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lunedì 27 luglio 2009

Classifica dei 10 migliori tennisti dell'ATP (Alieni Tendenzialmente Perdenti).

Mi pare giunto il momento di svelare le carte. Chiarire quali tennisti godano della mia incondizionata fiducia. Stilare una specie di classifica, a grandi linee. I raccomandati, insomma. Nessuna traccia dei più forti, men che meno di orridi arrota palle strappati alla mezzadria professionale. Una scuderia di circensi malati di mente, fatui giocolieri, alieni impassibili provenienti da galassie indolenti o uomini fragili dal sangue caldo, tacchini ruspanti e puledri da corsa, braccia d'oro e cervelli d'amianto stagnante, cigni flessuosi e papere sghembe. Siccome il post verrebbe troppo lungo, e le cose lunghe non piacciono (soprattutto agli uomini, si sa), lo spezzo in due.


6-Tommy Haas. Il tedesco ha già superato la trentina, vissuto due generazioni tennistiche, passando da chiome fluenti a code di cavallo, fino a più sobrie acconciature. Esibendo sempre il suo bellissimo tennis offensivo. Qualcuno, col volto nostalgico, rimarcherà come avesse il talento per approfittare dell'interregno anarchico tra il Sampras calante ed il Federer non ancora feroce. Avrebbe avuto i mezzi per vincere qualche slam, certo, sicuramente più carte in regola di gente come Hewitt, Ferrero, Johansson. Due elementi hanno contribuito a farlo rimanere ancorato allo stereotipo del gradevolissimo ed elegante mobilio. Infortuni in serie a lasciargli cicatrici in ricordo un fisico rattoppato, da reduce di guerra. Ma anche quando la sindrome da lazzaretto lo risparmia, ci pensano i nipotini di Freud e tutte le loro teorie svalvolate, a paralizzarlo. Ed ecco una miriade di occasioni, partite, tornei già vinti e gettati alle ortiche.
E' stato una vittima del mondo crudele, il povero Tommy. Braccio immacolato, e briose esibizioni da virgulto attaccante, gran servizi, sublime rovescio, rotazioni piatte, attacchi e pregevole gioco di rete. L'immagine del tennis completo e bellissimo, che non vince, o meglio non quanto potrebbe. Perché rimane per oltre un decennio ai vertici, nel tennis che conta, pizzica persino il secondo posto, poi s'arrende mestamente al suo destino. Vittima impotente di meningi troppo spesso atrofizzate, quando ha messo a posto il fisico scricchiolante. Lamenti e monologhi che suonano come isterie rassegnate. A 31 anni, il mese scorso, vince ad Halle e raggiunge la semifinale a Wimbledon, impartendo dotte lezioni accademiche a tutti, meno che a Federer (ovvio, mi riferivo agli umanoidi), su come si interpreta il tennis erbivoro. Rimane Tommy Haas, uno di quelli che li guardi e ti viene ancora in mente che il tennis è vivo. Che malgrado turpi golpisti dell'orrido, il bello può salire al potere. Per qualche partita, almeno. Godetevi questo rovescio, dopo un gustoso dialogo con le vocine stipate nel cervello.

7-Mikhail Youzhny. Dici braccio e pensi subito al russo dalle mascelle spaventose e prominenti, col viso rubizzo da minatore incazzato, vittima di turbe psichiche. Già, perchè il braccione di Youzhny incanta come il pifferaio che addormenta il viscido serpe. Rovescio classico, che affetta come lama di rasoio il campo, il miglior rovescio ad una mano dell'intero circuito, assieme a quello di Gasquet. Il braccio da l'immagine di una parte a se stante, completamente staccata dal resto. Ed accompagna palline deliziose, fregandosene del corpo piantato, pesante, che non si piega come dovrebbe. Solido negli altri fondamentali, discreto a rete, avrebbe tutto per stazionare stabilmente tra i primi dieci. Invece, solo fulgide e saettanti visioni, aternate a sciagurati suicidi. Evaporazioni che ti lasciano dentro un senso di impotenza ascetica. Negli ultimi due anni non ne azzecca mezza e sprofonda fuori dai primi cinquanta. L'innamorato del personaggio problematico ed inspiegabilmente misterioso, potrebbe rinvenirne l'erede di Marat Safin (malgrado sia più giovane di soli tre anni). Invece Mikhail, non ne ha il carisma e le stimmate evidenti del campione di razza. Del più popolare connazionale, rimangono la bellezza del tennis e le tantissime, proverbiali, crisi di nervi, da ospite fisso di un qualsiasi centro di igiene mentale. Vince qualche torneo, vede i primi dieci, poi si perde, vittima di un marasma cerebrale incontrollabile. E chiaramente pazzo, Mikhail, ma una pazzia calma. Apparentemente innocua, e per quello ancora più spaventosa. A vederlo pare uno strano animale. Pacioso e inoffensivo, a tratti persino indifferente. Poi esplode in modo imprevedibile, una furia compulsiva, autolesionista, come quando si spacca una racchetta in fronte, quasi niente fosse, tra l'orrore degli spettatori. Nel pieno della sua maturità anagrafica e di una immaginifica “maturità mentale”, continua nella schizoide missione masochista. Prevedibilmente getterà via quel rovescio magnifico, sprecandolo per qualche anno ancora. Se proprio non ci credete.

8-Sergiy Stakhovsky. Elegantissimo e leggiadro airone, proveniente dai cieli dell'Ucraina. Poco più che ventenne, osservai la sua grazia innata, nei tornei challenger, spesso in Italia. Alto, smilzo, una faccia a metà tra Kohlshreiber e un Cassano dal volto umano, con qualche centinaio di pulzelle sciupate in meno e la cura di topexan andata a buon fine. Si vede nitidamente, come quel ragazzo allampanato, con la racchetta ci sappia fare. Gioca bene, gran servizio, rotazioni ortodosse e leggere, fiammate classicheggianti, rovescio antico servito in tutte le salse. Avanza verso la rete, flessuoso e bello come un airone sospinto da una brezza leggero, addolcendo passanti arroventati, tramutandoli in morbide voleè. Una volta su dieci, delicatamente vincenti. Una volta su dieci, un po' Stich, un filo Edberg. Le restanti nove appare un fragile fuscello, sul quale si abbatte crudele, il vento impetuoso del maestrale. Dalla sua parte, il buon ucraino, ha l'età, e la possibilità di migliorarsi ancora. La costanza di risultati nei tornei minori, e la vittoria in Croazia, gli hanno restituito una classifica dignitosa (ora è intorno al numero 80, già molto). Dovesse riuscirci, sarà ospite gradevolissimo dei primi cinquanta, per molti anni. A rendere il tutto tremendamente difficile, un carattere docile, e la mansueta espressione da vittima sacrificale, rassegnata al peggio, coi più forti. Un assaggio sgranato.
9-Nicolas Mahut. Il francesotto è l'espressione più ossessiva e compulsiva del gioco di rete. Talebano ortodosso, di una professione oramai quasi estinta. Servizi possenti seguiti a rete, volée a gogò, piazzate, in tuffo, acrobatiche, impetuose. L'idea balzana che sorge, nel vederlo attaccarsi alla rete, è che ci vada come rifugio. Vi si ancori perché rimanendo a fondo campo sarebbe sbranato come facile ed indifesa preda. L'attacco come difesa estrema, insomma. Un matto che va alla guerra senza l'elmetto. O se preferite, la gazzella che gonfia il petto contro il leone affamato, invece di morire dopo l'inutile fuga. Ma in fondo non è importante, vederlo aggredire la rete senza sosta, sia sulla prima che sulla seconda, come un puma, elastico e aggressivo, rimane puro godimento fine a se stesso. Il francese andrebbe protetto dal wwf, come il panda, assieme gli altri due o tre che ancora schizzano in avanti dopo il servizio. Ma invece di pozioni per rinvigorire la sua mascolina capacità copulatoria, si dovrebbe levare la clava agli avversari, con palline, materiali e superfici buone per favoriscano la nobile arte del suo utopico serve&volley. Fosse nato vent'anni prima, forse sarebbe stato Tim Mayotte, erbivoro aggraziato da top 15, spauracchio dei più forti a Wimbledon, o
 Cash, per chi vuole vederci per forza qualcuno. Al limite un Kevin Curren centoquaranta volte più elegante e coordinato. Ma succede che rimane Mahut, modesto e bellissimo felino volleatore, che a 27 anni fatica ad entrare tra i primi cento, e rimanerci. Che a Wimbledon recuperi due set, e poi ceda al quinto, contro il belga meccanico Vliegen, e si arrenda a tante altre sconfitte verso osceni arrotini strappati alla mezzadria. Rimane un gran bel vedere, comunque. Magia surreale.
10-Radek Stepanek. Sarà perché traviati da quel su tennis antico, che fa tanto vintage, leggero e brioso esempio di servizio e volée. Forse per colpa di un abbigliamento che cade sulle spalle a gruccia appendi abito, o per quel ciuffetto di capelli da cliente fisso di Cesare Ragazzi. Da almeno cinque anni viene descritto come “vecchio”. Quasi fosse fuori dal tempo. Ma di anni, Radek, ne ha 31. Elegantissimo e fluettante furetto che si avventa alla rete, un balzello curioso via l'altro. Bellissimo gioco d'attacco anni '70, direttamente proporzionale a quel pasticcio ritorto, che qualche pittore malvagio pare avergli dipinto sul volto per compensare una mano dolce e tocchi morbidi. Intendiamoci, quando si parla di Stepanek, oltre alle inspiegabili doti da sciupafemmine (famose), non si fa riferimento a fatue gesta di un tennista bello, elegante e (solo) perdente. Per più di dieci anni, infatti, è stato capace di rimanere a ridosso dei primi, in quel mare infestato di squali feroci, spartitraffico tra i fortissimi, e i "normali". Gli è sempre mancato il fatidico scalino per compiere il salto di qualità. Ottimo e costante tennista, capace di vincere partite alla sua portata, e perde coi più forti. Medioman nei risultati, godurioso e brillante negli schemi e nel gioco. Eccovelo ischerzare a rete Djokovic.

Poi ci sarebbero altri, quasi pronti a fare il loro ingresso, a breve, nella mia scuderia. Potrei citare l'attaccante canadese di origine slava Dancevic, assoluto mistero buffo del tennis. Mezzi e fisico strepitosi, che fanno urlare di rabbia, perché mai ancora non sia esploso, a 25 anni. Il mancino russo-tedesco Misha Zverev, godibilissimo elefantino attaccante, ma con la stessa ferocia agonistica di un porcellino d'india arrabbiato. Dudi Sela, leggero israeliano che sfida il mondo bruto a suon di ricami. Taylor Dent e Xavier Malisse, malinconicamente nelle retrovie, ma ostinatamente belli nel tentativo di ritornare a livelli decenti, dopo aver rinunciato alla pensione di invalidi civili. Juan Martin Del Potro, bombardiere saettante argentino, con lo sguardo tagliente del buono con la faccia da duro, dei film western. Ma forse è troppo forte e solido, per far parte della scuderia di svitati. Harel Levy, attempato israeliano attaccante a occhi chiusi, Flavio Cipolla, italiano senza fisico riuscitosi a costruirsi una carriera dignitosa grazie a un divertente taglia&cuci, affetta&rattoppa, quasi fosse un piccolo (ancora di più, Santoro). Poi qualche spruzzata di Verdasco, una volée di Feliciano Lopez, la bellissima idea morta sul nascere di Gulbis, qualche dritto ignorante e teppista di “Gonzo”. Ed altri ancora ne dimentico.
Alla prossima puntata, per i fantastici primi cinque. Indico un concorso: se qualcuno riesce ad azzeccare i miei cinque preferiti, vince ricchi premi. Che non svelo adesso.

3 commenti:

  1. avendo letto qualche altro post credo i primi 5 saranno: petzschner, gasquet, federer, safin, kolshreiber. che ho vinto?. Diego

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  2. i miei cinque sono: petzschner,gasquet,safin,santoro e karlovic.

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  3. @Diego,
    Ciao, può essere. Non ti anticipo niente. Devi trepidare un altro poco. A presto.

    @Marco,
    benritrovato. Nell'ordine che hai scritto? Forse, comunque, più tardi o domani riporto i primi cinque, ciao..

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.