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domenica 9 giugno 2013

ROLAND GARROS 2013 – Super Serena Williams. Disdicevoli pagelle di un osservatore distratto





Giornata quattordici – Dalla sala parto d’emergenza, nella selvaggia Savana


Serena Williams 8. La sua rinascita possiede qualcosa di mistico. Quasi una parabola di “Sani Gesualdi” o filosofica, al limite trama di un filmetto plastificato di Hollywood. A 32 anni scopre l’amore (del sempre più emaciato e provato Mouratoglou), la voglia di allenarsi e primeggiare nel tennis. Attività per anni considerata uno dei tanti business, cui dedicare ritagli di tempo tra la pubblicità dei bubble gum al lampone e il lancio di un maculato perizoma per taglie forti. Non male farlo per tempo, perché il mondo è pieno di atleti che, una volta appesa la racchetta al chiodo, si ripetono, con animo fatalista: “Se solo mi fossi allenato, se solo…”, e qualcuno si getta dai ponti. Ci si domanda solo, vedendola ultratrentenne tirata a lucido, ben allenata e quasi imbattibile, cosa sarebbe stata questa forza della natura negli anni della gioventù. Trema solo con Kuznetsova, poi accetta di buon grado la battaglia di forza e stronca l’ossessiva urlatrice siberiana in finale. Dal “Se Serena vuole è la più forte” al “Serena è la più forte, perché lo vuole”, il passo è breve.
Maria Sharapova 7. Si arriva a rimpiangere, con animo nostalgico, quell’infido e romantico ponentino romano. E l’arietta frizzante, ma non meno infingarda, nelle sue umide e ancora fredde serate di maggio. In altre parole, quelle che avevano messo k.o. Maria Sharapova, provocandole costipazione, febbre e (salvifica) raucedine, portandola a giocare forse il suo miglior match: quello (non disputato) con Errani. E’ tornata al suo massimo dopo l’infortunio alla spalla, spartiacque della sua rumorosa carriera. Ci prova pure, in finale, di forza. L’altra accetta di buon grado, e con piglio orgoglioso, perché in quell’arte (di altre che pur ne ha) le è superiore. La siberiana avrebbe dovuto provare a variare gioco (cosa?), attaccare o giocare di volo (quando? Basta bestemmie…), invece, in quella battaglia forzuta su un campo che pare trasformato in sala parto d’emergenza nella Savana, non può che soccombere.
Sara Errani 7. (1,5 al post finale di doppio). La perenne lotta tra il leone e lo scoiattolo. Lo scoiattolo può vincere la battaglia, se il leone dorme o se ne va. Purtroppo, Serena contro la nostra eroina non dorme, men che meno ha intenzione di andarsene. Buonissimo torneo, e conferma d’essere (specie su terra battuta) la numero quattro al mondo. Per costanza e regolarità. Le prime sono di altro pianeta. Quasi altro sport. Il suo tennis arrotato, inoffensivo, senza nessun colpo con cui prendere l’iniziativa (in primis il servizio, in secundis la risposta), sono l’ideale per l’aggressione di Serena. Persino in sicurezza, come in un allenamento con macchina sparapalline (modalità soft). Non rimane che aspettare che il leone se ne vada. Stremata da quel game strappato a Serena, è anello debole del doppio matrimoniale, sconfitto in finale. La faccia infantile bimba offesa che nemmeno parla al microfono dopo la premiazione, rimane forse più imbarazzante di quel 6-0 6-1.
Victoria Azarenka 2,5. Se questa è una donna, viene da chiedersi. Perde da Sharapova. Ecco, se un merito tocca dare a simile Linda Blair tennistica sempre più truce e inquartata, insostenibile e volgare quanto uno scaricatore di porto bielorusso ubriaco di vino in un bar malfamato nel porto di Minsk, è quello di rendere (quasi) tollerabile il tennis e le urla della russa.
Agnieszka Radwanska 4-. Ah, Agnese, dolce Agnese. La sottiletta polacca (colpevole quella tintura bionda del crine stile lucciola dell’est sulla Palmiro Togliatti, o Cristoforo Colombo) si lascia ingarbugliare dalla maggiore “arte” e pazienza terricola di Errani. Mette in difficoltà le feroci picchiatrici (anche le prime tre) e cade, come sgomenta, contro la formichina italiana (che quelle prime tre non riesce proprio a contrastarle, nemmeno in sogno). Un altro, logico, paradosso di questa Wta.
