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mercoledì 27 dicembre 2017

BORG-MCENROE, RECENSIONE SENZA AVER VISTO IL FILM

Ho provato invano a non ricadere nella (immotivata) eccitazione di pseudo esperti tennistico-cinofili (più che cinefili), ma alla fine ho ceduto alla recensione del film Borg-McEnroe. Ho però deciso di farlo senza aver visto il film. Bene inteso che poi la suddetta pellicola l'ho vista, ma le impressioni sono state clamorosamente rispettate. Niente di nuovo, nulla di sconvolgente. Se non mera curiosità o la voglia di passare un pomeriggio al cinema alternativo alla solita, voluttuosa, masturbazione guardando un porno vintage coreano-americano (con Kim dotatissimo protagonista e Trump esperto di bdsm in mutanda di latex e pene borchiato).

Bene, "Borg-McEnroe" porta in se tutti i crismi dell'inutilità cinematografica: i film sullo sport, sul tennis a maggior ragione, tendono a far cadere le palle più di un talk politico gentista su La7. La storia è già nota, sai già come va a finire, manca il pathos, la tragedia, l'imprevedibile coupe de theatre. Oltre alla difficoltà di far risultare credibile la trasposizione di un evento sportivo.
Ovvio che per renderlo degno di nota (e pure ce ne sono, due o tre) occorra puntare ad altro. Qui ci hanno provato, in modo abbastanza stucchevole, incentrando completamente la trama attorno alla mitologica figura di Bjorn Borg. Al punto che suona ingannevole anche il titolo "Borg-McEnroe". Più appropriato sarebbe stato "Bjorn il Grande - l'orso verso la leggenda". È una specie di santone indiano dal volto di Gesù di Nazareth zeffirelliano, di fronte alla mistica vittoria del quinto Wimbledon. L'Orso mette tutto in secondo piano, amore, amicizia, vita privata, pur di completare la Missione Divina. Suprema. Sovrannaturale. Mistica. John McEnroe è la quasi caricaturale comparsa. Fastidiosa e detestabile macchietta che si frappone fortuitamente tra l'adone svedese e la Storia. Supermac (o stronzo Mac) è borioso ominide dalle spalle scoscese, fisico rachitico e volto a metà tra Ben Stiller e un subumano grillino a caso. Ma non era un riccioluto, lentigginoso, amercano-irlandese? Sarà.
Ogni cosa va al contrario di quello che è stato. Tutto ruota attorno alla divinità svedese che, stringendo la racchetta come un boiscaiolo della Tundra serra l'accetta, manda in sollucchero l'esteta spettatore british. Mentre lo sguaiato bacherozzo yankee nulla può, se non affogare nella bile, scrivere sui muri d'albergo il tabellone, arrovellarsi il cervello, rispondere male alla mamma, dire parolacce ad avversari, pubblico e giornalisti (verrebbe da rincarare la dose, fossero davvero stati così demenziali). Un pezzo di merda che ruba persino la cavigliera all'amico Peter Fleming prima dell'incontro dei quarti. Per puro dispetto, come antesignano di Bart Simpson. Pazienza che non sia vero e imbracci la racchetta come uno stradivari, masturbi palline con tocchi goduriosi quanto beffardi: latrati e salve di fischi per lui dal composto (non meno che competente) pubblico inglese, ai piedi del boscaiolo.

Se John è arrogante giovinetto nevrastenico che salta da una partita a flipper al lettino di uno strizzacervelli, Bjorn invece è un ragioniere compulsivo e ossessionato. Prende la stessa camera ogni anni, stessa auto, stesso autista. Se questi è morto, deve resuscitare e guidare quel fottuto taxi. Altrimenti il fluido magico si disperde, Bjorn minaccia di ritirarsi. Per non parlare del rituale religioso delle corde della Donnay pigiate a piedi nudi, notte tempo, nella stanza d'albergo assieme al fido guru-allenatore. Riti e scaramanzie che Vitas Gerulaitis, schizzato e folle più che mai, tra un drink e l'altro, stretto tra due fan smutandate, racconta a John. Dov'è la "normalità"? In Gerulaitis, risponderà il saggio. Ecco, il personaggio del compianto Vitas è una delle cose migliori di questa trascurabile pellicola. La rivalità raccontata dagli occhi pallati ed equidistanti di un inventato Gerulaitis avrebbe potuto farne un film interessante.

