martedì 30 marzo 2010

Master 1000 Miami, Djokovic e Murray - gemelli diversi


Il recente Master 1000 di Miami, ha reso evidente lo stato di crisi di Novak Djokovic ed Andy Murray. Da più parte indicati come i più credibili aspiranti allo scettro mondiale
Diversamente simili. Novak è fiero figlio della Serbia. Immaginate la geniale follia di Kusturica, su musiche gitane di Bregovic. Ecco, Novak non c'entra nulla con quella Serbia. Lui ispira più che altro l'"esorciccio" e le tambureggianti musiche dementi degli Spinal tap. Andy è uno scozzese selvatico, adottato dagli inglesi come possibile salvezza per un movimento tennistico (quasi) più in crisi di quello italiano. Talmente accecati, da soprassedere sui suoi odiati natali. Sebbene condividano un comune destino da designati futuri numeri uno, sul campo i due ragazzi esprimono un tennis diverso, quasi agli antipodi. Il più maturo Novak ha poderosi fondamentali ed ottimo servizio, discreta mobilità caracollante, movimenti costruiti e macchinosi, ma tremendamente pesanti ed efficaci. Tanto basta per diventare il numero tre. Quello che se Nadal e Federer non ci sono, dormicchiano o leccano le ferite, c'è sempre. Fa valere la sua regolarità ed un tennis seducente quanto Malgioglio in guepierre che strizza l'occhietto ammiccante. Sfonda, sovente senza un progetto tattico ben preciso, in una mente che non c'è. Ad un giornalista che gli chiede quale possa essere il suo colpo migliore, volendo ostentare gran simpatia, esibisce un sorrisetto e ribatte: "Non lo so qual è il mio colpo migliore, ditemelo voi.". Quella che voleva essere una battuta, si riveste di una tragica realtà.
Andy ha invece più fluidità di movimenti, colpi più naturali che lascia partire come gradevole brezza di vento indolente ed indisponente. Gran servizio, rovescio bimane col quale può fare tutto, ed una notevole capacità nell'interpretare le partite. Movenze felpate e doti da tattico raffinato, col tempo si trasformatesi in atroce boomerang. Un gattone Mecir anchilosato e sempre più in confusione, spesso versione Jordy Arrese. Andy con quel braccio potrebbe fare tutto, e spesso non fa niente. Novak sa fare poche cose, e sovente sparacchia tutto via con furia. Sta tutta lì la profonda similitudine, nella gran differenza tra i due.
Antipatie naturali e simpatie costruite. E' oramai noto nel circuito come giullare, imitatore, show-man. Quando c'è da fare spettacolo extra, nei party che fanno da contorno ai tornei, Novak la fa da padrone. Rutilanti imitazioni, gag coinvolgenti quanto un intero cd di Giusy Ferrero. Sul campo, il serbo ce la mette tutta per interpretare la parte di simpatico mattatore, mascherando un'antipatia palpabile, che fuoriesce nitidamente sottopelle. Un urlaccio disumano con occhi fuori dalle orbite, ed un risolino di cemento. La mascella serrata e spaventosa da marziale boia medievale, ed un finto tentativo di gag col pubblico. Ed è questo paradossale tentativo di celare il suo essere, a renderlo goffo. Andy è invece un fiero antipatico naturale, non curandosi minimamente di doverlo nascondere a qualcuno. Accigliato, spigoloso, quasi annoiato. Più che bullo o selvaggio, è un giovane baronetto snob. Supponente, viziato ed incurante di ciò che lo circonda. Consapevole all'eccesso delle sue doti
La crisi del 2010. Dopo due anni di promesse disattese, questa poteva essere la stagione dell'esplosione definitiva, per entrambi. Andy gioca un grande Australian Open. Frustrato ed impotente, cede solo al marziano tennis di Roger Federer. E quella finale, valata da lacrime finalmente umane, deve aver minato le sue sicurezze, sgonfiando un ego debordante. Le successive esibizioni sono uno spettacolo di rassegnato lasciarsi trascinare dal destino, senza voler provare nulla. Passa dalla sconfitta di Dubai col "pensatore" Tipsarevic (uno che ieri ha raccolto quattro games con Petzschner, per dire), ai lividi e le ossa ammaccate che gli procura Soderling a Indian Wells, fino all'ultima sconfitta in Florida, opposto a Mardy Fish. Netta e senza appello, contro un tennista simpatico quanto si vuole nella sua surreale e goffa normalità, ma di almeno due categorie inferiore. Si lascia morire con un atteggiamento difensivo e disarmante, che ben fa il paio col tennis espresso sul campo. Quasi infastidito e scocciato. Impolode qualche "c'mon" a pieni polmoni, stridente con la proverbiale espressione angolare ed assente.
Novak Djokovic invece, reagisce con furia iraconda ad un inizio di stagione incostante. Pur inanellando una serie di esibizioni da museo degli orrori, porta a casa la vittoria a Dubai. Sempre strappato, furente e falloso al limite dell'urticante. A indian Wells con la solita incostanza mesciata a crisi di nervi sceniche, riceve una tondeggiante lezioncina dal vecchio pirata Ljubicic. A Miami cede al gradevole carillon Olivier Rochus, raggiungendo il punto più basso di una crisi nera. Uno molto malvagio (non certo io, sia chiaro), sottolineerebbe gli evidenti limiti tecnici di un tennis rudimentale e costruito, abbinato in modo mortifero ad una intelligenza tennistica pari a quella di un fico mandorlato. E quando ci si mette anche la stranchezza, è notte fonda. Novak va in completa rottura prolungata e crisi "sparacchiante", simile a quelle di Ivanovic/Sharapova. La mancanza di umiltà si fonde incresciosamente all'impossibilità tecnica di fare qualcos'altro in modo produttivo. Forse servirebbe solo un po' più di pazienza. Ma provateci voi a farglielo entrare in quella zucca spinosa.
Prospettive future. Gli insuccessi devono aver minato le convinzioni dei due ragazzi, che pagano fin troppo una modestia pari a quella di qualche premier europeo non molto alto (Sarkozy?). difficile fare pronostici sul rassegnato "pungiball" scozzese e sul serbo che al contrario somiglia ad un picchiatore di pungiball, afflitto da miopia. I prossimi mesi non si preannunciano forieri di grosse speranze, per Andy Murray. Se sul veloce paga la mancanza di un colpo definitivo, all'interno di una variopinta completezza, la terra non è l'ideale per il suo tennis poco incline alle rotazioni esasperate. Pronti ad assistere all'ennesimo paradosso masochistico di Andy, col coach Corretja impegnato nel voler fare del suo pupillo, un urticante terricolo regolarista anni '80. Qualcosa in più ci si potrebbe attendere da Novak. Adeguatamente riposato, ed acquisita una forma decente, potrà dire la sua nella stagione sul rosso che culminerà a Parigi. Pronto ad approfittare della situazione di estrema incertezza ed equilibrio, Federer a parte.
In ogni caso, ben poca cosa, rispetto ai due potenziali numeri uno. Incapaci di scalfire il trono di Federer, tornato saldissimo, negli slam. E rispetto al passato, balbettanti anche nei restanti tornei. Quelli che il monarca, con spirito magnanimo lascia loro, come rimanenze di un pasto gettato alla schiavitù. Nemeno affamata, come in passato.
Scritto per Tennis.it

giovedì 25 marzo 2010

Master 1000 Miami, antagonista cercasi


Inizia il Masters 1000 di Miami. Tra noia ed infortuni dei più forti, nessun favorito di diritto, ma un gruppo di accreditati pretendenti alla vittoria finale
Entrano in gioco domani i big, nel Masters 1000 della Florida. Con i più forti malconci, svogliati o in crisi esistenziale, chi è dietro può recuperare il gap tecnico, grazie alla motivazione o a maggiore condizione fisica. Poi però, c'è sempre il rischio che un super eroe pelato di 31anni li rimandi tutti a casa, a suon di sberloni e manrovesci. E, senza nulla voler togliere alla magnifica cavalcata di Ljubicic a Indian Wells, è la conferma di quanto l'appiattimento di valori, volga verso il basso. A Miami, almeno in sei partono alla pari, davanti ad un drappello di quattro o cinque accreditati out-siders.
L'antagonista alla noia. Negli slam, si spendono fiumi d'inchiostro a domandarsi quale sarà l'effettivo antagonista di Federer, tra gli arrembanti (ma anche no) pretendenti. Nei Masters 1000 il problema non si pone nemmeno, al limite si cerca di scovare "l'antagonista alla noia". L'elvetico, scientemente, si rimescola nella plebe. Ben sopportando ignomigniose cadute. Record e vittorie negli slam, esigono qualche rinuncia da monarca satollo di allori e titoli. A Miami dovrebbe fare un passo in avanti, anche aiutato da un tabellone che gli pone di fronte ottimi e rassegnati sparring, utili a ritrovare una discreta condizione. Almeno fino agli ottavi contro Tomas Berdych, il più intelligente tra la piante grasse. Poi nei quarti Cilic o Baghdatis. E se un po' in vena, non lesinerebbe una lezioncina stizzita al cipriota, che aveva osato battelo la scorsa settimana.
Rafeal Nadal, quello che per carattere e carisma, più di ogni altro aveva dimostrato di poter assumere il ruolo di antagonista (e molto di più), è sempre più frenato dai malanni ai tendini. A metà tra il fiero guerrigliero, che vuole convincerci (convincersi) di essere più forte di prima ripetendoselo (ripetendocelo) come un mantra, e l'angosciato ragazzo che intimamente sa di non avere più la monumentale tenuta del passato. Seguita a destreggiarsi e liberare "vamos" a pieni polmoni, per scacciare via i demoni. Arriva sempre in fondo. Ma il suo nuovo gioco, più offensivo e meno dispendioso, è facilmente letto e battuto da molti.
Murray e Djokovic involuti e tormentati. Ci sarebbe Murray. Certo, Murray. A tratti sembra studiare dal manuale del monarca, seguendo le sue scelte di illuminato allenamento. Col rischio di continuare a perderci nelle finali di slam, ma anche di disperdersi nei Masters 1000 sul veloce, dove sembrava il numero uno più accreditato. Sul campo, il limite più evidente dello scozzese, è quello di lasciarsi andare alla sconfitta con rassegnazione. Troppo remissivo e difensivo. Una tattica attendista che paga spesso, ma che ogni tanto è debellata con virulenza, dal picchiatore di turno. Senza nemmeno il tempo di progettare la sua famigerata tela, o che gli balzi in mente di giocare in modo differente, lui che può. A Miami ha l'occasione di incrociare Soderling nei quarti, e dimostrare se capito la lezione o se non v'è alcuni rimedio. Tormenti diversi ce li ha Novak Djokovic. Il serbo è incappato in un periodo di forma impietoso, per lui e per chi guarda. Ben poca cosa rispetto a quello del 2008, e che, secondo molti esperti doveva porre fine al duopolio Ferder-Nadal. Da allora si è tenuto al vertice, grazie a Masters 1000 e 500, in cui ha fatto valere la sua tremebonda regolarità. Ora, versione "regolarista falloso", sembra incapace anche di quello. Si poteva sperare in un bel match d'esordio contro Gasquet. Ma, ovviamente, il francese è già sulla spiaggia di Miami, dove prova a cogliere funghi.
Imprevedibilità Soderling, affidabilità Roddick. Il tennis estremo dell'alterato boscaiolo svedese, si presta all'altalenanza di risultati. Sempre in bilico tra abbaglianti dimostrazioni da picchiatore visionario e giornate da povero pazzoide miope, con tanto di pugnetto incorporato, sull'espressione da fantasma formaggino. Andy Roddick è forse il più costante. Quello che a Miami potrebbe addirittura vincere. E' diventato tennista completo, perdendo molto dell'antica esplosività. Se non si ostina a volercelo dimostrare sempre, divenendo la caricatura maldestra e atrocemente meno dotata di Murray, lo vedo in fondo. Già in ottavi, ha l'occasione di rivincita contro Ljubicic.
Alternative di lusso. Ma oltre a questi, v'è un manipolo di out-siders con grandi credenziali. Marin Cilic in Australia aveva confermato di essere oramai arrivato al vertice, ma dopo il casalingo compitino svolto a Zagabria, pare sprofondato in una crisi buia da implorante pastorello. Misha Youzhny è stato protagonista di un inebriante inizio stagione. Proprio quando le compulsive crisi autolesioniste cominciavano a dare tregua alle sue logore meningi, è incappato in problemi fisici (polso e anca), che lo hanno frenato. Ma se sta bene, è mina vagante extra lusso. Ivan Ljubicic ha il difficile compito di confermarsi e tenere a bada l'appagamento, dopo la trionfale cavalcata della scorsa settimana. Troppa grazia, sarebbe un bis. Jo Tsonga versione George Foreman 55enne con l'artrosi e zero Mohammed Alì, ha il massimo obiettivo di guadagnarsi il quarto di finale con Nadal. Ma Isner e (persino) Kohlschreiber hanno più chances.
Italtennis all'arrembaggio. Impegni agevoli, o difficilissimi. Starace è chiuso dal tabellone. Dovesse battere il decadente, ma sempre gradevole Nicolas Lapentti, fine della corsa con Federer. Lorenzi si ritrova Chela al primo turno. Argentino attempato, calante e terraiolo. Trovare di meglio, nel primo turno di un Master 1000 sul veloce, è umanamente impossibile. Paolo parte leggermente sfavorito (fate voi la proprietà transitiva). Fognini col cinese di Taipei Lu, pur buono sul veloce, può giocarsela addirittura da favorito. L'eroe montanaro Seppi ha un tabellone da epifania. Zeballos, argentino emerso nei challenger al primo turno, al secondo un Gilles Simon ampiamente alla portata nelle attuali condizioni, per poi approcciare Berdych, con cui una speranza la si ha sempre. Ottavo con Federer tutt'altro che impossibile. E poi, con uno svizzero svagato...Insomma, nessuno poteva sperare in un tabellone migliore. Il suo problema è essere Seppi.

