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lunedì 11 giugno 2012

ROLAND GARROS 2012 – CATTIVISSIME PAGELLE METROSEXUAL






Day 15 - Tristi bilanci, faziosi giudizi e feroci invettive di un minimalista pezzo di merda. I voti sono a cazzo, stavolta. Giocateveli sulla ruota di Beirut nellestrazione di martedì


Uomini


Philipp Petzschner: 1. Nitida essenza della più assoluta inutilità tennistica. Ormai consapevolmente “Ridolini” del tennis coi calzettoni iridescenti da “Pippi Calzelunghe”. E qualcuno ancora si domanda il perché del mio pseudonimo. In quale altro sport lo trovate un Petzschner? Il primo/a che mi trova macchietta simile, vince un premio.
Rafael Nadal: 5 (e quei prevenuti mettono in dubbio la mia cristallina obiettività). Mettiamo ordine. Sette Roland Garros suggellano il dominio incoronandolo tennista più forte della storia, su terra battuta. Più di Borg. Tranne una magica stagione di demolizione svedese, c’è sempre. E con un Djokovic sottotono e Federer fuori fase, tutto diviene facile. Trita tutti, lasciando per strada una ventina di games prima della finale. Arriva a 20 set vinti consecutivamente, dopo l’iniziale fuga con Djokovic, in quella che sembra una delle più brutte finali parigine dai tempi dei due Costa, Muster e Berasategui. Poi inizia l’irreale, quasi uno scherzo del destino a testimoniare come per vincere uno slam devi mettere in conto mille dettagli. Pioggia a catinelle, interruzione, ripresa, campo reso fanghiglia orrenda, palline zuppe d’acqua che diventano pallettoni terrificanti. E tutto pare sgusciargli dalle mani come un’anguilla. Djokovic recupera un set, vola anche avanti nel secondo spingendo quelle palle di cemento molto meglio di lui. Incredulo Rafito, livido di rabbia lo zio Toni/Lele Mora. Il più forte di tutti su terra battuta, ed il più allenato alle palle pesanti da lui stesso congegnate (e testate con perizia estrema nella galleria del vento del suo sponsor), in difficoltà. Messo in ginocchio da una terra diventata fango e dalle palline terribilmente diverse da quelle che aveva voluto per tutti. Poi alla ripresa, il lunedì, tutto rientra nella quasi norma, e lui trionfa.
Novak Djokovic: 4,5. Poche ciance, è la controfigura dell’irriducibile marionetta capace di ribattere colpo su colpo e tenere il ritmo indemoniato dello spagnolo, visto nell’ultimo anno solare. Si salva di puro orgoglio con Seppi, e con sangue freddo esce dall’angolo cui l’aveva chiuso Tsonga. Non deve nemmeno esalare un urlo di proverbiale esagitazione per battere Federer. Ovvio che non riuscisse ad avvicinare il maiorchino. Così come è normale che riuscisse a sfruttare al meglio le condizioni climatiche diventate estreme. Riemerge, te
atraleggiante ed eccessivo come nessuno nelle mimiche e nelle reazioni, sobrio come una camicia di Formigoni. Che guitto sarebbe del resto. E questa sua maggiore capacità d’improvvisare ed adattarsi alle diverse condizioni innanzi ad uno spagnolo che aveva studiato ogni dettaglio da mesi, mi fa passare dalla parte serba diventando intellettuale ultrà della Stella Rossa. Per circa due minuti. Il tempo di spegnere e dedicarmi al giardinaggio con una ghirlanda di zagare siciliane in testa.
Roger Federer: 5,5. L’eterna condanna e sadico contrappasso che nemmeno Dante avrebbe potuto congegnare. L’uomo dei mille record che quei record non può più snocciolare. Semifinali e finali di slam, vittorie di Masters 1000 e la seconda piazza mondiale, si rivelano un terrificante insuccesso. Mettiamo ordine: Il tennis di Federer rimane incantevole parentesi tra le brutture di vertice, quasi una diapositiva che ancora ci lega al passato, con lo sguardo che volge al presente. Tra i tennisti di vertice, non si può non sperare che vinca lui. E bello rimane anche se fa semifinale, o secondo turno. Per me. Facile per uno abituato agli Youzhny e a Petzschner, e che anzi gode inconsciamente della sconfitta, temprato ad essa da anni. Inutilmente ebbro della gioia che inutili gesta fini a se stesse possono donarti. Al limite, voglio dire, bello è anche quel John McEnroe che vince il torneo “Perrier” assieme al fratello insipiente. Provi a rivelarlo ad un tifoso dello svizzero, e quello ti guarda male. Fa la faccia truce e torva. Capisce che sei pazzo ed un poco sacrilego. Ma si tratta solo di una pazzia diversa rispetto alla sua. Quello si chiede se tornerà numero uno, farà il grande slam e tante altre mirabolanti peripezie da invincibile. Distorsione o normalmente indotto misticismo simile a quell’idolatria per cui l’eroe rimane sempre giovane ed immortale. Materia per strizzacervelli bravi, imprestati alla farcitura di tartine al tonno. Dati e risultati alla mano scevri da qualsivoglia sofismo filosofico sulla questione, il grande sconfitto nell’uggiosa Parigi dell’ultima settimana, rimane lui. Lo slam manca da due anni, la finale da quattro tornei consecutivi. Perde ancora in semifinale, in modo ancor più increscioso, contro un Djokovic abbordabile. Senza nemmeno quell’abbrivio che smuoveva l’animo dell’esteta che, pur negandola, anela una morte almeno tormentosa.
Ferrer: 4+ (a scuola lo davano a chi s’impegnava assai, malgrado i limiti). Fantastica semifinale condita da solenne bastonatura a Murray. Malgrado noi, malgrado tutto. Quando vedi un arrembante agonista che si sbatte, tutto corsa, coraggio ed ardimento, e sai già che quel match lo potrà vincere solo se un fulmine seccherà di netto l’avversario, la mestizia più avvilente ti assale. Oltre all’inutilità, l’antiesteticità estremizzante, la morte forse. E qui mi fermo, perché lo stimo e ammiro. Se capita di non vederlo.
Jo Tsonga: 7-. Infiamma l’ infreddolito pubblico dello “Chatrier” con prestazioni avvincenti. Sempre a metà tra l’impavida impresa ed il romantico suicidio, il fragile gigante d’assalto. Tra il divellere terra ed avversario, e l’irridente carezza. Il poderoso bisonte che volteggia tra conche d’alabastro come una ballerina. Quattro volte ad un punto dalla vittoria su Djokovic. Ma è lì che si disvela il tormento più malvagio di questo sport bastardo, cinico e con risvolti psicologici che avrebbero mandato al manicomio Freud con uno scolapasta in testa, ridotto a voler suonare una candela. Perde ma senza potersi imputare grosse colpe. Forse solo su uno dei quattro match point: un passante di rovescio dopo una gran corsa, con la palla che sia alza un filo più del dovuto, e la pallina come per sortilegio va a calamitarsi sulla racchetta dell’orrendo avversario appostato a rete come una salamandra. E’ così. Anche quando sembra tu non ne abbia, c’è la primigenia, implacabile, colpa d'essere meno onnivoro dell’altro. L’immagine più bella e vera, nella grande tristezza, è quella del suo faccione affranto alla fine del match di fronte alle inutili domande a caldo dell’intervistatore. Poi guardi la terrificante sagoma trasfigurata di Djokovic che invece sta giubilando, sereno come Giovanni Lindo Ferretti che ha scoperto la misericordiosa benevolenza pontificia, e pensi al lato oscuro.
Misha Youzhny: Dal 3 all’8,5. Perde da Ferrer, e vorrei vedere. Se lo scopetta come bellissimo vaso di porcellana rotto. Ma al russo resta la trovata naif del torneo. Perso il primo set disegna un “sorry” sull’argilla, come a scusarsi d’esser fatto così. Postumo poeta minimalista o serial killer mancato, fate vobis.
Fabio Fognini 5. Ok, la contagiosa simpatia questo se la porta da casa. A tratti lo vorresti rinchiuso in una stanza con Berlocq, Koellerer, Nando Gonzalez e Tofting (Chi se lo ricorda Stig Tofting?). E in faccia a quegli esemplari vederlo elargire le stesse faccette e risolini conturbanti. Solo per capire se in situazioni estreme, al nostro “McSafin”, il sangue al cervello arrivi realmente. Alla fine però gioca quasi come in un’esibizione, contro Tsonga. Impegnato in merletti e ghirigori con un’avversario che in quell’arte lo sovrasta. E allora capisci che sorriderebbe in faccia anche a Tofting.