Non mancano flash back e rimandi all'infanzia dei due (va be') protagonisti. Se John è un bimbetto geniale perché sa fare a mente moltiplicazioni complicate (mica per lo straordinario modo di colpire la pallina, darle velenosi effetti che mai si erano visti su un campo da tennis: giammai), ed è viziato figlio di una famiglia ricca, Bjorn è un complicato ragazzo scandinavo di umili origini che inizia a tirare fenomenali colpi a due mani contro il muro di casa. Sconvolgente. Pure Panatta, il sottoscritto, financo Fabio Fognini, avanno iniziato così. Il ragazzo svedese è cacciato dal circolo perché maleducato. Insulta arbitri, sbatte racchette a terra. Anche lui da bambino era un mascalzone. Come Federer, insomma. E anche quel Gesù di Nazareth, in gioventù, era un lazzarone: ancora pischelletto bestemmiava e nascondeva pesci ai pescatori che volevano ammazzarlo a badilate. Bjorn però cresce, matura. Grazie all'occhio lungo del suo allenatore guru Bergelin, a metà tra il maestro Miyagi e Mickey coach di Rocky Balboa. Tra un "metti la cera, togli la cera" e un "devi mangiare saette e cacare fulmini", il saggio maestro riesce a forgiare il giovane Bjorn, facendogli incanalare la rabbia solo sul punto, nello scambio, estraniandosi dal resto. "Occhio - vien da consigliargli - che questo prima o dopo andrà fuori di testa, annegando in un letale mix tra cocaina e Bertè. Fagliela spaccare una racchetta". Mica è come John, che maleducato era e maleducato rimane, fino ai 60 anni. Il bizzoso Superbrath però, come lo stesso Bjorn dice a mezza voce in un suggestivo primo piano, non si distrae con quei siparietti. Anzi, li usa a suo vantaggio. È il suo particolare modo di concentrarsi, diametralmente opposto al suo. E qui ci siamo, per carità. Rare scintille di vero nel nulla. Così come vero è il rispetto e ammirazione che si respira tra i due, malgrado l'odio sportivo. Il resto, spazzatura. Con infarcitura di citazioni sbagliate come la polvere di gesso, lo "you cannot be serious" e la lite con Jimmy Connors, risalenti ad altri incontri, diverse edizioni dei championschips.

Tutto si dipana nell'odiosa scia del bene contro il male. La leggenda del quinto Wimbledon di fila che ossessiona il biondo svedese, intento a ballare come un automa sul filo del rasoio. La disumana macchina perfetta sul punto di incepparsi, frantumata in mille pezzetti. Pensa addirittura di ritirarsi in preda a una crisi di panico, mollare tutto. Imbracciare un fucile e fare una strage sparando nel mucchio, tra la folla che impazzisce per lui sugli spalti mentre ulula e fischia il maleducato yankee come manco il Foro Italico d'annata (quello da cui partono vibranti cori "devi morire" contro il malcapitato avversario di Panatta. Forse lo stesso Borg, tagliuzzato e rifinito in padella dal bell'Adriano in quel glorioso 1976). Parte di queste insicurezze gli derivano da quello sguaiato mancino così diverso da lui, a tratti beffardo. Non pensate di rinvenire dettagli tecnici, in questo orribile film. Nulla o quasi. Forse il pubblico non avrebbe potuto capire. Non c'è traccia del noioso tennis sempre uguale di Borg, dietro la linea. Figurarsi se poteva esserci l'esaltazione verso il gioco d'attacco tutta musica e carezze, tra Beethoven e i Led Zeppelin, di Supermac. Avrebbe coperto la vera essenza acchiappa pubblico: il bene contro il male. E il bene che trionfa in un lieto, con la vittoria di Borg che arraffa la quinta. Mentre Mac mastica bile.
Peccato che nella realtà, le cose siano proseguite in modo diverso. La macchina presto o tardi, è andata fuori giri. Il colosso, tagliuzzato a ripetizione dalle stilettate di McEnroe ha finito per "rimanere dissanguato" come in una delle rare citazioni meritevoli, quella di Arthur Ashe. Che l'anno seguente McEnroe abbia battuto Borg, ponendo fine al suo regno di boscaiolo della tundra. Ma questa è un'altra storia, dove anche i cattivi possono vincere.

2 commenti:

  1. perfetto.
    Io adoravo jimbo e odiavo borg
    ma adesso, 35 e passa anni dopo, con il senno del poi, di molto poi, ammetto che Borg era un grandissimo.
    ma Mac.
    mac era un'altra cosa, come dirbbero i francesi.
    Borg era di una noia mortale.
    Mac era il gioco, la bellezza e l'imprevedibilità allo stato puro.
    Oggi come oggi tiferei Mac tutta la vita.
    allora, da adolescente un pò sfigato ma che fingeva di essere alternativo, tifare jimbo , ossia il terzo incomodo, grande ma non così trendy era probabilmnete la missione della mia vita in quel momento.
    in ogni caso, non so se perchè eravamo solo più giovani e quindi succubi della fottuta nostalgia, ma che bello era quel peiodo con quei tre là, e i lendl e i vilas e i gerulaitis di contorno, se si può dire così...

    buon anno

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    1. Sì, per me troppo, esageratamente, spinto dalla parte di Borg. Ci voleva un punto di vista estraneo ai due. Magari di un Gerulaitis o proprio Connors.
      Ho adorato Jimbo nella fase finale della sua carriera. A quarant'anni (che attualmente varrebbero 47/48), quando dopo i trenta eri finito, capace di imprese epiche. Adrenalina purissima. Combattente senza pari.
      Gente con una personalità tale che gli attuali nemmeno li vede.
      Ciao, buon anno a te

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.