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giovedì 20 maggio 2010

Le sette vite di Gattone Mecir



Le quarantasei primavere di Miloslav Mecir, per tutti "Gattone". Inimitabile personaggio che ha caratterizzato il tennis di fine anni ottanta. Sinuoso prodigio entrato nell'Olimpo di questo sport, pur non avendo vinto slam.


Capita, nell'oziosa nottata insonne bagnata da un rosso infame, di vagare nell'etere ovattata. Scovare qualcosa su Proust, o una storia di tennis che faccia gridare al gaudioso miracolo. Metti che John sia tornato sul serio...e se Jimbo giocasse il Challenger di Itaparica a 57 anni? Ad un miserabile passo dalla neuro, sentenzierebbe qualche laborioso strizzacervelli con gli occhi bovinamente tronfi. Solo settimana fa, ecco che quella speranziella brilluccicante ha avuto almeno due secondi di folgorante appagamento: M.Mecir b. B.Becker 6-3 7-6. E non è un vecchio risultato del 1988 o un'esibizione tra vecchi lupi spelacchiati, con le carni laide. Lassù c'è proprio scritto anno 2010. Il fascinoso scenario mitologico è quello di Atene, terra di epiche battaglie. Sembra tutto perfetto. Il tempo di rinsavire e prendere atto che quel Becker è un tedesco d'oscuro mestiere, Benjamin, mica Boris. E Mecir...beh si, è Miloslav, ma non l'indimenticato "Gattone" ammaliatore di vent'anni fa, bensì il figliuolo di felina stirpe. Assai volenteroso tennista da futures, capace d'issarsi financo alle soglie dei primi 400 al mondo, mi dicono. Un filo avvilito, ed ormai travalicato il confine della neuro, provo a prender sonno. Nella penombra osservo quel boccolo biondo che scende brado e selvaggio, tra due occhi mezzo spaventati e poi bonariamente comprensivi. Ecco, quand'anche chi ti sta al fianco comincia a pensarla come gli assecondanti strizzacervelli, è l'inequivocabile segnale che quel limite è bell'e superato.
Un Gattone randagio, per i campi. Impegnato ad apprendere l'oscuro mistero del tennis, sul campetto improvvisato di cemento armato che costeggiava il villino rustico, si provava ad emulare i campioni. Tra le righe verniciate di un giallo ocra, le crepe ed i rimbalzi irregolari. Un dissesto di miseria simile a quello in cui si sono formate brutalmente le sorellone Williams. Ma senza la stessa lungimiranza paterna del vecchio Richard, ovvio. Chi prendeva McEnroe, i meno poetici, che ora fumano tristi sigarette col bocchino, Ivan Lendl. Io fui colpito da un tennista allampanato, quasi alieno a ciò che accadeva attorno a lui. Portava con trascuratezza una perenne barbetta rossiccia e i capelli scapigliati, naturalmente arruffati in uno spinoso groviglio di pensieri intorcinati. Miloslav Mecir, si chiamava. Nome pronunciato come un sibilo tra i denti. Un filo conduttore d'insensatezza mi pervadeva nel venerare SuperMac ed adorare Mecir. E dover imparare tabelline. Tutto si spiega, ricollegandolo all'immagine di compatimento notturno di cui sopra.
Quel cecoslovacco strano accedeva una fantasia mista a curiosità. Appariva misterioso, imperscrutabile, avvolto nel suo mondo irraggiungibile. Quasi svogliato, distratto ed assente. Preso da pensieri superiori alla suburra "racchettara". Il geniale pseudonimo che gli venne donato da Gianni Clerici, ne dipinge l'essenza come un'istantanea: "Gattone Mecir". Il randagio felino che cammina ostentando sicurezza incurante, guardandoti con una sorta di commiserazione, e d'un tratto, con imprevedibile balzo felpato, te lo ritrovi sulla palla. E quella palla la colpiva, accarezzandola in perenne anticipo. Una avanzamento ora ossessivo, ora dolce. Prodigio tale, da smarrire molti avversari. Ammansiti, condotti nel suo mondo, e poi trafitti da un radente rovescio bimane simile ad artigliata di velluto. Improvviso, mascherato e nascosto fino all'utimo istante. In Mecir, tutto era "apparenza" magica ed ingannatrice. Lento, indolente, quasi sventato. In realtà pensava a come stordire la preda.
L'imprevedibile felino, incubo dei replicanti svedesi. Solo qualche ricordo visivo, immagini sgranate di quella sagoma smilza e scapigliata, con la maglia striata come il manto di un soriano. Il tennis di Miloslav comincia a stordire avversari ed a mietere successi, nel 1985. Seguita a tagliare il campo, quasi brandendo una lama affilata che affonda nel burro. C'è di che smarrirsi di fronte a quel curioso slovacco trasandato, sornione ed imprevedibile come un Gatto. Perdere le proprie convinzioni, vedere avvilito il proprio ego da ragionieri imprestati alla racchetta, trasformati in trote d'acqua dolce.
Il ragazzo nato a Bojinice si ritaglia uno spazio importante, nell'epoca dei tanti piccoli replicanti dell'orso Borg. E sono proprio gli squadrati svedesi a patire come un tormento irridente, le variazioni del felino slovacco, sonnecchiante e letale. Effetti malingni, colpi ora molli ora tesi, palline senza peso alternate a parabole che spazzolavano angoli imprendibili. Gli sventurati non hanno certezze cui aggrapparsi e appoggiare i loro colpi. In primis Wilander, poi gli altri vichinghi. Succulente prede del Gattone che si lecca i baffi con soddisfazione. Magari dopo averli infilati con un passante in demi-volèe dalla riga di fondo, che fai fatica a credere reale. Sfruttando quelle armi prodigiose, buone per ogni superficie, arriva al numero 4 del mondo, raggiunge due finali di slam, a Flushing Meadows nel 1986 ed a Melbourne nel 1989, vince una dozzina di tornei. Mostra forse il rovescio bimane più bello della storia di questo sport, in un elegante e lacoontico groviglio di gambe e braccia, che paiono doversi annodare.
L'ingresso nell'Olimpo. A quel meraviglioso animale dalle sinuose movenze, è mancato qualcosa per la consacrazione a campione indiscusso: La vittoria di uno slam, soltanto sfiorata e accarezzata. Crudelmente limitato da un servizio debole ed inoffensivo, una rimessa in gioco simile a dileggio di se stesso, con movimento accurato per evitare altri traumi alla schiena martoriata. Già, il fisico...l'altro tormento di Miloslav. "e chissà cosa avrebbe combinato con una schiena integra ed un servizio appena decente...", è la filastrocca più ricorrente e malvagia.
Fallisce l'ingresso nell'olimpo dei vincitori di major, ma per un sottile gioco del fato, entra nell'Olimpo vero, a Seul. Tra corse disumane, muscoli debordanti e rossastri occhi venati di Ben Johnson, nell'anno in cui il tennis ritorna sport degno della fiamma d'Olimpia, spiccano le radenti pennellate del Gattone slovacco. Si sbarazza prima di Edberg, altro svedese, sebbene atipico. Poi vince la medaglia d'oro contro l'americano serve&volley Tim Mayotte. Gli eterni problemi alla spina dorsale non gli impediscono la finale in Australia nel 1989, ancora respinto da Ivan Lendl. Tribolazioni fisiche senza via d'uscita, che nel 1990 contro Edberg, calcando i verdi prati del tempio di Wimbledon, lo portano a raccogliere qualche games nella sua ultima partita ufficiale, a soli 26 anni. Torna nell'ombra, alla sua vita ed alla tranquillità della famiglia come un Gatto, ora sì, pacioso, che schiva la gente. Forse in riva ad un fiume, con l'adorata canna da pesca. Ad aspettare che una trota abbocchi. Con calma e pazienza, fino a tirarla su con una zampata fulminante.

6 commenti:

  1. Codesto post è l'epitaffio gioioso del blog.
    Data la mia indole pigra, mi scoccia assai riportarvi gli articoli scritti per il sito. E perché visite, confronti e commenti latitano come il cervello della Carfagna.
    I coraggiosi che hanno commentato in queste sedi blasfeme, possono contattarmi via mail (spesso non rispondo, altre volte mando affanculo).
    O scrivermi (nemerosissimi come i neuroni di Gasparri) su tennis.it. I miei post sono disponibili qui:
    http://tennis.it/category/in-esclusiva/il-tocco-di-picasso/
    Addio. Non vi saluto uno per uno, anche se potrei farlo tranquillamente (fino a cinque non è dispendioso).

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  2. Addio Picasso. Se hai bisogno di un laborioso strizzacervelli sai dove non trovarmi ;)
    Ti leggerò su tennis.it
    A presto!!!

    ps: anch'ella è costernata

    http://1.bp.blogspot.com/_jOlbcpYflfE/SklWItAXsGI/AAAAAAAAAEs/kD-7cgE8zpU/s320/reuters161465712906154345_big.jpg

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  3. Ciao Picasso, grazie per questo blog che mi (ci) ha permesso di conoscerti, ti seguirò come sempre su tennis.it.
    A prestissimo, ciaooo!

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  4. ciao picasso, a presto rileggerti!

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  5. Adiosmeuamigo ma ti seguiro di la....sacrificando il giusto alla poesia..
    come i suicidi simultanei della Coppia Picasso Gasquet nella 2giornata del Roland Garros

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  6. Ciao Picasso è sempre bello leggerti...

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.