Richard Gasquet: 6= (“Potrebbe fare di più suo figlio. Ma fuma, forse? Beve?”. Il prof di Storia e Filosofia a mia madre.). Arriva alla seconda settimana e per un set e mezzo ridicolizza anche Murray. Bel torneo, per carità. Dove gli ottavi di finale ed il numero quindici della classifica sono divenuti triste normalità scontata. Banale, per uno che ci aveva abituati a sconfitte di rutilante sceneggiatura psico-comic-noir d’antologia. Ora manca il brio, quel brivido dell’imprevedibile. Sul risultato? No, su come perderà.
Andy Murray: 2,5. Tennistica-ameba stretta nella tenaglia dei più forti sul veloce. Ed anche dei Ferrer, su terra.
Tommy Haas: 7. L’eroe vero, se possibile rinvenirne uno in questo torneo. Una di quelle vicende di quasi contorno, che affascinano l’animo dello sminchiato ricercatore di perle e che sempre vorrebbe eroismi, tecnicismi ed onanismi gratuiti. 34 anni e con alle spalle più infortuni dei polpi fritti dalla Minetti, ma sempre tornato a livelli impensabili. Forza di volontà, amore per questo sport e classe che si mescolano in un sol uomo. Batte nettamente Volandri e Stakhovsky in magnifico slancio. Lotta per due set alla pari con Gasquet e cede con una doppia bicicletta da uomo vero, gli ultimi due. Perché uscire di scena sul centrale di Parigi con un ritiro, non sembrava bello. Leggendaria rimane la scena vista sul campo numero 6, con un vecchietto stile Giacomo di “Aldo, Giovanni e Giacomo” che tutto tremolante ed in corsa, scende fino dietro la sua seggiola gridandogli “Hop Tommy, Hop”. Lui lo guarda, fa la faccia a metà tra il duro e il divertito, ed annuisce.
Andreas Seppi: 5. (media tra la noia soporifera ed il risultato sopra le righe) Aleggiava una sinistra aria di apocalisse calma al Roland Garros, con lo “Chatrier” sul punto di sgretolarsi in caso di suo successo su Djokovic. L’allegro funambolo simile a mozzarellina di bufala filante, è ormai tennista da top 25. Capace addirittura d’impensierire qualche top in giornata no. E’ bastato lavorare sul servizio e la tenuta, ed anche di testa è diventato più sicuro. Tutto il resto è noia. Biblica. Letale. Mortale. Una cosa alla volta, però.
David Goffin: 6. Sarà il clima, ma in Belgio difficile vedere un tennista tecnicamente repellente. Questo tipetto con la faccia da impunito dodicenne simile a Michael J. Fox e il fisico rachitico da adolescente non sviluppato, ha però un buon braccio. Sfrutta il ripescaggio fortunoso, vince tre match e fa tribolare il suo idolo Federer. Mica poco.
Nicolas Mahut: 6,5. Fantastico e un po’ fuori dal tempo vedere il servizio e volée al terzo turno dello slam su terra. Lui che alla soglia dei trenta, non c’era mai riuscito. E strappa anche un set a Federer contro cui da junior vinceva anche. Servizi, attacchi in back e tuffi a rete manco l’argilla fosse ricoperta da soffici piume d’oca.
Nicolas Almagro: 5 (un punto in meno per quella faccia lì). A conti fatti, e malgrado non gli abbia strappato un set, l’unico ad aver allenato seriamente Nadal. Persino con una qualche convinzione di vincere un set, tra un lamento e l’altro.
Arnaud Clement: 6 (perché è l'ultima volta che lo cito, forse). Saluta Parigi con due rusticane battaglie. Una vinta e l’altra persa. Chiude la carriera parigina in modo più che dignitoso.
Paul Henri Mathieu: 6. Altro miracolato della mutua. Oltre un anno di stop, dopo una carriera costellata anche da mirabili sconfitte acrobatiche. Protagonista del match più avvincente del torneo, in cui disinnesca dopo sei ore le bombe di Isner.





Donne


Masha Sharapova: 10 (per avermi salvato le pudenda). Grande ostinazione nel voler ritornare al vertice, dopo anni di scoppole e terrificanti cadute che avrebbero scoraggiato in molte. I suoi match sono lente, violente e laceranti vie crucis cantate da cicale nel frinente acme di luglio. Picchiando follemente da ferma ed alla cieca, riesce a primeggiare in un panorama della Wta ormai da anni soggetto a sismi e scossoni di ogni genere.
Sara Errani: 6 (media: 9 all’abnegazione, 9 allo straordinario risultato, 0 all’estetica). Grottesche ed insopportabili retoriche enfatico-nazionaliste da Istituto Luce a parte, la storia più interessante di questo Roland Garros è la sua. Col culto del lavoro è lentamente arrivata dove nessuno credeva possibile, riuscendo a superare limiti tennistici notevoli. Una finale raggiunta grazie a tigna ed una congiunzione astrale di eventi difficilmente ripetibile, lontani dal 2012. Favorita anche dalla falcidie di potenziali favorite, eliminatesi da sole con una scure. Il resto però la fa lei, battendo le prime due top ten della sua carriera, con un tennis più pensato ed arrotato, che a tratti suscita peristalsi scrotale. Diverso rispetto a quello che regna nel moderno tennis femminile. La mimica, i colpi agricoli e la colonna sonora creano un mix di scotennamento estetico senza eguali, ma a volte può bastare. Senza farne una sacerdotessa del tennis, ma ammirevolissima top ten (da non ammirare, sarebbe il top).
Samantha Stosur: 6-. L’animo di un fringuelletto spaurito nel fisico di una muscolata marcantonia dai colpi poderosi, il cui solo rumore rimanda ad un senso di pienezza svuotata (è insensato? può darsi). Paradossale elegia del suicidio la sua semifinale con Sara Errani.
Sveta Kuznetsova: 4,5. Si presenta a Parigi ben tirata a lucido, sputando tabacco e con la barba curata grazie all’utilizzo di lamette bic mono-lama per uomini veri. Una mina vagante per il torneo, malgrado due anni di tremebonde altalene e sconfitte degne di un Gasquet maschio. Batte Radwanska e si copre di ridicolo contro Errani. Per dire il livello da luna park di cui questa russa è vittima. L’urlo da uomo di Neanderthal sul dritto anomalo, è qualcosa che non dimentichi facilmente.
Victoria Azarenka: 3. Non pervenuta. Nel tripudio generale, volano tappi di Dom Perignon.
Serena Williams: 5. Anche quando sembra mettersi di buzzo buono dedicando un par di mesi al tennis, paga il mentale svago e qualche acciacco. Merita però rispetto, perché dona sempre la sensazione d’essere ancora una spanna sopra le altre. Senza dimenticare che, dopo un aneurisma e con una bacheca infinita, è sempre ammirevole chi torna.
Petra Kvitova: 5,5. Per quanto possano ormai contare specializzazioni e superfici, non è a suo agio sulla terra, la ceca Petronia. Mezza ciancicata e con la schiena di gigantessa sempre in disarmo, s’arrampica in semifinale. Niente può contro l’urlatrice compulsiva.
Virginie Razzano: 6. “La storia” intrisa di antichi eroismi, la regala questa esperta francese col naso che farebbe impallidire anche Pippo Franco, ed una commovente storia alle spalle. Trova la giornata d’esaltazione e batte una Serena Williams svagata, controllandone l’incredibile rientro a suon di striscianti rantoli.
Angelique Kerber: 6 (solo perché è da studiare). M’incuriosisce assai questo misterioso essere congegnato da chissà quale scienziato d’origine prussiana. Non si capisce se è un rinoceronte incrociato ad un imprecisato cetaceo, un trattore o un carrarmato del ‘41. Di sicuro è una “cosa” differente. Finisce per arrendersi mestamente a Sara Errani, vittima della lapalissiana banalità di certo tennis. Furioso forcing che non può far male all’arrotato muro dell’italiana, e corse di difesa ossessionanti (da vietare ai facilmente impressionabili) che non servono a nulla perché la nostra si guarda bene dallo spingere. Fosse matta, Sarita. Ed allora finisce in trappola, annegata nel Mar dei Sargassi.
Kaia Kanepi: 7 (alle barrette slim fast). Smagrita e smunta, non sembra più lei. Quasi una pin up butterata, è diventata la vezzosissima Kaia. Di conseguenza, ora deambula in modo vagamente più umanoide. Batte Carolina Wozniacki (2,5, una prece a lei) e stampa un bel quarto. Niente può contro Masha, ma la gara di bellezza, l'ha stravinta. Non ci credete? Eccovela.
Agnieska Radwanska: 3,5. Murray in gonnella, ormai conclamata. Con un bel doppio mento. Kuznetsova la divelle, passandoci sopra con la trebbiatrice.
Petra Martic: 6,5. Lieta novella del torneo. Passa sull’estremizzante Marion Bartoli (-2) intenta nei suoi rituali di raccapricciante tennis tribale, con la serenità d’animo dell’esorcista. Prova il secondo rituale mistico contro lo “strumtruppen” Kerber, ma sarebbe troppo. Rimangono gli ottavi, ed un bel tennis ordinato, classico e svolazzante, che non disdegna le palle corte e non considera le volée un marchio di ignominia. Ecco, se proprio una salvezza al tennis femminile “spatapummete” deve esserci, agli arrotamenti difensivi preferisco lei, una MJMS, una Vinci, Oprandi o Cetkovska. Pure la butterata Barthel, via.
Francesca schiavone: 5. A leggere il trionfo della solenne prosopopea obnubilata dal tifo attorno ad Errani, quasi vien da rimpiangere le due finali di Schiavone. E' nota la questione dello "stare meglio quando si stava peggio". Quasi, ho detto. Perde dopo tre ore di battaglia contro il mancino martello americano Lepchenko. Si sente, in giro, la pietosa bugia bianca secondo cui quando il match si allunga la nostra diventa sempre favorita, perché fisicamente preparatissima. Ma tra una 32enne preparatissima ed una 20enne mediamente preparata e con buona roncola, spesso vince quest’ultima.
Flavia Pennetta: 5,5. Dev’esserci del sano scoramento nella brindisina e voglia d’esser lei la prossima, in questo festival di grandi risultati dell’Italtennis rosa. L’erba (dove l’anno scorso mi piacque parecchio contro il primate transalpino Marion) e poi il cemento, salute permettendo, ci diranno qualcosa.
Maria José Martinez Sanchez: 7,5. Ultima ma non ultima, anzi. Svetta nella mia classifica personale. Regala qualche merlettato istante di gaudio intimista, ridicolizzando lo smunto martello spiritato Safarova. Via di volée, riccioletti, palombelle e smorzate contro ogni legge fisica. Le cose esteticamente più belle nel tabellone femminile, le offrono lei e Martic. Stroncata poi, dal tappo virulento Cibulkova.