Scritto per tennis.it

mercoledì 24 marzo 2010

UN COMPLEANNO DA PICASSO



Compie 26 anni il tennista teutonico. Talento tennistico in perenne bilico tra il quadro d'autore e la straziante resa mentale. Tra la vittoria del 2008 a Vienna, qualche fiammata e tante eclissi.
Un ragazzino strano, scattante, con una gran sensibilità di braccio e velocità d'esecuzione. Spalle strette, gambe storte ed espressione spaventosamente inquietante, mentre cammina a piccoli passetti. Rimanda all'idea di un pasticcio irregolare ed inspiegabile. Ma se uno con quella mano non ha una carriera da top, c'è il rischio di mandare a farsi benedire ogni banale convinzione che ci si è costruiti sul tennis. E invece gli esordi non sono facili. I tecnici che ne avevano intravvisto i chiari segni di un talento fuori dal comune, iniziano a porsi delle domande e consultare i libri di psicologia. Instabilità mentale, incapacità di soffrire e faticare, ingabbiano le velleità del teenager tedesco. Il talento non s'allena mica, del resto. E questa la frase che deve circolare nel cranio del giovane Philipp. Ma quando non sei McEnroe, nel muscolare tennis moderno, senza allenamento non vai da nessuna parte. Se davvero il tennis è "fisico e mente", Petzschner ha un futuro assicurato nella scherma o nel rubamazzetto. Si frantuma un ginocchio, e appare la surreale fine di una carriera mai iniziata. Ma è forse lì che il ragazzo tedesco prende la decisione di volerci provare sul serio.
Una magnifica ed incompiuta tela d'autore. Decide di rimettersi in sesto, ritorna, vince qualche partita nei challenger. La sua sagoma saettante, da anacronistica macchietta buffa, regala una prestazione da virtuoso esaltato, contro un Tommy Haas al vertice, negli Us Open 2007. "Picasso", come ormai lo chiamano, perde in quattro set, raccatta i soliti complimenti dell'avversario e stucchevoli ritornelli: "meriterebbe di stare molto più avanti in classifica". Lui ha lo sguardo di uno a cui non interessa minimamente quello che succede nel pianeta terra, che suo malgrado, lo ospita. Possiede l'intima consapevolezza di essere una spanna sopra gli altri. Che poi lo dimostri su un campo da tennis o mangiando un hotdog coi crauti, non è faccenda rilevante, per lui. Ritorna nel limbo dei tanti dimenticati, una fatua fiammata sui prati di Wimbledon, dove porta il croato Ancic al quinto set, prima d'eclissarsi, perdere e raccogliere i soliti complimenti fini a se stessi. Sembra davvero non esserci spazio nel tennis moderno, per quel ragazzo ritorto e irregolare, nel fisico e nella testa. Un quadro di Picasso che cammina, dipingendo parabole imprevedibili sul campo. Buon servizio, rovescio giocato quasi esclusivamente in backspin. Una lama morbida e compulsiva, con cui taglia il rettangolo in tante listarelle che paiono danzare folli, prima di partire con la saetta di dritto nell'angolo opposto. Merletti ricercati, intrisi di arsenico letale. Ricami geniali e fulmini abbaglianti di dritto che non fai nemmeno in tempo a veder partire. Quando partono.
Danzando su deliranti sinfonie Viennesi. Nel 2008, a Vienna, terra di musicisti pazzi e geniali, sordi e svitati, emerge lui, il Picasso con la racchetta. Trova una settimana d'ispirazione schizoide. Tutto di nero, orrendamente concentrato, miete vittime illustri, a suon di estenuanti ghirigori. Cadono come foglie sotto le sue zampate lunari, Moya, Feliciano Lopez e Monfils in finale. Vince il torneo, partendo dalle qualificazioni. Come a dimostrare ai miscredenti, che se vuole può essere un tennista, e non soltanto un ricercato apprendista venditore di lampadine fulminate. A quella cavalcata sinfonica, seguono mesi di alti e bassi. Sempre a costeggiare quel labile confine tra l'artista raffinato e un miserabile imbianchino sciancato. Tra una preziosa tela e l'orrendo schizzo inguardabile. Un delizioso ricamo ed una palla sgozzata atrocemente a metà rete, come scempio gettato via con incurante disprezzo di se stesso. La scorsa estate raggiunge il suo best ranking Atp (numero 35), facendo fuori gente del calibro di Querrey, Fish, Robredo. Agli US Open, domina Ferrero per due set e mezzo. Poi si congeda da se stesso e cede al quinto, come vittima di una follia placida e rassegnata.
Bagliori assordanti. Picasso è quello. Nitida ed abbagliante essenza di un nulla ricercato. Si prende o si getta via. Un dritto segue Nadal o Federer, mica quell'affare buffo, che si ostina a camminare sul filo che separa capolavoro ed abomino, danzando come un equilibrista sbronzo. Bellezza e orrore si fondono in modo indissolubile. Imprevedibile nella sua prevedibilità suicida. Potrebbe sfinire a suon di rovesci in back e saette radenti Djokovic, o perdere contro una settantenne sferruzzante uncinettarice. Dieci minuti da virgulto della racchetta, e un'ora di assoluta, abulica ed inutile presenza fisica. In fondo basterebbe aumentare la soglia di attenzione mentale. Ma quella, ci sono eminenti studi a testimoniarlo, non può durare oltre qualche minuto, e Picasso non sfugge a questa regola. Sarà mica uno sportivo lui. La mente che dirige il braccio, si spegne dopo poco. E non resta che guardaro vagare nel campo, come nel mezzo di una gitarella nel bosco, intento a cogliere olezzose violette e fiori di lillà. Un mimo surreale, con speventosi sorrisetti e movenze irreali, che prova vanamente a scorgere la sua ombra nello specchio.
Scruti quella bella espressione fissa, da reclutazione immediata in un centro d'igiene mentale, e pensi che avrà una guerra atomica in testa o un concerto di hippies strafatti. La soluzione a tutti i mali del mondo, o il nulla più assoluto. Potrebbe comporre una immortale opera sinfonica, dipingere un quadro d'autore. Oppure mangiarsi un panino con la mortadella. E in fondo, è quello il bello. La consapevolezza che non lotterà mai per vincere uno slam con "quelli là", venata dall'intima speranza che avvenga qualcosa di imprevedibile. E quell'attesa irrazionale che corre a braccetto con l'utopia, lo rende piacevole. Forse vincerà Flushing Meadows, nell'edizione 2013 che si giocherà su Marte, opposto a Gasquet, con un casco quadrato a cingergli le meningi. Per il resto ci sono Federer, Nadal, Murray...

