.

.

venerdì 25 settembre 2009

IL RITORNO DI KIMIKO



E' l'anno dei ritorni al femminile. Kim Clijsters, passati due anni tra i pannolini, vince gli US Open. Punta nel vivo, l'infinitamente più dotata Justine Henin, ci proverà nel 2010, dopo oltre un anno a cogliere ciclamini e contare trofei vinti. Altra boccata d'ossigeno per un movimento femminile agonizzante.
Tra tante resuscitazioni, attese, volute, forzate, con nel mirino qualche par di decine di milioni per rimpinguare il mai troppo esanime conto in banca, c'è una riapparizione che mi ha illuminato, quasi commosso come un fanciullo.
Ai più, il nome dirà poco. Si chiama Kimiko Date, una ragazza nata in Giappone nel 1970. Capace di diventare una specie di eroina immortale per il suo paese. La prima donna del sol levante a raggiungere risultati d'eccellenza nel tennis. La giapponese sbalordiva. Racchiudeva caratteristiche che non potevano non farla amare. Piccola, compita nei gesti ed aggressiva nell'attitudine. I 160 centimetri delle biografie, parevano addirittura una gentile concessione. Piccina e gracile, la ricordo lottare a Wimbledon, in una semifinale giocata al calar del sole, contro l'orchessa insensibile Steffi Graf. Viso a viso, senza alcun timore.
La piccola giapponese veniva da battaglie tremende, quasi sempre vinte in rimonta. Progettava cose già anacronisteche allora, figuriamoci oggi, Kimiko. Mirabili incroci di controbalzo, poi tagliuzzava la palla e si affacciava a rete, minuscola e con lo sguardo adorabilmente minaccioso. Una leggiadra kamikaze, che trottava incurante della violenza del mondo. Lei, gracile e indifesa, tirava fuori tutto il coraggio racchiuso in quel corpicino grazioso. Si gettava, arpionava palline con braccia così corte da far tenerezza. Una bellissima volè difensiva, una vincente, e un'altra arrangiata. Ed eccola, che con passetti brevi e composti ritornava a servire dietro la linea di fondo. L'espressione del viso tirata e contrita, lo sguardo basso, come se attorno al campo esistessero solo sconfinate praterie piene di giunchiglie, e nel rettangolo una missione superiore da compiere. Un altro, l'ennesimo attacco, una goffa voleettina in difesa disperata, e quell'altra si spostava tutta sul dirittone, tramortendola con un randello di inumana violenza. Un leggiadro fringuellino impallinato col bazooka. E lei, dopo aver lanciato un gridolino di dolore, stesa in terra, si liberava in un sorriso leggero ed impotente. Coltivava l'arte dell'andare all'attacco senza elmetto, provare cose che avrebbe potuto pensare solo se madre natura le avesse dato qualche centimetro in più. Ma non se ne curava, seguitava a trottare con le gambe corte e saettanti. La sua forza stava nella testa.
La valchiria tedesca le inflisse una severa punizione nel primo set, poi, pian piano, lentamente, con proverbiale calma zen, la nostra minuta eroina del sol levante provò a venirne fuori con tenacia. Opponeva alla potenza devastante dell'avversaria, la forza del suo carattere, un gioco leggero e talvolta arrangiato, ma pieno di ammirevole volontà. Dritti incrociati, senza rotazioni, attacchi improvvisati. Quasi non conoscesse la paura o la rassegnazione all'evidenza. La vedevi al cambio campo, come un'asceta surreale. Piccoli gesti composti, ossessivamente calmi e sempre uguali. Kimiko, col coraggio dei tempi eroici, pareggiò il conto dei set, con l'ennesima rimonta nel mirino, stroncata dal buio e dalla sospensione. Il giorno dopo, ovviamente, vinse Steffi Graf.
Alla fine di quell'anno, