia ed arriva a pensare, con grande lucidità: “Via, si stava solo rodando. Il suo vero torneo sarà al Roma Garden. Poi passerà anche le qualificazioni agli Internazionali d’Italia e farà semifinale, almeno.”.
Credeteci, crediamoci. E’ gratis. Che poi al limite un ricovero coatto alla clinica “sanalamente”, non è la fine del mondo.



6 commenti:

  1. Questa roba scritta è geniale. La premessa - strategica.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazi-assai. Si fa quel che si può.
      La premessa è importante. Non quanto il finale, ma ha la sua valenza strategica.

      Elimina
    2. "Crediamoci, è gratis": perché no? :)

      Elimina
    3. Sono talmente poche le cose "gratis" ormai, che se perdiamo anche quelle, è la fine...=)

      Elimina
  2. che bello trovare qualcuno che condivida il mio amore senza speranza per il buon Gulbino!!

    Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
    Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
    Ti odio e ti amo. Forse ti chiedi come ciò possa essere.
    Non lo so, ma sento che è così, e me ne tormento.

    così il poeta!!

    RispondiElimina
  3. Grazie per la citazione.
    "Gulbino" a parte, l'odio/amore è un sentimento da rivalutare.
    Io, in genere, sono più incline all'odio puro. Ma i saggi dicono che l'amore s'insinua subdolo anche dove sembra s'annidi solo l'odio più feroce.
    Sarà.
    Ciao anonimo/a. Alla prossima

    RispondiElimina


Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.