Scritto per Tennis.it

lunedì 22 marzo 2010

Master 1000 Indian Wells, promossi e bocciati



A Indian Wells, si completa l'inaspettata cavalcata del "vecchio" Ljubicic. Tra le solite crisi involutive di Murray e Djokovic, Nadal cui manca lo spunto finale e Soderling incostante. Strazianti Kohlschreiber e Tsonga
Ivan Ljubicic: 9. Vederlo caracollare col testone luccicante, bardato da una fascetta per raccogliere l'inesistente chioma fluente, è un pugno nell'occhio. Anzi due. Un benzinaro imprestato al tennis, che fa del footing domenicale. Il croato decadente, che da due anni buoni giocava con lo stesso atteggiamento dimesso da ex, si diverte a dare abbaglianti dimostrazioni di tennis a giovanotti isterici e pieni di protervia, ma con metà della sua classe ed umiltà. In semifinale, levata via la fascia, ad un passo dalla sconfitta con Nadal, si trasforma in epico eroe d'altri tempi. Quasi trascinato da divintà romantiche, porta a conclusione una rimonta coinvolgente, coi colpi che che filano gioiosamente via dal suo braccione. Ace, diaboliche seconde lavorate, attacchi di dritto, prese della rete e rovesci accarezzati. Insomma, tutto il repertorio di classe, coraggio ed intelligenza tennistica. Completa l'opera, con una finale impeccabile. A 31 anni, dice di aver ritrovato la serenità di gioco di inizio carriera. Che iddio ce lo conservi a lungo.
Andy Roddick: 7,5. Avanza senza nessun affanno. Basti dire che il più periglioso avversario ha le sembianze rassegnate del tanghero iberico Tommy Robredo (6). Impensabile prova da tattico sopraffine in semifinale, dove ammanta e smarrisce il tennis "ignorante" di Soderling. Larry Stefanki ha fatto di un mancato battitore della major league di baseball simile ad un paracarro ingolfato, un giocatore quasi completo. Che poi possa piacere, è un altro conto. Fin troppo remissivo nella finale persa con Ljubicic
Robin Soderling: 7-. Picchia sodo e vicino alle righe disfacendosi del tennis attendisticamente suicida di Murray, come si spazzola via un pò di fastidiosa polvere. Versione miope, bastano una manciata di rovesci in back di Roddick (avessi detto Mecir), per strappargli l'accetta dal braccio e ridurlo allo scoramento. Continua nel suo schizoide dilemma: Demolente "psycho killer", o semplice pazzo con le paturnie.
Andy Murray: 5,5. Storia nota. Solito fuscello di svogliata boria. Sguardo angolare e sprezzante, scherza e giochicchia con Seppi, Russell e Almagro. Contro Soderling, il ricercato stratega di Scozia travestito da ragno surreale, fornisce un altro esempio di talento autolesionista e passivo, strozzandosi in una rete inesistente. Quasi infastidito e soffocato dal suo stesso talento. Uno che potrebbe fare tutto, e che finisce per non fare niente.
Rafael Nadal: 6. Malgrado si faccia addobbare come un pupazzo delle giostre, da stilisti evidentemente svitati, disinnesca con esperienza le bombe di servizio di Isner e lo smidollato tennis di Berdych. Subisce la rimonta del vecchio ed ispirato pirata Ljubicic, in semifinale. Probabilmente condizionato dalla precarietà fisica, sul veloce è spinto a giocare in modo meno dispendioso per i suoi tendini martoriati. Nessuna esibizione da mostruoso muro di gomma, e recuperi carichi di antico rifrullo rabdomantico, ma molti più attacchi e scambi accorciati. Il risultato, è che il maiorchino sembra un buon giocatore da top ten, senza lo spunto finale. Nulla più.
Novak Djokovic. 5-. Frustrato e frustrante. Ed anche appesantito dalla fatica. Riesce miracolosamente a vincere match già persi, avvolgendo nel suo marasma abruttente, ogni avversario. A Indian Wells arriva un attempato croato col cranio a forma di lampadina, ad impartirgli una gioviale lezione intrisa di tennis fluido, eleganti sberloni schioccanti e modestia.
Tomas Berdych: 6-. Buon torneo per il ceco dalla stessa esondante simpatia di un'iguana delle Galapagos. Denota intelligenza tennistica pari a quella di un fagiolo borlotti. Ma se gli capitano giornate in cui le palline stuprate trovano le righe, diviene tragicamente ingiocabile. Ne sa qualcosa il fatuo galletto da combattimento Verdasco (4), letteralmente annichilito. Nadal lo riporta allo stato di "grande bluff".
Philipp Kohlschreiber: 5. Asfittico alter ego di Andreas Seppi, con talento. Intimamente votato alla straziante sconfitta, il Cassano dal volto umano, possiede la stessa combattività di un cincillà narcotizzato con la valeriana. Non fa fatica a battere Petzschner (4,5) versione ballerina di tip tap storpia. Poi, atrocemente rassegnato al suo destino, perde un match già vinto contro Djokovic.
Marcos Baghdatis. 6+. Gran braccio tennistico e contagiosa simpatia ridanciana, in un corpo da messicano "flaco" e panciuto, miracolato dopo una serie di malanni da treno bianco di Lourdes. Fedele a se stesso, zompettante e carico a molla, il cipriota lotta come un leone e batte sua maestà in panciolle Federer, e poi cede alla regolarità insipiente di Robredo.
Roger Federer. 4,5. Da soave danzatore tiranno e cannibale, a stizzito Marchese del Grillo in disgrazia. Considera i Masters 1000 come petulante gabella settecentesca. Scelta illuminata che gli consente di presentarsi in smaglianti condizioni negli slam, e seguitare ad inanellare record disumani. Ma rimane vivo sconcerto, nel vederlo incapace di chiudere un match già vinto contro Baghdatis.
John Isner. 6. Più rudimentale di Karlovic, più sgraziato di Fish. Gioca un altro sport, e quando serve due ace a game, coprendo la rete con apertura alare da spaventoso condor gigante, diviene dura per tutti batterlo.
Jo Tsonga. 4,5. Versione pugile suonato. Falloso, confuso, pesante. Il poderoso toro nell'arena che costruiva preziosi gingilli di cristallo svarowsky, è da tempo ridotto ad ippopotamo maldestro, che fracassa tutto. Scritto per Tennis.it

mercoledì 17 marzo 2010

Il Magico mondo di Maria Josè



Il tabellone femminile di Indian Wells si è allineato ai quarti di finale. Tra assenze, e sconfitte inaspettate delle favorite, emerge come un miracolo, il tennis antico di Maria Josè Martinez Sanchez
Ecatombe delle favorite. Assenti per il noto boicottaggio le due Williams. Dumbo travestito da Bamby (Dinara Safina) a casa per curarsi le ferite. Titubante Kim Clijsters, fatta fuori dal cetaceo russo Kleybanova. Fuori fase Justin Henin che s'arrende alla inoffensiva Gisela Dulko. Inaspettatamente eliminata anche Svetlana Kuznetsova. Quello di Indian wells, più che un torneo, si è trasformato in ecatombe delle più forti, o aspiranti tali. A casa, ammesso che sia ancora sorprendente, anche le ex starlette da passerella: Masha Sharapova continua ad urlare come una gestante in sala parto, ma oramai ha minore mobilità della Torre di Pisa. Seguita a sprofondare, vittima di foga confusionaria, Ana Ivanovic. Puro folklore per feticisti del grugnito acrobatico e del pugnetto roteante, fine a se stesso.
In questo marasma di equilibrio e tennis ridotto ai minimi temini, si tiene orridamente a galla Elena Dementieva, russa apparentemente morta da due mesi, ma che rimane la più costante del lotto. Resistono anche, la ritrovata bambolina pallettara Wozniacki e la sorella di Varebbe Jelena Jankovic, che con la nuova gualdrappa, seguita a sgroppare, sperando di non trovare una avversaria così forte da batterla. Il dramma è che sono quasi tutte fuori o a casa. E senza nessuno, le sue velleità aumentano.
Maria Josè, come inatteso arcobaleno. Come un lezioso squarcio, nel cielo di cemento, emerge il magnifico tennis arcobaleno di Maria Josè Martinez Sanchez. La mancina iberica, alla soglia dei 28 anni, continua il suo sorprendente spettacolo, ed un'ascesa imprevedibile. Oramai ultimo esemplare al femminile del "serve&volley", ad Indian Wells, Maria trova una settimana di autentica grazia attaccante. Uno svolazzo gaudente, capace di stravolgere e soprendere il tennis di donnoni avvezzi all'arte del randello senza senno.
"Linda Blair" esorcizzatata a suon di voleè. Non c'è esempio migliore e più nitido del match tra Martinez Sanchez e Azarenka. L'iberica danza e fluttua sinuosa, assecondando i refoli di venticello che attraversano il catino di Indian Wells. Gran servizi mancini, acrobatiche prese della rete che fanno gridare al miracolo gaudioso. Pensare che non tutto è perso in questo mondo vigliacco e brutalizzato. Victoria Azarenka, imponente, accigliata e spaventosa al sol pensiero di incrociarla per la via, è una specie di capostipite delle nuove generazioni. Ma pare smarrita da quel gioso ardire iberico. E' livida, quasi più rassegnata del solito, con le gote di uno sfumato color prugna della California. Un altro balzello, una volè in allungo ed un ricamo, la "farfalletta volleatrice" sconvolge tutto quello che c'è nelle cervello della biondona dell'est: "Tira fortissimo e ammazzala (e poi parolaccia in bielorusso)", grosso modo. La "Linda Blair" posseduta dal Belzebù è incredula, proprio non riesce a comprendere come facendo "spatapummete", non sia capace di impallinare la variopinta e sgusciante farfalla volteggiante. Il match si fa duro, la spagnola perde servizio e colpi. La valchiria tremebonda risale da 1-5 a 5-5, e ora affonda impietosa col suo virtuoso rovescio bimane. Si carica, tutta contrita e violacea in volto. Sembra la fine scontata e prevedibile per l'impunita Maria Josè. Rantola in modo sempre più inquietante aggrappandosi a rete, esponendosi agli affondi ad agli striduli gridolini perfora-timpani di Victoria. Un raggelante "iiiiiiihhhh" quasi continuo, come la voce di un Diavolo effeminato e con disturbi mentali. Ma la farfalletta raccoglie le ultime energie, e porta a casa il tiebreak del primo set. Victoria caccia uno smoccolamento da competizione (12min. e 36 sec. Nuovo record europeo). In completo cortocircuito, si lascia morire anche nel secondo set. 7-6 6-2 Martinez Sanchez. Un match che suona come gran rivincita per il tennis, e per chi vide quella spagnola soccombere a Kaia kanepi, nel torneo di Monteroni di una decina d'anni fa.
Altro giro, altro armadio da mandare in tilt. Quella che i competenti chiamano prova del nove, Maria Josè deve affrontarla contro Yanina Wickmayer, match valido per l'accesso ai quarti di finale. Simili prove le ha spesso fallite. E la "Giovannona coscialunga" di Belgio è la nuova sensazione sbadilante della wta. Ugualmente programmata per fare una sola cosa, se possibile, più truculenta, artigianale e rudimentale della Azarenka. Ma rispetto a Vic-Linda Blair, con l'indubbio pregio di non sembrare un posseduto scaricatore di porto ebbro di vinaccia.
Il match si preannuncia durissimo. L'imponente belga, sebbene in calo rispetto ad inizio stagione, tira sempre delle gran bordate. Dentro o fuori. Grevi e ruvide mattonellate che potrebbero fare malissimo alla guliva iberica fluttuante. Fors'anche ammazzarla senza pietà. Ma cosa vuoi che sia per una che ha affrontato con faccia da scugnizza, la furia omicida di Serena Tyson Williams, che voleva farla fuori a schioppettate? Varia il gioco, non da punti di riferimento all'armadio a quattro ante belga, e appena possibile chiude a rete, con ricami ed allunghi magistrali. Altro spettacolo di avvilimento, Wickmayer come Azarenka, smarrite e ridotte vitelle furenti col morbo della mucca pazza. Quando l'altra non permette di svolgere in tranquillità il loro compito sparacchiante, e debbono ingegnarsi e produrre qualcosa di alternativo, vanno in imbarazzante fuori giri. Lenta ed incapace di rispondere alla prime palle velenose della vezzosa mancina, che pure riesce a metterne dentro poche. Una saetta via l'altra, Maria Josè abbatte l'ennesima vatussa erculea. Lasciandola lì, simile ad un bonzo infuocato dalla rabbia. Autentico miracolo. La bellezza se non salverà il mondo, potrà almeno renderlo più piacevole.
Scritto per tennis.it

