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domenica 8 luglio 2018

GULBIS, DUE CEFFONI AL PREDESTINATO ZVEREV





Sasha Zverev, il ventenne falegname predestinato, ha la solita espressione da altezzoso bambino offeso. L'infantile protervia del ragazzotto teutonico è qualcosa di inenarrabile. Si crede arrivato senza aver mai nemmeno avvicinato i quarti in uno slam, smoccola in tredici lingue. Affronta l'erba come fosse letame e terriccio: sbraccioni, roncole fuori dal campo, movimenti e posizionento da over 100. Lontano dalla riga, senza slice, goffo gioco di volo, laddove si ricordi che è contemplato nel regolamento. Lo guardo impegnato nel suo terzo turno sul campo numero uno e mi dico: se questo è il numero 3 e futuro numero uno, non ci si può sorprendere di Nadal e Federer ancora dominatori delle scene con la gotta e menischi in vetroresina.
Negli slam, università del tennis, Zverev continua la sua orrenda vua crucis.
Lo guarda un po' schifato anche il suo avversario, un trentenne lettone con barbone hipster e occhi da pazzo, che pare appena uscito, alticcio, da un bar malfamato. Ai più distratti, quel maturo numero 138 che risponde al nome di Ernests Gulbis dirà poco o nulla. Pure lui ha tante imperfezioni, tecniche e caratteriali. Di quelli che a 30 anni non puoi più considerare margini di miglioramento, ma limiti quasi definitivi. Ernesto l'eterna promessa incompiuta, il viziato, miliardario snob che gioca a tennis perché sa fare solo quello e si annoierebbe a contare i soldi di papà. Cazzate e leggende metropolitane. Avete mai visto un tennista povero? Un Cassano o un Garrincha della racchetta raccolto dalle favelas perché è un fenomeno? I tennisti diventano tennisti professionisti proprio perché nati ricchi.  Lui è nato miliardario, ma la sostanza non cambia.
La sua storia è nota. Ernesto fuma, beve, viene arrestato in Svezia perché andava a puttane, si lancia in frequenti dichiarazioni filosofico sportive discutibili. Se ne fotte, odia tutti. Non ha peli sulla lingua, non si fa problemi a dire che Djokovic gli sta sul cazzo, che non stima Federer, che Nadal non è certo esempio di fair play. Risultati sportivi però, deludenti. Una top ten appena assaporata, una manciata di vittorie Atp (6, il numero della bestia), qualche scalpo eccellente da under dog di razza.
Ora Ernesto però è un altro. Ha una compagna, una figlia. Cosa lo spinga ancora a giocare a tennis resta un mistero. Non ha mai avuto fame, voglia di soffrire. Solo un grande orgoglio, al limite. Ha supplicato il suo vecchio allenatore Gunther Bresnik a riprenderlo con lui. E quello ha accettato, magari solo per fargli fare il pungiball di Domenico il cafone Thiem. Si è inspiegabilmente rimesso in discussione, tornando a giocare nel polveroso purgatorio dei challengers. Risultati mediocri, stimoli prossimi allo zero e sconfitte sconcertatanti contro avversari modesti. In Sicilia perde in lotta da Giannessi (!), in Francia da Mager. Gente che dovrebbe inzuppare nel cappuccino la mattina.
Da numero 138 gioca le qualificazioni di Wimbledon a Rohampton. Le passa. Turno dopo turno nel tabellone principale riprende fiducia, si salva al quinto contro il locale carneade Clarke, esce indenne da un'altra maratona con Dzhumur, ed eccolo lì, di fonte a Zverev sul campo numero uno.
Per magia riecco le motivazioni. Wimbledon non è Tunisi o Caltanissetta. Gulbis non ha mai avuto ambizioni, ma solo spunti d'isolato orgoglio, si diceva. Si esalta contro quelli forti perché ci tiene a ribadire quello stronzissimo "se solo volessi...".
Guarda il tedeschino e deve stargli parecchio sulle palle, con quel cipiglio da impunito primo della classe, più viziato di lui. In maniera immotivata, tra l'altro. Perché non ha né i suoi soldi, né tanto meno il talento. Le motivazioni del lettone non possono che crescere a dismisura. È l'attempato uomo vissuto che mal sopporta i ragazzini pieni di se. Vorrebbe dargli una sonora lezione. Due ceffoni ben assestati e spedirlo a studiare, mandarlo a letto senza latte e nesquik. Lo avverti. L'incontro si rivela equilibrato, un set per parte. Sasha gioca su erba come fa su terra e cemento. E qui abbina l'inguardabilità all'inefficacia. NemmenoNemmeno è uno specialista, specie con quel drittone agricolo per nulla adatto ai prati. Ma, a differenza del giovin spocchioso che sbraccia e smoccola spiaccicato sui teloni, lui ha il genio dalla sua parte. La scintilla pazza dell'imprevedibiltà. Scende a rete, ricama colpi imprevedibili alternandoli a sassate mortali. Quando va a servire per il terzo set facendosi ribrekkare, sembra ripetersi la storia sempre uguale di una carriera da eterno perdente, vate della temporanea dimostrazione di forza fine a se stessa. Con Nadal avrebbe portato a casa una delle sue consuete belle sconfitte. Ma Sasha non è Rafa. Nemmeno alla lontana. Il lettone resta lì nel quarto e approfittando di una delle amnesie giovanili di Zverev, agguanta il quarto e lo schianta al quinto set: 6-0 e sei ceffoni, magnificamente assestati.
Nell'oceano di noia ormai diventato il tennis degli ultimi anni, ogni tanto una bella storia, dove il genio fatuo dell'attempato talento senza ambizioni impartisce una lezione al futuro dominatore di un tennis robotico, senza emozioni, fatto con lo stampo. Evviva Ernesto.




