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lunedì 28 maggio 2012

ROLAND GARROS 2012 – UNA GIORNATA DA VECCHI LUPI






Day 2 La butto in vacca, non sapendo cosa dire ma volendola dire per forza. Come fosse Antani


Un lupo spelacchiato e vagamente obeso, che paonazzo ulula tutta la sua frustrazione all'inesistente luna. E’ David Nalbandian, in balia del rumeno Adrian Ungur. Vedo qualche stralcio mentre addento una mela annurca, e l’argentino non capisce niente di quel fantino dal cavallo basso che pare sbucato da un cantiere ove mescola la palta. David cerca le righe con ossessionante miopia, manco dovesse provare l’impossibile contro Nadal e gioca sul rovescio che quello schioppa in modo formidabile. Perde in quattro set, e se ne esce madido di sudore, color viola purpureo come il mio sessantasettenne vicino quand’ebbe un infarto.
Ma è la giornata anche dei vecchi lupi di mare transalpini, questa. Il pirata nano Arnaud Clement al suo commiato, che a trentacinque primavere vince una maratona di cinque set contro il poco più che modesto Bogomolov. Personaggio di dubbio gusto russo/americano che riesce a farsi amare dal pubblico, ritirandosi sul match point dopo riprovevole scenetta da teatro carcerario. Eroico anche l’altro francese Mathieu, trentenne con alle spalle una carriera da perdente sommo ed un infortunio che lo ha tenuto fuori a lungo. Recupera due set al vecchio tedesco d’oriente con le gambe segate Bjorn Phau, e trionfa al quinto. Lotta da par suo un altro campione del recente passato Lleyoton Hewitt, che come "Rocchio 47" prova inutilmente la rimonta sullo sloveno Kavcic.
E’ ormai tarda serata quando benedico la madonna del petrolio per la grazia concessami: Posso seguire in contemporanea Xavier Malisse e Tommy Haas. Due delle poche, pochissime, cose per cui valga ancora la pena seguire questo bastardo sport abbruttitosi con gli anni. Il belga, in una improbabile maglia fucsia, soffre ma lotta da par suo contro Brian Baker. Match difficile, si sapeva. L’americano, fermo per cinque anni a causa di un infortunio che sembrava finale, è tipo che gioca in modo fantastico. Anticipi e affondi assai notevoli, solido e completo in ogni angolo del campo. Insomma, non tornerà forse a bersi come ovetti di quaglia alcuni attuali top come faceva in gioventù, ma può tornare a buoni livelli. Intanto batte in tre (tiratissimi) set il belga al quasi addio. Per lui appuntamento a Wimbledon, per vincere. Certo. Magari senza la tachicardia che dieci anni fa gli impedì il trionfo.
E’ invece ben avviato Tommy Haas, che chiude con puntiglio ispirato il primo set contro Pippo Volandri. Tennista assolutamente magnifico, il trentaquattrenne tedesco. Lo guardi quasi in apprensione, pregando le divinità che ce lo conservino un altro poco. Che per altri due set facciano rimanere al proprio posto un bacino di balsa e le altre ossa tenute assieme in modo approssimativo. Vinto il primo si riposa per un set, alla maniera di Jimbo, e poi torna a dominare in modo regale. Volandri partorisce servizi da circolo parrocchiale degli infermi con artrosi lombare, ed il tedesco vi si avventa con grazia prodigiosa. Avanti due set ad uno arriva ad avere cinque possibilità del 5-0 nel quarto. Le fallisce e Volandri rientra sul 2-4, prima che il match venga sospeso.
Per il resto, biblica resistenza di Starace che strappa addirittura dieci games a Djokovic. Federer passeggia su Kamke ed eguaglia le vittorie nei major di Connors. Seppi domina l’ectoplasma di Nosferatu Davydenko. “Picasso” Petzschner riesce nell’impresa di soccombere col tunisino Jaziri (avessi detto Mecir). Si esalta come pochi nella piccola pugna (alias “pugnetta”) Gulbis, ardimentosamente recuperati due set a Kukhuskin finisce per cedere, ovviamente, al quinto.
Tra le donne, rischia il piccolo grande miracolo dell’assurdo, Albertina la babuina (ma nella simpatia, eh) Brianti, contro la numero uno al mondo Azarenka. La nostra è piccina, vintage e delicata. Una specie di deliziosa maestrina trentaduenne, in copia imbruttita di quello che fu Justine Henin. Ma col suo tennis può mandare al manicomio una giovane vatussa della nuovelle Vague come la “Linda Blair” bielorussa. Specie se questa strana creatura dei grotteschi inferi è in giornata di black out cerebrale. E infatti l’italiana si trova ad un passo dall’impresa di giornata, avanti 7-6 4-0 e palla del 5-0. Poi, un po’ la manina del nostro fragile aracnide trema, un po’ la valchiria torna a suonare la terrificante marcia tambureggiante, e l’incredibile rimonta si compie. Vika esulta in modo agghiacciante. Una specie di film comic/horror. E se i segnali del tragico destino non m’ingannano, andrà a vincere il torneo.

4 commenti:

  1. E in tutto ciò Dancevic colleziona un nuovo ritiro. Sempre quella schiena maledetta.

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  2. Sì, qualche gioco e via. L'impressione è che il suo sia stato solo un tentativo. Si spera possa restare con gli ossi sani per le settimane erbivore, almeno.

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  3. Nella mia ora d'aria pomeridiana, ho fatto in tempo a vedere tre set di tre match diversi: il terzo di Federer, il primo di Djokovic e il secondo di Llodra (certamente "er mejo"). Tutti tranne Nalbandian affermano che i campi - o le palline, poco importa - siano, tanto per cambiare, più lenti rispetto all'anno scorso. Ammetto che non sono riuscito a inquadrare bene la questione. Chiedo dunque conferma: qual è la tesi corretta? Quella argentina o quella degli altri?

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  4. Dal di fuori si potrebbe dire qualsiasi cosa, alla fine sono loro che provano palline e campi.
    A livello di semplice sensazione visiva, sembrano campi lenti, ma meno di quelli Romani. Forse. Sulle palline, difficile pensarla diversamente. Pare siano più lente rispetto a quelle usate di solito:
    Tenderei comunque a fidarmi della maggioranza dei tennisti e non di Nalbandian, lucido al punto che a stento ha compreso come il colpo migliore dell'avversario fosse il rovescio.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.