martedì 16 marzo 2010

Kohli uber alles

Una settimana da tregenda. Una di quelle in cui ti chiedi cosa mai possa aver fatto, per sopportare tutto quel male gratuito. Per quale malvagio sortilegio, la tua mente sia irrimediabilmente attratta dal virtuoso perdente.
Le tre categorie di appassionati. "Faber" soleva ripetere che ci vuole gran coraggio a stare sempre dalla parte di Sparta, e mai con Atene. Il dritto si eccita come un caimano pieno di protervia, per le coppe di Federer, Nadal e addirittura grazie alle emozioni oscenamente flatulenti di Djokovic. Poi c'è chi si caverebbe una costola, di fronte ad un emozionante spettacolo, punto a punto, di Andreas Seppi. Il pazzo invece, va in brodo di giuggiole per Youzhny, Gasquet o, fino a qualche mese fa, per Marat. E pazienza bisognasse fare i conti ed adeguarsi con rassegnazione ad una testa infestata dalle locuste urlatrici. E' tutto fine a se stesso, nel magico mondo di chi inneggia per la Sparta devastata, perdente e tormentata.
I seguaci del tennis, grosso modo, rientrano in queste grandi categorie. Il buono, il brutto e il cattivo. Anzi: Il dritto, l'ottuso e il pazzo. Non per vile conflitto d'interessi, ma gli appartenenti alla terza categoria, hanno più genio ricercato. E in più posseggono piena consapevolezza, dell'inutlità del tutto. "Anche un pochino di vita ti è cara, quando sei alla fine della vita.". Giammai potreste aspettarvi che s'impuntino sui loro "ram-polli". Sanno bene che da un Gasquet o da un Picasso, ti puoi attendere solo il pathos autolesionista di una sconfitta prevedibile nella sua imprevedibilità. Un nulla angosciosamente ricercato. Se poi viene dell'altro, lo si prende.
....e la quarta. Non avevo mai pensato ad un'altra categoria, che viene facilmente descritta, più che dalle parole, dalle sembianze tremende di Philipp Kohlschreiber. E' una specie ibrida, ben peggiore delle altre. Atroce contaminazione che fonde i rassegnati esteti fini a se stessi, con i fans di un italiano vestito da beach-boys. Sono passati oltre due anni, da quando fui colpito da improvvisa luce folgorante, durante un match del buon Philipp Kohlschreiber, per gli amici "Kohli". Cinque set di meraviglioso tennis, giocati punto a punto con Andy Roddick. Il tedesco la spuntò, con picchi di soave beltade. Uno che può fare quasi tutto con la racchetta, grazie ad un rovescio classico e melodioso, che te lo serve quasi assecondando un'arietta maestosa. Strepitoso. Pensai che il ragazzo, sebbene non più giovane promessa, avesse comunque un gran futuro. Che quella partita potesse trasformarsi nel fatidico punto di snodo di un'intera carriera, bando al pugnace agonismo da coma assistito. Poi capita d'imbattersi in un giornale letto al bar: "Roddick perde contro il tedesco, che gioca una gran partita, ma non sarà mai un campione.". La fredda analisi di Rino Tommasi, che riporta sulla terra i soliti, miserabili, esteti "senza null'a pretendere". Non si è maestri per caso. Il tedesco è un semplice talento senza carattere. Moscio, assente, impalpabile. Ed ecco la necissità della sopracitata "quarta categoria": I "Kohlschreiber's". O i "kohlie's".
Tra Mahler e Dario Argento. Ieri il tedesco ha pienamente esibito l'essenza del suo essere fluttuante, elegante e insipidamente trasparente. Picchi di tennis da insegnare in scuole tennis illuminate, nel marasma di un vuoto assordante. Gioca punto a punto con Novak Djokovic, senza dare adito alla minima presenza agonistica. Semplicemente affettando il rettangolo con rovesci angolati e suadenti. Pare non esserci storia, in campo. "L'adagietto in fa maggiore" di Mahler, contro un film del terrore, di Dario Argento. Film già visto a Parigi, dove la pianta rampicante tedesca, insegnò tennis super deluxe al serbo.
Nole è il solito Nole versione inverno-primavera 2010. Getta via tutto, nervoso, inquieto ed incredulo. Una catacomba isterica. Quasi non riesca a capacitarsi della sua estrema pochezza tecnica. I crudeli detrattori (non io, sia ben chiaro. Anzi, mi dissocio da me stesso), parlerebbero di disumani picchi di arroganza, atrocemente grottesca quando non hai il braccio di Federer, e nemmeno di Murray. Djokovic è così strappato, incostante ed avvilito, che finisce per avvolgere nella mortale spirale del suo tennis, anche l'avversario. Va avanti così da mesi, l'imitatore imprestato al tennis. Tra Melbourne, Dubai e Indian Wells, disseminando vittime, senza alcuna pietà. Non era difficile immaginare in "Kohli (cisti)", l'ennesima vittima. Lui si presta più di ogni altro allo scempio.
Il destino in uno sguardo da kohli. Crestino accennato sul cranio, espressione assente, volto da Cassano lobotomizzato e coi brufoli curati dal disserbante, su un fisico da mondina canterina. Una visione straziante e commovente, che sembra uscita da "la lista di Shindler". Quale Dio crudele ha potuto regalare un simile rovescio a quel figuro afflitto e svuotato, simile ad un bizzarro incrocio genetico tra Mathieu e Seppi? Come si può sostenerlo, o avere speranza in lui? Manca il picco folle, che può rendere interessante un atleta, benchè perdente. Talento sterile e rassegnato. Un adorabile ermellino buffo, pregiato e morto. Sul più bello, il braccio dell'ardimentoso teutonico morto, si ritrae. Il respiro s'affanna, i colpi divengono pavidi e meno profondi. E l'altro vince. Sempre. Anzi, potrebbe vincere anche il torneo.
Scritto per Tennis.it

domenica 14 marzo 2010

Hit for Haiti, beneficenza e vecchie ruggini


I dominatori del tennis dell'ultimo ventennio, riuniti in due doppi esibizione, per aiutare la popolazione haitiana, colpita dalla catastrofe del mese scorso. Bei colpi, gag ed imbarazzi
Tanti slam, e beneficenza. Avevano aperto le danze Martina Navratilova e Justin Henin, opposte a Steffi Graf e Lindsay Davenport. Martina a dispetto delle 55 primavere, si esibisce in qualche tocco d'epoca. Lindsay dimostra che il suo servizio fa ancora male. Steffi conferma che la pesantezza del suo dritto non si è affievolita, malgrado le quarantuno candeline. Così come il suo fisico marmoreo, a dispetto dei due figli e del marito Agassi. Qualche risolino, bei tocchi, silenzi e Justine Henin assolutamente fuori luogo.
Un gradevole lancio per la sfida più interessante, di questa mega esibizione in soccorso di Haiti. La finalità benefica va al di là di tutto, ma vuoi mettere poter rivedere Agassi e Sampras assieme a Fererer e Nadal? La penultima grande rivalità tennistica, e l'ultima, forse ancora in atto. Mescolano le carte in modo bizzarro. Federer/Sampras da un lato, Agassi/Sampras dall'altro. 30 slam contro 14, due braccia naturali, contro il più puro muscolo agonista. Ma va bene lo stesso.
Agassi capo comico. I quattro hanno anche dei microfoni, per rendere partecipe il pubblico delle loro gag rutilanti. Va beh. Federer e Nadal celano bene l'imbarazzo con qualche sorriso di cemento. Sampras ha sempre meno capelli e più buchi in testa. Agassi, in un completo nero che non lo sfina, dimostra tutto il decadimento dell'età. Ha la boccia luccicante ed il girovita da Homer Simpson che s'è trangugiato un bue muschiato a colazione. Ma il kid di Las Vegas è l'unico show-man in campo. Il solo a poter fare qualcosa oltre al tennis. Battuta pronta ed ossessiva, che poi sia riuscita o meno, è un altro conto. Il pubblico si diverte. Scrosciano risate quasi registrate, come nel "Mio amico Arnold". Ma che ci vuoi fare? Sferra anche due passanti poderosi, confermando come la potenza non si perde con l'età. Nella boxe, ma un po' anche nel tennis. I due giovani, cavallerescamente, provano a giocare tra di loro. Agassi non ci sta, li rimprovera, ed inizia un gustoso tiro al bersaglio su Federer. Rafa e Roger paiono due pesci fuor d'acqua. Tremendamente intimiditi rispetto ai due mostri sacri del passato.
L'incidente e le antiche ruggini. Il match fila via, col capo comico Andre sugli scudi, e gli altri tre che lo seguono provando a fare il loro. Sanno giocare a tennis, ma non hanno la dote naturale della battuta. Roger, un pò meglio di Nadal (fin troppo castrato dalla personalità del kid), si lascia andare ad una inaspettata autoironia sul suo precario stato di forma. Buffa, ma solo perché surreale. Ad occhio e croce, l'elvetico mi sembra la persona meno autoironica del globo, comprese galassie e supernova. Agassi seguita nel suo show da mattatore. Gli manca una parrucca verde fluorescente e il naso da pagliaccio. Ma il pubblico ride. Si mette a predire a che velocità servirà. E ci prende. Altre ovazioni. Lui da vero istrione, si carica. Va via alimentandosi a valanga. Tutto tic, passetti convulsi, occhiate, smorfie schizoidi, pare caricato a molle. Non male per uno che ha ammesso di aver giocato tornei professionistici sotto l'effetto degli allucinogeni. C'è da chiedersi se dopo l'esibizione, gli faranno l'antidoping. Stuzzica Rafa ad essere più intenso, rimprovera Pete di prendersi troppo sul serio. Ci sta. L'altro, goffo come pochi, risponde a tono imitando i suoi passetti. Non sarà il massimo dell'actor studio, ma Pete sembra sciogliersi. Roger ride. Si diverte anche il pubblico. Andrè non crede ai suoi occhi, finalmete il teatro può accendersi. Ribatte cianciando qualcosa, rivoltandosi le tasche. E' il chiaro riferimento alla tirchieria di Sampras. Ne aveva scritto nel suo discusso libro, riportando il retroscena del "dollarone" elargito da Pete ad un posteggiatore. Forse uno dei passi più divertenti, all'interno di un libro che è pura "mondezza" (cit. Clerici). Una faccenda vera e oramai conosciuta da tutti, su cui glissare o rispondere a tono. Sampras, evidentemente, non la pensa così. Lo rimprovera di andare sul personale. Azzarda uno "scusa Obama". E poi spara un servizio alla figura dell'improvvido battutista. Tremendo. Agghiacciante. Imbarazzante. Lo stesso sentimento percorrerà anche gli sventurati Rafa e Roger, che non sanno che fare. Il pubblico si zittisce. Andre fa la faccia a metà tra lo sconcerto e il risentito.
Ma ad Haiti, qualche bambino starà meglio. Il match prosegue. Roger e Pete vincono 8-6. Grandi abbracci, sorrisi plastificati simili ad emiparesi, tra gli applausi. Cala il sipario su una esibizione trasformatasi in sceneggiata di dubbio gusto. Fuori luogo viste le finalità benefiche, tra due personaggi (Andre e Pete), che al di là delle dichiarazioni di facciata, si detestano intimamente. Corretti fino allo stucchevole nei confronti professionistici, arrivano quasi alla rissa in un'esibizione. Qualche bambino haitiano, almeno, potrà ridere. E gli fregherà poco di queste banali quisquilie piccate, tra miliardari in pantofole.
Navratilova 7. Un paio di tocchi senza tempo sotto rete.
Graf 7 (cumulando il 10 alle gambe più belle della storia del tennis, l'8 al dritto di marmo, e il 3 al naso impresentabile su un campo da tennis).
Davenport 6,5. Sarebbe ancora da top 10, senza molti problemi.
Henin 5. La belga sta allo show come la Bellucci alla recitazione. Bella a vedersi, per carità...
Agassi 7. Mattatore assoluto. L'unico dei quattro capace di abbinare tennis e commedia. Fuori dalle righe, perché non sa quando fermarsi, con gente che non conosce lo scherzo.
Federer/Nadal 6. Show-man arrangiati. Spettatori basiti e increduli del "fattaccio".
Sampras. 5. Autoironia inversamente
proporzionale alla sua classe immensa nel tennis.
Scritto per Tennis.it

