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giovedì 7 settembre 2017

LA VARRA E LA GARRA: ELOGIO DI JUAN MARTIN DEL POTRO



Solo una cosa avrebbe potuto salvare questo Us Open 2017 monco e azzoppato all'altra gamba dal simpatico Murray, da una deriva cloroformica: l'ennesimo kolossal tra Federer e Nadal (sebbene di semifinale) ancora inedito a New York o lo sbocciare di un giovanotto della nuova generazione. Nulla di più sbagliato. Dal torpore ci salva il gigante compassato, Juan Martin Delpotro.
Due, osservandolo in questa seconda vita sportiva, sono le prime parole che mi vengono in mente: "sofferenza" e "orgoglio", ancora prima di "violenza", già lampante nella prima vita. Varra e garra, martellate e carattere d'acciao inossidabile. Quattro operazioni, anni interi tra infermeria, rieducazione, tentativi falliti di rientri, altri stop in clinica, ritorno a mezzo servizio. Chiunque si sarebbe arreso, con il paracadute di un buon conto in banca e ricordi da tramandare ai nipotini. Non lui, che con orgoglio (per l'appunto) e amore per questo sport inversamente proporzionale rispetto a quello dei Kyrgios, ha insistito. Davvero una sofferenza indicibile per chi guarda in panciolle sul sofà, figurarsi per lui. Lui che a 21 anni (ora quell'età è buona per assaltare il Master NextGen al massimo) vinse proprio a Flushing Meadows spaccando il cemento e mandando al tappeto Federer, ha dovuto reinventarsi. Cambiare gioco, strategie, usare il rovescio quasi esclusivamente in agricolo slice come un Petzschner senza averne l'aria. La sua, di aria, è sempre quella del gaucho triste, afflitto da mille mali, dall'incedere lento. Agonista autentico come pochi però, quando serve esaltarsi ed esaltare patrioti o yankee che siano. In barba ai nuovi pupazzi agonisti di cartone, sempre più imperversanti, dal pugnetto incorporato.
Qualche sprazzo, sconfitte che bruciano quel ricordo. Quest'anno perde anche da Gastao Elias a Lione, per dire. Un normale top 30 che normale non è. Infatti, quando è stimolato dall'ambiente o dal prestogio di un evento, in soccorso all'atleta ormai a mezzo servizio arriva il famigerato orgoglio corroborato da attributi in titanio: exploit alle Olimpiadi o battaglie epiche in camiceta albiceleste conducendo l'Argentina al trionfo.
Il resto è storia recentissima. Rianima un torneo morente con imprese che rimandano ad eroismi antichi. Sfatto dall'influenza (perché un malanno dev'esserci per forza, manco fosse la reicarnazione di Geremia Lettiga) è sul punto di ritirarsi con Thiem prima della straordinaria rimonta. Ovvio, il Fantozzi austriaco ci mette del suo, ma varra e vanga del pistolero di Tandil sono ancora una volta da applausi.
Nella nottata poi, si prende la semifinale con altra prestazione sontuosa, buona per abbattere un Federer sfarfallante. Rispetto a otto anni fa, sembra un altro match. Delpo gioca senza rovescio, Federer serve and volley o sui due scambi.
I tanti meriti del Lazzaro argentino non  vengono meno sottolineando la giornata incerta  di Sua Divinità Celeste. Migliorato rispetto ai due match di esordio, ma lontanissimo rispetto alla versione deluxe 2017. Tatticamente suicida, offre il petto santo ai dritti dell'argentino che per poco non lo decapitano (Sua Maestà decapitato dal gentile boia gigante), e canna quattro set point che lo avrebbero portato avanti due set a uno. Forse parleremmo di una storia diversa, ma evviva Del Potro. Che Iddio ce lo conservi, anche backato.
Ora per lui c'è Nadal che ha triturato un Rublev col veloce braccio atrofizzato dall'emozione. Missione impossibile per Delpo abbattere il toro di Manacor, ma cosa vuoi che sia per chi ha superato un infortunio che avrebbe abbattuto una mandria di tori (di Manacor e non solo).

Due parole di numero per il tabellone femminile allineatosi alle semifinali: Stephens-Venus e Vandeweghe-Keys. Tripudio a stelle e strisce. Oltre all'intramontabile Venus, altre tre arrembanti giovani made in Usa. Vengono alla mente i confronti di FedCup Italia-Usa. Dream team italiano che faceva sempre un sol boccone di queste derelitte collegiali diciottenni, sbeffeggiate quasi dai nostri impettiti cantori. Ora il Dream Team non c'è più, ma le scolarette, forti anche di quelle esperienze, si giocano gli Slam tra di loro. E altre si sono perse per strada solo a causa di infortuni. Quel pazzo diceva che un politico pensa alle prossime elezioni, mentre uno statista alle future generazioni. Sarà che nel tennis ci mancano gli statisti.



2 commenti:

  1. Caro Picasso mi sa che Delpo sarà però spazzato via da Rafito ,francamente non vedo come possa farcela,ti immagini una finale tra il de Mancacor e Carreno?non credo che il secondo faccia più di 8/9games ma anche Andersson che chance avrebbe? Tra le donne fremo per Venus sai che credo che l'insidia Sloane in semi sia la più dura?in una finale ipotetica sia Coco che Keys la soffriranno per personalità (almeno spero),vediamo,
    Ti abbraccio caramente e faccio gli scongiuri che uragano Irma non spazzi via Cuba e la mia prossima vacanza,sai che in passato correva voce che Fidel fosse un potentissimo santero e grazie alla sua potenza faceva sì che tutti gli uragani che distruggevano i Caraibi scansassero la Isla Grande?mah...speriamo...magari da lassù nel paradiso o inferno dei rivoluzionari aiuta Cuba e magari pure Delpo (che credo gli sarebbe piaciuto come personaggio )contro la furia di Rafito.....p.s.:ti ricordi qualche anno fa come lo soprannominasti ?Monacello di Mancor ...ancora lo ricordo.....
    Ti abbraccio caramente ed adoro il fatto che hai ripreso a scrivere con costanza
    Stefano

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    1. Infatti, 3-0 secco. Già scritto. Però di cose già scritte ne ho viste tante.
      Nadal-Carreno sarebbe da crimine contro l'umanità. E non è che Anderson migliorerebbe le cose.
      Peccato per Venus, ma finale fresca, interessante. Con buona pace di numeri uno di latta, Pliskova, Kerber, Halep, Muguruze e urlanti sparse.
      Non sono aggiornato sugli uragani, ma spero bene.
      Grazie mille, ciao e a presto

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.