Svetlana Kuznetsova 6,5. Femminile quanto un fuochista armeno coi baffi da sparviero, ritorna a livelli (fisici e mentali, i colpi li ha sempre avuti) d’eccellenza. Se non quelli di quattro anni fa, qualcosa di simile. Vestita come una hippie ed esalando urla da cinghiale “che esce di foresta” diceva Boskov, spaventa anche Serena.
Jelena Jankovic 5-. Trotta e nitrisce di buona lena (assai notevoli i tempi della sorella di Varenne sul miglio sterrato). Perde solo da Masha nei quarti, dopo aver vinto 6-0 il primo set, giocando il suo miglio tennis: trottare rimandando tutto dall’altra parte e aspettare che l’altra s'ammazzi. Quando quella pone fine ai propositi suicidari, niente da fare. I suoi pavidi rinculi e volée colpite con urletto terrorizzante manco la pallina fosse una mortale biglia di fuoco, rimangono una delle immagini più vivide (e comiche) del torneo.
Francesca Schiavone 6+. Sarà perché ha ormai gli anni di Gesù in croce, di cui sembrava considerarsi figlia legittima, ma sembra finalmente rilassata. Parigi, con la sua magica atmosfera, fa il miracolo. Senza più il dovere di dimostrarsi la più forte del mondo, per colpa, merito o condanna di quella magnifica cavalcata del 2010, si mostra rilassata. Come se si dovesse chiudere un cerchio. Vince tre partite giocando bel tennis, persino quei cavernicoli “ah-uiiiih” da ernia fulminante, appaiono tollerabili. S’issa agli ottavi, arrendendosi solo alla bruta forza indemoniata di Victoria Azarenka.
Ana Ivanovic 5 (di umana pena). Nel guardarla ormai smagrita, smarrita, titubante, maldestra nella coordinazione, incerta nel lanciarsi la pallina, viene da domandarsi quali problemi abbia. E come sia riuscito simile “affare” che disarticola gambe e braccia a vincere su quei campi. Mica nel 1969, ma nel 2008. Spettacolo pietoso. Agnese ne fa emergere tutte le lacune. Poi la vedi alzare la gambetta, gridare “ajde” e subito dopo ridere in modo insensato. Leggi il tabellone che dice 6-1 4-0 40-15 per l’altra, e continui a non capire.
Marion Bartoli 4,5. (di estatica ammirazione masochista). La Parigi piovosa, umida e plumbea, dei primi giorni del Roland Garros, sembra uno splendido quadro malinconico. Manca però una protagonista, una specie di Gioconda versione trucido-surreal-comica: Marion Bartoli. Imbacuccata, con leggins che ne fanno oscenamente risaltare le generose curve, procede in quel grigiore umido parigino come una diva dell’orrore. Solito spettacolo, condito da danze tribali e pizzicate, movenze maniacalmente folli, racchetta agitata come scacciamosche. Pure inquartato (avrà preso almeno 15 chili), il grottesco buzzurro d’oltralpe cede in modo pietoso a Francesca Schiavone.
Roberta Vinci 6+. Per la prima volta arriva alla seconda settimana del Roland Garros. A conferma del salto di qualità compiuto nell’ultimo anno. Niente può contro Serena, cui però si oppone con gran dignità, colpi deliziosi e tennis d’altri tempi. Insomma, anche contro l’uragano si riesce, se non a vincere, a giocare. 


2 commenti:

  1. Caro Picasso, "dalla sala parto d’emergenza, nella selvaggia Savana", e hai detto tutto. Mi ha di nuovo stupito la Serena. Con la sua apparente calma serafica ha ricuperato il 0:3 nel primo set che Maria Sharapova già credeva suo. L'amore (Mouratoglou) può fare anche questo, a quanto pare. Comunque la vittoria è meritata.
    Eh si, mi sta proprio simpatica l'americana che a Parigi si esprime in un francese tutto suo, ma molto divertente.

    Ciao Picasso, grazie per le pagelle delle femmine e buona giornata
    Anna Marie

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    1. Insomma, calma è un eufemismo. Oltre al resto, è tennisiticamente di altro pianeta, rispetto alle due che la seguono. Non ne parliamo rispetto alle altre.
      Si allena a Parigi, quindi un po' di francese normale lo sappia. Ben più approssimativo l'italiano parlato dopo la vittoria a Roma. Ciao Anna Marie

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.