Volée senza tempo


La tappa di Zurigo del champions tour, in cui si affrontano vecchi campioni, è l'occasione per riflettere sul mutamento del tennis, e la progressiva scomparsa del servizio e volée
"Tra dieci anni, nessuno giocherà serve&volley, e non ci saranno coach che insegnino i ragazzi a giocare in quel modo.". A margine della sfida di Davis contro l'Italia, Max Mirnyi parlava così. Più che una profezia di Nostradamus, quella del bielorusso è sembrata una chiara osservazione disincantata della realtà. Materiali, racchette, superfici sempre più lente, hanno scoraggiato gli allenatori ad erudire i ragazzini con la nobile arte del gioco di volo, a favore del muscolare "tira forte e corri", più adatto ai nuovi strumenti. Tutto muta e scorre, e il tennis non sfugge a questa regola. Una evoluzione spaventosa, che non sempre può piacere, ma alla quale ci si deve abituare.
Immagini sbiadite. Capita di rivedere un vecchio filmato di Edberg-McEnroe a Wimbledon 1989, e appare quasi un altro sport. Ventuno anni di mutamenti, tutti in quelle immagini. Il vecchio numero uno, respinto nello strenuo tentativo di riprendersi lo scettro dei prati londinesi dall'algido e flessuoso cigno svedese, che si esibiva in gran servizi lavorati e velenosi. Non per sparare la cannonata vincente, ma per guadagnare quella frazione di tempo in più, utile per aggrapparsi alla rete, e giocare la più bella volè d'approccio della storia recente. Mac non si rassegnò mica, ce la mise tutta. Inevitabilmente e malinconicamente, senza l'antica esplosività, malgrado ricami al limite del prodigio. Edberg finì per imporsi. Gelido, garbato ed implacabile. Perfetto trionfo e sfavillio armonico del gesto tecnico, Edberg era il Federer della volée.
Come prima, più di prima. Ventuno anni dopo, in un marasma di top-spin, bordate di servizio, bazooka e randelli sovrumani, riecco i due eroi a Zurigo, nella seconda tappa del Champions Tour. McEnroe è un 51enne signore brizzolato, che tra una sceneggiata da copione e l'altra, zompetta a rete come un satanasso. Stefan è in forma imbarazzante. Asciutto, impeccabile, una statua greca. Maschera abilmente i problemi alla schiena, e quasi alla soglia delle 44 primavere, continua a volleare senza umane sbavature. Approdano sulla rete sempre più in ritardo. Ma vederli, anche solo per qualche scorcio, è sempre un sollievo dello spirito oramai struprato dalla maniscalcheria legalizzata del tennis recente. Con la mano riescono a compensare il resto. Loro possono. La spunta, ancora una volta Edberg: 6-4 4-6 13-11, dopo aver annullato due match point. Tripudio del pubblico, e Mac che gli stringe la mano e vorrebbe intimamente ammazzarlo.
Inutile rimuginare. Prima che trascorrano quei dieci anni annunciati da Mirnyi, non rimane che godersi gli ultimi esemplari del servizio e volè, che come delle specie in via d'estinzione, ancora s'ostinano, quasi tutti a fine carriera. Fuori tempo e fuori moda, ma anche "fuori risultati", perché il più delle volte è uno schema che non paga. Andare a rete non serve, perché il punto si chiude prima. Le pertiche semoventi Isner e Karlovic, avanzano solo per completare l'ace, e perché a rimbalzo non riescono a colpire. E' capitato persino di vedere uno come Monfils (che la volè la gioca come Pappalardo che si accinge a spaccare una noce di cocco), seguire la battuta a rete una o due volte a match, ma solo per motivi tattici: l'altro si spaventa e sbaglia. Tra le donne, splendido e pressochè unico esempio di tennista serve&volley è la mancina iberica Maria Josè Martinez Sanchez, pupilla assoluta, da me battezzata "farfalletta volleatrice", che a 27 anni ha saputo emergere ed avvicinare la prime venti.
Si contano sulle dita di una mano. Tra gli uomini, c'è qualche "purista" in più. Radek Stepanek si tiene a galla, a ridosso dei top ten, malgrado le incombenti 32 primavere. Autentico sfoggio di tennis vintage, il ceco. Smorzate deliziose, attacchi contro tempo e volè di gran tocco. Sul veloce come sulla terra. Altro esponente della "casta" è Feliciano Lopez, mancino spagnolo che tra gran colpi di volo, pause e bagliori, rema tra i primi trenta. Michael Llodra, mancino di Francia, il mese scorso è ritornato a deliziare le platee, vincendo a Marsiglia. Anche lui rattoppato ed oltre la trentina, fatuo godimento, in estemporanee esibizioni da virgulto della volée. Tristemente declinate e minato dalla sorte, è Nicolas Mahut, "volleatore" compulsivo che oramai rema nei challengers, e fatica a riavvicinare i primi cento. C'è il maldestro e arrangiato giamaicano Dustin Brown, che attacca prima e seconda, ed anche terza, se solo ci fosse. Rajeev Ram, troppo debole per essere vero. Ball e Guccione, riminiscenze contaminate della scuola australiana. Misha Zverev e l'airone ucraino Sergiy Stakhovsky, ultimamente visti sempre più timorosi, remare dietro la riga, in evidente fase d'involuzione. Frank Dancevic, canadese dai mezzi fisici e tecnici spaventosi, mestamente messo k.o. dal fisico.
Chi dal knock-out si è rialzato con caparbietà, è Taylor Dent, imponente americano, ritornato tennista dopo due anni da invalido civile, a causa di atroci problemi alla schiena. Si arrabatta gaudente e dolente, sempre seguendo la battuta a rete. Ma solo sulla prima palla. Perché "sulla seconda è diventato impossibile, e i tennisti sono migliorati molto nella risposta". Ma con l'indubbia soddisfazione di vedere un suo match giudicato fra i tre più belli della stagione 2009. Un confronto fuori dal tempo, con l'altro "volleatore" anacronistico Ivan Navarro Pastor (spagnolo che vede i primi 100 al mondo come un miraggio), sul centrale illuminato di Flushing Meadows. Quattro ore di tennis antico, con forsennate discese a rete, da commuovere i nostalgici e far rimanere allibiti i giovani, che non avendo mai visto Rafter, si saranno chiesti se fossero improvvisamente cambiate le regole del loro sport.
Post scritto per Tennis.it

venerdì 12 marzo 2010

Alle corse dei tennisti



Hemingway trovava l'ispirazione letteraria assistendo alle corride. Un mio amico senza-casa, componeva delicati sonetti solo in viaggio. Treni, bus, tram. Aerei no, perché non avevano la "magia", e non se li poteva permettere. Hank scriveva dopo essere stato alle corse dei cavalli. Io dopo aver visto una partita di tennis. Diventa tutto nitido nel cervello. Un budino al creme-caramel. Si capisce tutto. Temo addirittura di poter diventare l'assistente di uno di quegli antropologi con la barba caprina e gli occhiali a civetta, che ci insegnano i segreti della vita, annaffiandoci il cervello nei salotti tv. In questi giorni, non sto guardando tennis. Gioco forza, non scrivo della vita. Ma il tennis si riesce a comprendere ugualmente, sta diventando prevedibile. Non ci vuole molto. E senza vedere niente, sono entrato in una di quelle agenzie di scommesse, di cui pullulano le città. Scene oramai scontate, ma sempre nuove. Vecchi incurvati, pelati e rancorosi davanti ad uno schermo. Schiumavano rabbia e gettavano all'aria biglietti, maledicendo l'umanità. Diceva il vecchio Hank: "Un uomo capace di fregare i cavalli può fare quasi tutto quello che si prefigge. L'ippodromo non è il posto per lui: costui dovrebbe trovarsi sulla Riva Sinistra davanti a un cavalletto. Oppure all'East Village a comporre una sinfonia all'avanguardia. O sennò a far felice una donna. O sennò abitare in una caverna sulle montagne.".Quegli uomini canuti e con lo sguardo prima fiducioso, poi assente, ed infine di feroce avvilimento, non avevano scoperto il gran segreto. Neanche io l'ho capito. Ma quell'insana voglia di masochismo involontario, mi spinge ugualmente a provarci. I tennisti sono come i cavalli, in fondo: Puosangue, broccacci, favoriti, sopravvalutati, specchi per le allodole. Ci sono anche i drogati con parrucche fluorescenti, e qualcuno che si vende le partite. Scruto due minuti il palinsesto, con la faccia da gran dritto. Lo stesso tempo che Povia spreca per scrivere una "canzone", io lo impiego per scommettere, e scrivere a mente un saldo romanzo, che dimenticherò dopo un paio di medicine, di quelle a 70°.
A Indian Wells si giocano i primi turni. Bene. Per esperienza, su dieci match, due vanno a farsi benedire. Infortuni, una giornata storta, o una scommessina che i marrani hanno fatto contro se stessi. Meglio stare in guardia. Otto è il numero giusto. Salta subito alla mente Shuetteler. Il tedesco deve avere più anni di Matusalemme, ma è come la gramigna. Sta ancora lì, impietoso. Ha passato le qualificazioni, vuoi che perda contro il tennis bailado e storpio del brasileiro Alves? Prendo il tedesco ad occhi chiusi. Koellerer-Ram: Belzebù in crisi di risultati, contro un americano originario del bengala. A memoria (da criceto nano), lo ricordo trascinare Petzschner al quarto set, lo scorso Wimbledon, e poi vincere Newport. Vuoi che il demonio austriaco non riesca a dileggiarlo, conducendolo ad una sconfitta avvilita? Vado su Koellerer, in due secondi. Oh, ma c'è anche Picasso Petzschner nella lista. Gioca contro Christophe Rochus, il più debole dei fratelli gnomi di Belgio. Una specie di Santoro, versione scarsa e noiosa, reduce da una serie di sconfitte quasi simile a quella di Bolelli (ho detto, quasi). Il pittore tedesco vincerà facile, in due set. Rifletto qualche attimo. E' la prova che sono matto. Uno che scommette su una partita di Petzschner, lo è senza troppi se. Chi lo sceglie come pseudonimo, da rinchiudere all'istante. Ma oramai l'ho giocato.
Serra-Falla: Il francese m'annoia quanto una fila alle poste, mischiato a pensionate che ti guardano con sospetto, ed un filo di disprezzo. Alejandro Falla è un mancino colombiano che da anni si destreggia attorno al numero cento, simile a uno dei ballerini della reclame del caffè "kimbo". Tra i professionisti, il più vicino al tennis dei circoli. Basta un refolo di vento per portarselo via. La quota non è granchè, ma opto per il 2-0 del frencese. Uh-uh, scorgo un italiano, persino due. Starace è opposto a Chardy. La vittoria del transalpino è in cassaforte, in due set. Le altre partite non mi convincono, meglio non addentrarsi nel pianeta Fognini. Sono dubbioso assai.
E allora vado sulla wta. Il tennis artigianale e urlato di Sara Errani, pur degno di ammirazione, non m'è mai piaciuto. Ma la prendo senza tentennamenti, contro l'ucraina Kutuzova, una che ultimamente le busca anche da Romina Oprandi. Azzardo una casalinga Mattek-Sands, che gli allibratori mi danno in grande crescita dopo le belle performance di Fed Cup. Poi preferisco nettamente il cartone animato Carla Suarez Navarro, allo stitico tennis di Alizee Cornet, vezzosa francesina col nasino all'insù e niente tennis. Sono otto match. Una buona vincita sicura.
Stamane consulto i risultati: presi tutti e otto. Un attimo, no...Chardy-Starace 6-1 4-1 40-15 (rit). Orrore! Potrei non aver vinto, debbo informarmi. Avevo il 2-0 secco. Il nostro sarà schiattato sul campo? Qualcuno poi mi rimprovera di non amare il tennis italiano. Sarò prevenuto. Non potrei nemmeno denunciare l'omino dello sportello per "abuso d'atti d'ufficio". E' una pratica diffusa soprattutto per denunciare i procuratori che attestano di non aver ricevuto l'iscrizione di una lista elettorale. Attuano la legge in modo così freddo, da non vedere quello che non c'è, quei persecutori di libertà (c'è della sottile ironia, qui). Scommesse a ramengo, perchè Potito s'è scocciato di perdere tirando le ultime quattro palline. E' andato nel deserto americano e poi si sposterà a Miami, senza pagare niente. Anzi, intascando pure un bell'assegno di presenza. Chi è più dritto, lui o chi impiega una vita di stenti, risparmi e scommesse illuminate, per andare in quei posti? Lui senz'altro. Ed io non abito ancora nella caverna sulle montagne.
Scritto per Tennis.it