2 commenti:

  1. Direi the importance of being Ernest.
    E' un piacere rivedere Gulbis di nuovo competitivo, pur nella consapevolezza che si tratterà di una sensazione effimera.
    È autenticamente fuori degli schemi, politically incorrect, talentuoso e pazzo vero, non isterica macchietta come il nostro prode incompiuto Fognini (ah, se solo mettesse la testa a posto, non sarebbe secondo a nessuno...come no).
    Ricordo un suo ottavo di finale a Roma nel 2013. Ero seduto a vedere non ricordo chi sul Pietrangeli, e quasi smisi di seguire la partita per concentrarmi sulla diretta sul telefono, nel momento in cui appresi che i boati provenienti dal centrale stavano a sottolineare le prodezze del lettone: un set e mezzo di bombardamento su un incredulo Nadal per poi arrendersi, immancabilmente, al terzo. In quell'occasione Gulbis dichiarò in sostanza che aveva giocato meglio e che avrebbe meritato la vittoria: che vuoi dirgli a uno così?
    Peccato che ieri abbia ceduto a Nishikori: non ho visto la partita, ma alla lunga deve aver pagato gli sforzi dei turni precedenti e/o la vodka della sera prima.
    Chissà che il confortante risultato di Wimbledon non possa stuzzicarlo in prospettiva cemento.
    Saluti!

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  2. Vista, prevista e goduta. Dico alla signora, poco avvezza allo sport pallina e racchetta: ‘ah guarda questa sarà una bella partita’, e lei ‘ ma chi è sto barbone? L altro è numero 3’ , ‘ ti dico che lo schianta’ e poi parto con la classica aneddotica gulbisiana. ‘ mah, questo è un figlio di papà ‘ e io ‘ vedrai’.
    E infatti emozioni, quelle che non si vedono più da un po’. Almeno una volta posso aver detto di aver ragione, grazie genio pazzo.
    P.s. : è tornato pure robo nole, oramai si può parlare forse di next , ma molto next , gen.
    A presto con le pagelle spero

    Dom

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.