7 commenti:

  1. pagelle che condivido. La "peristalsi scrotale" è da copyright. ciao!!

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    1. Avevo dimenticato una delle protagoniste somme (KAIA), e mi flagellerei per questo. Appena rimediato, annessa foto esemplificativa che ci farà pranzare con letizia. :)
      Ciao Bruno, a presto.

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  2. Bella fatica letteraria, queste pagelle.
    La prima, direi devastante, tocca proprio a buon Philipp Petzschner ! Saprebbe anche giocare il ragazzo, ma chi sa quale oscuro desiderio lo spinge a rendersi ridicolo, e non solo per i calzettoni.
    A proposito di Rafael Nadal e Novak Djokovic, per un gran pubblico i supermen del tennis: tempo fà ho rotto le scatole con il mio entusiasmo per il tennis del “mio” Roger a un amico psichiatra/neurochirurgo, il quale si occupa con passione di medicina sportiva. E lui, quasi grato per l’inaspettata occasione di potermi far parte delle sue conoscenze, spiegò, tra l’altro, che nel mondo ci sono degli sportivi d'eccezione, sono pochi, che hanno un dono particolare. E citava Maradona, Federer.... Il dono, in breve, consiste nel collegamento perfetto tra i sistemi neurologico e muscolare. Questi sportivi fanno con naturalezza quello che altri atleti sono costretti a sperimentare per mesi con allenamenti e sforzi duri.
    Un paragone del mondo dello sci alpino: Roland Collombin, geniale discesista ma per niente incline alla disciplina, anzi sregolatissimo menefreghista e Gustavo Thöni, sciatore giudicato piuttosto mediocre, il quale però grazie alla sua incondizionata disciplina riuscì ad essere un vincitore. (Raccontato dal Cav. Lazzarotto che negli anni 60/70, credo, era il commissario tecnico della squadra italiana di sci alpino. Un vecchietto in gran forma che frequentava le piste dell’Engadina e la sapeva lunga sugli sportivi di competizione.)

    Concludo dicendo che le discussioni con l’amico medico sul mondo degli sportivi di alta competizione sono illuminanti e mi lasciano spesso perlomeno perplessa.

    Non ho voglia di esprimermi sui punteggi per il tennis femminile. Dico soltanto che molte di loro farebbero meglio stare a casa e fare la calza. Ma forse non sanno fare nemmeno questo. Concordo comunque sulle giocatrici Date Krumm (un delizioso instancabile trattorino) e Martinez Sanchez.

    Un felice fine settimana e un cordiale saluto da Anna Marie.

    P.S. Perché i giocatori, soprattutto quelli vorrei-ma-non-riesco per intenderci, insistono a mangiare la banana (come le scimmiette) ? Ma cosa si aspettano da un morso di banana ? A parte che è una roba indigesta. Verdasco (non c'è la sua pagella) ha provato anche con la mela. Ma neanche quella gli è stata di grande aiuto.

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    1. Ciao Anne Marie,
      sì, 'na scarpinata che non ti dico. Appena meno dispendiosa del cuocermi il petto di pollo sulla piastra.
      Sul discorso della naturalezza e dono tennistico, ci siamo. E' evidente come questo tra i tennisti di vertice lo possegga Federer.
      E' come chi scrive sei pagine facendo nessuna fatica, di getto e senza dover consultare niente e chi impiega sei giorni agevolato da laboriose ricerche. Alla fine il risultato è quasi lo stesso. Ma la naturalezza o il talento, lo possiede sempre il primo.
      Cosi' credo che i vari Djokovic e Nadal siano chiaramente un gradino sotto (ma metticene pure tre) allo svizzero, però riescono a bilanciare mettendo sul campo dell'altro: fisicità, corsa, resistenza, tennis muscolare. Il tutto con l'ausilio (secondo me) di palline e campi che assottigliano sempre di più la forbice tra chi è stato baciato dalla dea del talento ed i grandi lavoratori.
      Cio' che è avvenuto oggi ad Halle, ed in genere il modo di giocare da quelle parti, ne è la prova.
      Ciao, a presto.

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  3. Intanto ammirare il Kohli che prende a mal- (o per meglio dir "sublim-")-rovesci Nadal ad Halle é di gran godimento.
    Tanto quanto la sua faccia a fine partita. Come se avesse appena battuto il numero 1025 al mondo. Mito.

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    1. Sì, il "Kohli" è un tennista meravigliosamente surreale. Vedrò la differita, GUSTANDOMELA tutta. E se mi sconfinfera scrivo due righe.
      Ciao, a presto.

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  4. E se Haas fa anche l'altro miracolo, chiedo la cittadinanza ad Halle. Dove dovrebbero fare anche dell'ottima birra.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.