mercoledì 10 marzo 2010

Master 1000 Indian Wells, tabellone e pronostici

Con Federer ansante per i problemi polmonari, Nadal prevedibilmente abituatosi all'invalidità e Del Potro che rimane a casa, ghiotta occasione ad Indian Wells per il pur claudicante Andy Murray e Novak Djokovic, imbesuito di fatica dopo il tour de force di Belgrado. Ma soprattutto per Cilic e Soderling. Mine vaganti: Gulbis, Petzschner e Bartezaghi. Analizziamo il tabellone dagli ipotetici accoppiamenti dei quarti:
Federer-Roddick. Inizio in sourplace per il monarca ferito. Un bye, poi un semi-bye (chiamato Hanescu o il tremebondo Chela), fino al terzo turno, dove la sagoma da tarchiato tornitore sorridente di Baghdatis, ci farà capire come sta o cosa avrà voglia di fare l'elvetico. Prima di trovarsi faccia a visiera con Andy Roddick nei quarti, altro ostacolo fatuo, incarnato dal raccapricciante volto pasticciato di Radek Stepanek, pronto come un vezzoso satropo volleante, ad approfittare di qualche stonatura svizzera. Alternative a Stepanek per gli ottavi, Tommy Robreldo "el torpe" o qualche modesto yankee al confine dello scempio tennistico (il profilo greco di Levine o addirittura Odesnik).
Andy Roddick, impresentabile nei precedenti tornei americani, può tranquillamente tornarsene a casa al terzo turno. Dipenderà con quale piede si sveglierà Tipsarevic. In ottavi poi, uno a scelta tra Monfils (orridissimo più che mai, ma probabile), Nalbandian (senza i magici influssi della camiseta argentina, plausibile suo ritorno a invalido civile sovrappeso), o Gasquet (in libera uscita premio dalla clinica "sana la mente", convinto di dover giocare un torneo di canasta con dei lillipuziani.). Federer 50% (Baghdatis 30%, Stepanek 20%) - Roddick 50% (Monfils 30%, Tipsarevic 15% Nalbandian 5%).
Murray-Soderling. Il barone Wurdalak di Scozia può dirsi già nei quarti, polso dolente permettendo. Con l'unica incognita degli ottavi, Karlovic forse più credibile di Ferrer o Blake, oramai disperso anche come scenico esibizionista di bel tennis. Soderling, da autentico killer seriale, si troverà a dover trucidare bel tennis senza pietà: Feliciano Lopez al terzo (anche se il fotomodello iberico ha dimostrato di sapere ridicolizzare a suon di volè, il tennis "ignorante" del falegname svedese), prima degli ottavi contro Tsonga (incognita senza rimedio) o addirittura il francese Llodra, che sta rivivendo una seconda giovinezza, una volè mancina via l'altra.
Murray 70% (Karlovic 20% Ferrer 10%) - Soderling 50% (Tsonga 25% Llodra 15%, F.Lopez 10%).
Davydenko-Nadal. Fisionomia da Klaus Kinski ottuagenario ed afflizione spirituale di un operaio dell'Italsider, Nikolay rischia la brutalizzazione già al secondo turno, contro Gulbis. Il lettone, nella abbagliante forma di Delray Beach, diventa l'autentica mina vagante. Con solide velleità di semifinale, finale, vittoria, e sbarco su Marte. L'ho detta. Alternative: Troicki, il tacchino sparacchiante Berdych e ovviamente Verdasco, che ha beneficiato di qualche giorno di riposo, dopo la dissennata tournè in giro per il mondo, cui lo ha costretto Lele Mora.
Le sorti di Rafael Nadal sono sempre più indissolubilmente legate alle sue ginocchia scricchiolanti. Qualche qualificato o Mario Ancic (che fatica ad accettarlo, ma oramai ha rinunciato all'idea del tennis), fino agli ottavi contro John Isner. L'americano caracolla oscenamente a rete neanche Vlade Divac piombato di cinquanta kili e non si riesce proprio a guardare più di dieci secondi (quelli che passano tra un servizio e l'altro), ma lui o Chardy saranno test attendibili per il maiorchino.
Gulbis 40% (Verdasco 25%, Davydenko 20%, Berdych 10% Troicki 5%) - Nadal 60% (Isner 25%, Chardy 15%, Benneteau 10%).
Cilic-Djokovic.
Marin dalle sopracciglia stile Bergomi '82 e l'implorante sguardo da Carfagna in crisi mistica mentre ciancia dell'Islam incivile, dopo una infervorata e civilissima filippica contro il condom, dovrebbe entrare gradatamente nel torneo: Lacko, imberbe slovacco in crescita, poi Bellucci o Monaco, fino agli ottavi contro Ferrero. Le possibilità che Marin possa vedere il Demonio ("Crazy Dani" Koellerer) sono ridotte al lumicino.
Djokovic trova al secondo turno Berrer, rudimentale tedescone che attacca all'arma bianca o il paninaro/oste travestito da tennista, Mardy Fish. Dovesse farcela, per lui l'inquietante sagoma di Philipp Petzschner. Picasso pare pronto all'impresa. Allertato, vispo come una salamandra spennellante con l'artrosi alle meningi. Già vedo una magnifica e folle tela, dipinta sull'orrore "sciabattatamente" macchinoso di Djokovic. Il problema del tedesco svitato, è che per arrivarci al terzo turno, deve battere Christophe Rochus e poi Kohlschreiber, in un match tra talentuose piante grasse. Chi sopravviverà, trova uno tra Simon (gioca ancora?), Ljubicic (gioca ancora) o voglia il cielo Taylor Dent (che malgrado una schiena lacerata, gioca ancora, deo gratias).
Cilic 60% (Ferrero 30%, Monaco 5%, Bellucci 5%) - Djokovic 50% (Kohli, Petzschner, Ljubicic, Dent, Berrer, Simon 10%).
Italtennis. Eroica missione, con massimo (e proibitivo) obiettivo, vincere una/due partite. Fognini ha un buon viatico (forse quello della vita): Al primo turno Olivier Rochus, per poi provarci contro Monaco e Ferrero, entrambi in condizioni rabberciate. Seppi parte favorito contro Ginepri, americano che ballò una sola estate, ma può tranqullamente perderci in scioltezza. Lorenzi chiuso dal "cementaro" bagnino americano in canotta, Russell. Starace con possibilità prossime allo zero, contro il talento transalpino Chardy, a meno che quest'ultimo non s'appisoli.

domenica 7 marzo 2010

Lendl, i cinquant'anni di Ivan il terribile


Mezzo secolo da Ivan Lendl, tra record e vittorie di uno dei campioni simbolo del tennis degli anni '80.
I difficili inizi tra i mostri sacri. Alto, smilzo, introverso, col viso angolare e spigoloso che ben ne dipinge un carattere introverso e poco avvezzo ad ammiccamenti mediatici, Ivan Lendl irrompe nel circuito tennistico ad inizio anni '80. Arriva facilmente tra i primi della classifica, a suon di dritti possenti e geometrici, fondamentali che rasentano la perizia di un cecchino. Emerge in una generazioni intasata di campioni. Vince tanto Ivan, certo, ma sul più bello è frustrato nei suoi tentativi di consacrarsi nell'olimpo tennistico, col trionfo in uno slam. Ivan pare non avere la personalità e convinzione dei propri mezzi per poter abbattere simili mostri sacri. Diviene "perdente" per eccellenza. Non ha il talento naturale di McEnroe, la grinta irriducibile di Jimbo Connors, e nemmeno la forza mentale e l'esplosività nei piedi di Borg. Ma rimane lì, con costanza e meticolosità maniacale, si costruisce giorno dopo giorno. Migliorandosi in un modo che sublima la scienza balistica applicata alla cinetica dello sport. Borg si stanca e smette. Jimbo è oramai oltre la trentina. Rimane quel boccoluto yankee irascibile, che accarezza palline in modo beffardo.
La svolta di una carriera. Ivan raggiunge un'altra finale di slam nel 1984, a Parigi. Di fronte a lui, John Mcenroe. Si assiste alla più impressionante dimostrazione/lezione di serve&volley della storia, su terra battuta. Il mancino americano affonda senza pietà sui meccanici e frustrati colpi del cecoslovacco, 6-3 6-2 3-1. Quasi un'umiliazione. Ma è lì che succede qualcosa. La carriera di Ivan subisce la svolta decisiva, spazzando via l'aura da perdente, che lo circondava come un incubo. Supermac inevitabilmente cala il suo ritmo disumano, si scompone quasi incredulo e getta via il match. Ma è impeccabile Lendl nel rimanerci ancorato ed a portarselo a casa al quinto set. Una dimostrazione di grande maturità, quasi una tesi di laurea. Perché qualcosa cambia nella sua testa, si convince di poter essere il numero uno. McEnroe spegnerà mentalmente la sua fiamma, e dall'anno dopo non sarà mai più capace di primeggiare. Per chi nega quanto il tennis sia "mente", quella partita è un pezzo da consultare come un trattato di psicologia tennistica.
Record e vittorie. Inizia la seconda fase delle carriera di Ivan. A 25 anni, nel pieno della maturazione fisica e mentale, si prende uno scettro che manterrà per anni, destreggiandosi poderosamente tra le volè di Edberg, la regolarità di Wilander e l'esplosività di Becker. Arrivano le vittorie negli slam (alla fine saranno otto), i record di tornei vinti e settimane al vertice della classifica, immacolati fino all'avvento di Sampras. Oramai americano d'adozione, domina le scene, sempre uguale a se stesso, ma al passo con allenamenti minuziosamente studiati. Ben conscio che per rendere al massimo, la sua macchina ha bisogno del minimo particolare tecnico, ed allenamenti al limite del maniacale. Gran fisico, ottimo servizio, ed il dritto come colpo più incisivo, col marchio di fabbrica del dritto passante in corsa. Accigliato antipatico naturale, e senza nessuna voglia dimostrarsi quello che non è. Gelido e meccanico, un automa che difficilmente riesce ad accendere l'emozione nello spettatore. Quasi un robot programmato per vincere, senza alcuna concessione alla estemporaneità del gesto tecnico. Tra un passante al millimetro, il lento rituale del servizio, i polsini che ricoprono quasi completamente l'avambraccio, e la racchetta da cambiare ad ogni cambio palla. Il più grande esempio di tennista costruitosi con abnegazione e lavoro, antitesi evidente di quel gioso estro geniale e naturale tendente al disfacimento scellerato, che era stato John McEnroe.
L'incubo chiamato Wimbledon. In una carriera monumentale, rimane un unico, grandissimo cruccio. Non essere mai riuscito a violare i verdi prati di Wimbledon. Un'ossessione che lo seguirà fino alla fine. Ivan non ha l'elasticità, armonia dei movimenti e sensibilità di mano che servono per domare l'erba. A Wimbledon paga inevitabilmente il punto debole del suo repertorio, rappresentato dal gioco di volo. Soprattutto negli anni in cui, per vincere da quelle parti, e su un'erba ancora velocissima, non c'erano molte alternative allo schema del servizio e volè. Testardo come pochi, continua a provarci, caracollando a rete col busto rigido e stridenti movimenti meccanici. E per poco non riesce a spuntarla, fermato per due volte in finale. Prima dalla dirompente ed irriverente esplosività del giovane Becker, l'anno dopo dal fantastico erbivoro australiano Pat Cash. Raccoglie due sonore lezioni di tennis da prati, e tutt'ora la parola Wimbledon rimane il suo rimpianto maggiore.
La scomparsa delle scene. Lendl continua a giocare fino ai primi anni '90. Oramai logorato dai tanti anni di carriera, cede alle nuove generazioni e ad una schiena a pezzi. Fedele al suo personaggio schivo, rimane lontano ai riflettori. Non è mica Supermac, che seguita a furoreggiare logorroico, in ogni angolo in cui si parla di tennis. Il dualismo di personalità è lampante anche fuori dal campo. Si dedica al golf, alla famiglia ed ad una tranquilla vita da nuovo miliardario. Ma il destino beffardo, è dietro l'angolo. Dopo una carriera spesa a rendere il suo fisico una macchina invincibile, incappa in un crudele incidente, cui si stenta a credere. Una banale caduta domestica gli manda in frantumi la schiena già artritica. Stenta persino a camminare e condurre una vita normale. Lo scorso anno riappare, imbolsito e visibilmente ingrassato. Promuove la sua associazione, dichiara al mondo che un luminare sembra finalmente aver risolto i suoi problemi, che riesce persino a giocare a tennis per un'ora. Ora si prepara al ritorno sul campo dopo sedici anni, in una esibizione da giocare ad Aprile contro Mats Wilander.

Scritto per tennis.it

mercoledì 3 marzo 2010

Bagliori di Gulbis



Torna a far parlare di se, il talentuoso tennista lettone. Dalla precoce esplosione, passando per la profonda crisi del 2009. Fino al ritorno a Delray Beach, dove la scorsa settimana vince il suo primo torneo Atp
Gli inizi da predestinato. Era il 2007 quando un giovane lettone, nato nelle povere terre dell'ex provincia sovietica, iniziò a far parlare di se. Un ragazzone imberbe, dinoccolato e dai tratti vagamente michelangioleschi, che sulla rossa terra del Roland Garros, infierì con poderosa sfrontatezza su Tim Henman, attempato british alle ultime volate d'attacco. Apparve evidente quanto Ernests Gulbis possedesse le stimmate del predestinato, benchè ingabbiato in un approccio ai match ancora acerbo.
A quel flash seguirono altre dimostrazioni suadenti, intervallate dai soliti limiti e da un atteggiamento a tratti lunare. Carenze caratteriali, che vennero legate alle sue origini. Figlio di un miliardario eccentrico che soleva viaggiare con aerei privati. Ricco in un paese che poteva offrire ben poche strutture per il tennis, spedì il figlio in Germania. E sotto le sapienti mani di Niki Pilic, Ernests cresce irrompendo nel circuito. Ai primi stenti, il ritornello è lo stesso: "viziato, figlio di papà, senza fame e voglia di soffrire...". Il mondo ribolle di talenti baciati dagli dei, che dissipano tutto, cullati dall'agio. Dispersi, viziati, e svogliati. Ma Pilic, uno che nel suo palmeres di "talent scout" ha gente come Ivanisevic, Becker o Stich, continuava a raccontarne meraviglie. Il ragazzo non è uno dei tanti. Salta le inutili trafile junior, subito alla prova di fuoco dei challengers e futures. Ancora bambino con le guance paciocche, contro i pirati dei tornei minori, che con braccio ruvido e barba ispida non ti regalano nulla. E' forse stato quello il contrappasso cui il tecnico croato lo ha sottoposto, per fargli dimenticare le agiatezze e scoprire la "strada".
Spaventa Nadal a Wimbledon. Gulbis seguita ad alternare meraviglia ad amnesie estatiche. Gioca tre set maiuscoli a Wimbledon 2008, contro il Nadal nella fase più luminosa della sua carriera. Gran servizio e saette a rimbalzo di una naturalezza infinita. Dardi imprevedibili e geniali, che mettono in difficoltà il maiorchino, cui strappa l'unico set del torneo (oltre ai due di Federer in finale.). Sempre nel 2008, a Montecatini, con la sua Lettonia fa visita all'Italia. Gli bastano due prestazioni altalenanti per battere Fognini e Seppi. Anche lì con scorci di talento purissimo, ma più di due match non li può giocare. E l'Italia vince la permanenza in serie B di Davis. E non vorrei che qualche arrembante patriota irrompa, tacciandomi persino di citare la gaudiosa realtà dei fatti.
L'Annus Horribilis. Lo scorso anno sembrava quello buono. E invece il lettone sprofonda in una crisi infinita. Quasi una dispersione spirituale. Sconfitte in serie e la classifica che diviene improponibile, accostata a quel braccio benedetto. Prende a seguirlo l'argentino Gumy, ex allenatore di Safin. Uno abituato alle teste matte, grazie alla surreale palestra cui lo costrinse Marat. Arriva al vertice più basso della sua ancor giovanissima carriera. Per non farsi mancare nulla, trascorre anche qualche ora in un commissariato di Stoccolma. Quasi una delle "storie di ordinaria follia" versione lussuosa. Scoperto in flagranza di reato assieme ad una giovane escort. Ed in quei luoghi così morigerati, il mestiere più antico del mondo è ancora reato. Un episodio che aumenta l'alone di maledetto ed autolesionista talento, che circonda Gulbis.
La rinascita nel 2010. La stagione attuale sembra quella della resurrezione sportiva. Già i sentori, ed un barlume di voglia di riproporsi, si hanno in Qatar, dove si destreggia dignitosamente con Federer. Ma è nella trasferta americana, preludio ai Masters 1000 di Miami ed Indian Wells, che la rinascita si palesa in modo più convincente. A Memphis si gioca un bel quarto di finale contro Thomas Berdych. E' il solito Gulbis, incostante, quasi scocciato. Look vagamente bohemienne ed incurante, sguardi di chi del mondo che lo circonda ha un'infima impressione. Cespuglio di capelli arruffati, barbetta rossiccia e trasandata. Per lo smidollato romantico, mezzo "gattone" Mecir, mezzo Marat. Impressioni incoraggiate appena lo vedi prodursi in fiammate abbaglianti. Smorzata accarezzata con dolcezza, lob irridente al volo, ed un debordante rovescio a dipingere le linee del campo. Genialità ammaliante. Tocco e potenza naturale che fanno rivedere qualche istantanea del giovane Safin. Soprattutto nel modi di appoggiarsi al rovescio bimane, o scovare angoli pazzeschi. Il lettone alterna ancora momenti di pura gioia dirompente, a buie eclissi. Sotto 1-4, gran rovescio nascosto che non fai in tempo a veder partire e si salva dal baratro. Lo guardi in faccia e capisci in modo nitido di quanto quella partita la vincerà. Si è proprio convinto che la vuol vincere. Ed inizia una bella rimonta. Ace di seconda, servizio vincente sempre di seconda, nel tiebreak finale, a completare l'opera. Esattamente ciò che distingue un purosangue, magari pazzo, da un tennista qualsiasi. A Memphis non riesce a vincere il suo primo torneo, perché con Querrey inizia a giocare solo nel game finale. E' così, cosa vuoi farci?
Vincente a Delray. Ma l'appuntamento è solo rimandato di una settimana. A Delray Beach abbatte tutti, compreso il bombardiere Karlovic in finale. E' presto per parlare di esplosione definitiva, ma è uno squillo importante. Potrebbe non diventare mai un numero uno, semmai divenire scheggia impazzita ed imprevedibile, portatrice di virulenta bellezza intermittente. Qualcosa di simile a quel russo folle. E in un movimento troppo uguale a se stesso, sembra ossigeno.
Scritto per Tennis.it

lunedì 1 marzo 2010

Dubai, Acapulco, Delray beach. Chi sale e chi scende



Panoramica sui tornei Atp settimanali, tra Dubai, Acapulco e Delray Beach. Bene Djokovic, Ferrer e Youzhny. Si rivede Gulbis. Opachi Murray e Cilic, disastro Verdasco
Novak Djokovic: 7,5. Prestazioni in serie, che rasentano l'orrore tennistrico (Troicki, Ljubicic, Baghdatis). Urla come se gli avessero strappato due molari senza anestesia, ma resiste, col gran merito di non concepire nessun torneo come semplice allenamento. Anche perché, lasciasse per strada Dubai e co., gli rimarrebbe il challenger di Vladivostok. Prevale in una finale da tennis parrocchiale, neanche s'affrontassero il ragionier Fantozzi ed il geometra Filini: “Vadi geometra, vadi!”, “Ma prego ragioniere, vadi lei!”. Ed esulta neanche avesse completato il grande slam. Contento lui.
Misha Youzhny: 7-. Ci mette tanto del suo essere intimamente masochista nel perdere la finale di Dubai. Il magnifico sciabolatore russo, dopo quasi due anni da cassintegrato con l'esaurimento nervoso, sembra ritrovato a buoni livelli. Un anno fa, certe partite le perdeva contro Koubek. Ma fare affidamento su di lui è come sperare che Pannella diventi Presidente della Repubblica.
Ernests Gulbis: 7,5. Protagonista ritrovato, autentico puledro di razza. Delray Beach non è certo Flushing Meadows, ed anzi, a scorrerne l'albo d'oro, potrebbe anche portare una discreta rogna. Ma il bohemienne lettone ha classe da vendere, movenze e colpi che fanno rivedere qualche abbagliante fiammata del Safin che fu. Forse il più talentuoso e bello da vedere della famosa classe '88, ma anche il più inespresso. Tra i primi 15 già a giugno. Segnatevelo.
Ivo Karlovic: 7. I colleghi lo temono, gli esteti vorrebbero finirlo a feroci roncolate nelle gengive. Il buon Ivo fa il suo mestiere. Dall'alto dei due metri e rotti, spara 36 aces in 12 turni di battuta. E quando occorre, gioca pure una volè. Cosa vuoi rimproverargli? In fondo basta rispondergli in modo strepitoso, come fa Gulbis nella finale di Delray.
Jurgen Melzer: 6,5. Oramai lo si conosce. Fa terzo turno negli slam, ottavi nei Masters 1000, e quarti nei tornei “minori”. Con la semifinale di Dubai gli riesce il picco massimo, grazie al successo contro un Cilic svagato. Imprevedibile grazie a geniali (e involontarie) giocate, tremendamente prevedibile nei risultati. Di peggio, c'è poco.
Marcos Baghdatis: 6,5. Bel torneo negli Emirati per il bacherozzo cipriota giulivo e tarchiatello. Finalmente uscito dalla sindrome da “lazzaretto” che lo perseguitava. Uno di quelli che più mi divertono, “senza nulla a pretendere”.
Marin Cilic: 5,5. Smetterà con l'ignominia di aver perso una partita da Jurgen Melzer. Pagherei per vedere i sobri sermoncini di coach (!) Ivanisevic.
Janko Tipsarevic: 6. Serbo umorale ed incostante, che ne azzecca una su dieci. Fenomenale con Murray, abulico nella sconfitta patita da Youzhny. Delitto che non sia tra i primi 15, miracolo come rimanga ancora tra i primi cento. Geniale nell'essere tutto ed il contrario di tutto.
Jo Tsonga: 4,5. Perde malissimo da Ljubicic, a Dubai. Sembra stanco o malato. Sempre in bilico, tra la speranza di rivedere quel monumentale concentrato di forza e grazia di inizio 2008 e i tristi presagi di un precoce logorio fisico.
Andy Murray: 5-. Il Wurdalak di Scozia studia da numero uno. Prova schemi, risparmia energie. Ed ovviamente perde da Tipsarevic.
Nikolay Davidenko: 5-. Cristo si è fermato ad Eboli, “Nosferatu” a Melbourne.
David Ferrer: 7,5. Divertente quanto una poesia di Sandro Bondi. Ma ad Acapulco vince lui. Amen.
Juan Carlos Ferrero: 7. Manca d'un soffio il tris sudamericano, sconfitto da Ferrer in finale. Laddove conta realmente, riprenderà a fare ottavi, o quarti al massimo. Ma poco importa. Avercene in Italia.
Juan Monaco: 6,5. Commentando un match dell'argentino, Barazzutti lo battezzò gran tennista di volo. Giocò una volè in due ore e mezzo di partita, richiamato a rete dalla smorzata dell'avversario. E lì compresi molte cose sul tennis italiano. Ma rimane uno dei terraioli che si lasciano guardare (con moderazione). Ad Acapulco cede per infortunio in semifinale.
Isner/Querrey: 4. Vanno in Messico per prepararsi alla sfida di Davis sulla terra Serba, coprendosi di ridicolo. Inguardabili sul cemento. Inguardabili e perdenti sulla terra.
Nando Verdasco: 4-. Due tornei sul cemento Usa, poi la terra messicana, prima di tornare sul cemento di Miami. Neanche un “tronista” sfigato di Maria De Filippi, gestito da Lele Mora. Il risultato è che rischia il marchio a vita della sconfitta con Fognini, poi è umiliato da Juan Monaco.
Mardy Fish: 6+. Vestito di rosso sembra un pomodoro San Marzano. Sgraziato come pochi, ma persino divertente nel suo goffo e scoordinato modo di attaccare. A Delray e nei tornei dello stesso livello, può anche fare semifinale, e infatti la fa.
Richard Gasquet: 4,5. Batte Moya, in un involontario sussulto vitale. Perde da “Byron Moreno jr.” Almagro, sprecando un vantaggio di 4-0 nel terzo set. La Davis francese se lo porta dietro come non-giocatore, per fargli svagare la testa. Oramai lo trattano come lo “smemorato di Collegno”. A breve il ricovero nella casa di cura “La serenità”. A vederlo così ridotto, piange il cuore.
James Blake: 5-. Sempre piacevole da guardare, tra pirouette da soldatino e bei colpi pieni radiocomandati. Il problema è che ha già smesso da due anni, e non glielo hanno ancora detto. A vederlo così ridotto, spiace.
Carlos Moya: 4. Ectoplasma vero. Perde pure da un Gasquet sull'orlo del ricovero. A vederlo così ridotto, può anche non fregarmene nulla.
Scritto per Tennis.it

Italtennis, tra le sconfitte si rivede Romina Oprandi



Nessun successo degli italiani impegnati questa settimana nel circuito maggiore. Sottotono anche le donne, con la lieta novella Romina Oprandi
Fabio Fognini. Ad Acapulco per poco non gli riesce lo scalpo eccellente, su cui campare di rendita per un lustro buono. Raccoglie i regali di un Verdasco versione Babbo Natale, che sciorina errori gratuiti e doppi falli come grandinasse (doppia cifra a metà secondo set). Sul punto di chiudere al secondo, il ligure si disunisce dando fiducia ad un avversario oramai sotto la doccia. Solito spettacolo di isterie e strafottenza, e 6-0 finale nel terzo per l'iberico. Si rallegra la settimana, con una bella finale di doppio raggiunta assieme a Starace. Entrambi interpretano la specialità come fossero due singolari. Ed in singolo non vincono una partita nemmeno a pagarli. Giusto per ribadire il livello degli iscritti in doppio. Poi però beccano un abbagliante 6-0 6-0 in finale. Rimane il migliore e più futuribile dei nostri. Tanto per rallegrarvi la situazione.
Simone Bolelli. Entra all'ultimo momento in tabellone a Dubai. Poi perde nettamente da Jurgen Melzer. Ma non è lì il problema. Il bolognese avrebbe bisogno di giocare partite e provare riaversi mentalmente, rendendosi presente a se stesso. Lodevole il volerci provare in futuro nei tornei challenger, a partire da Marrakech per poi farsi un bel (val)tour in Marocco. Anche perché, gli sono rimasti solo quelli. Ma se Barazzutti lo schiera in Davis, rischia di perdere in quattro set da Ignatik (l'ho detta). Tanto il capitano non mi legge.
Andreas Seppi. Con la testa altrove per le vicissitudini patriottiche, incappa nella solita sconfitta “Seppiana”in quel di Dubai. Un must. Come la trecentoduesima replica della Corazzata Potemkin. Due set tirati, che arrivano al dodicesimo gioco, dove il clou del nostro emerge, orridamente prevedibile: Pavido tremolar di braccio e giunture, e Tipsarevic che porta a casa il match, semplicemente osservando. Poi il serbo batterà Murray. Quindi anche Andreas se la sarebbe giocata con lo scozzese. Se poi si pensa che Murray è attuale numero 3 al mondo, immaginare un Seppi da top ten entro settembre, non è fantascienza. (Ecco, così hanno ragionato i tecnici del tennis italiano fino ad ora.).
Potito Starace. Lento, incartapecorito, una specie di moviola terricola. Mai visto così giù il napoletano, in tanti anni di onesta carriera. Certo, il tabellone non gli da una mano, mettendogli di fronte Ferrer. Terraiolo coma lui, ma almeno due categorie superiore. Ma un po' più di resistenza ce la si poteva anche aspettare. Inanella la sesta sconfitta di fila. Sicuramente il più affidabile dei nostri, per la sfida di Davis. Tanto per rallegrarvi nuovamente.
Paolo Lorenzi. Arriva a 7 sconfitte di fila. Una più di Starace, la metà rispetto a Bolelli. Potete anche giocarvi il terno sulla ruota di Cinisello. Terra come cemento, proprio non ne azzecca una. Cede a Nieminen, gregario finnnico che gioca con la sinistra. E ci può stare. Tutto ci può stare. Che Lorenzi non sia un giocatore da Atp, ma più da challengers? Probabile. Ma nel discorso andrebbero compresi anche gli altri record man azzurri.

Filippo Volandri. Non entra d'un soffio nelle qualificazioni di Acapulco, e rimane a guardare. Anzi, emozionatissimo pare si stesse preparando mentalmente per la chiamata in Davis. Che invece, colpi di teatro dell'ultima ora a parte, non arriverà mai. Non è certo un periodo fortunato per il livornese.
Flavio Cipolla. Perde dal portoghese Machado, nel primo turno del challenger di Meknes. Avvolto nella tristezza di un fado portoghese. Poi si rifà vincendo il doppio assieme ad Andujar, confermando le impagabili soddisfazioni che la specialità ci ha dato in questa settimana. Siamo quasi diventati degli specialisti, come l'Australia degli anni '70.
Italtennis al femminile. Il periodo da tregenda del tennis italiano, sembra stia coinvolgendo anche le donne. A riposo la degente Pennetta, Schiavone e Garbin, Errani e Vinci incappano in una settimana opaca ad Acapulco
Roberta Vinci. Bravina, deliziosa e leggerina, incappa in una sconfitta inquietante, contro una certa laura Pous Tio. Spagnola che ha chiuso la stagione al numero 729, e che conosceranno a stento i suoi familiari di primo grado.
Sara Errani. Sconfitta dalla rumena Gallovits, una che tira così piano che sembra Bettina Fulco (surreale argentina ai tempi dell'indimenticata Sabatini). Poi assieme a Roberta, si rifà in doppio, raggiungendo la finale.
Romina Oprandi. Uno scorcio di arcobaleno, viene dai pianeti challenger e dallo splendido satellite di Romina. Forse perchè è mezza svizzera, ma la tortorella ferita raggiunge la seconda finale nell'ultimo mese a Bibearch. Sarà anche un 50mila dollari, ma intanto ritornerà tra le prime duecento. Non è molto, ma pur sempre un inizio per la ragazza dal cristalllino talento imprigionato in un fisico pesante e martoriato da infortuni. Con un po' di salute, sarebbe da almeno quattro anni nelle top 20. Dopo la tentazione di gettare la spugna, nelle attuali condizioni, potrebbe ritornare tra le prime 100. E somiglia ad un mezzo miracolo.
Scritto per
Tennis.it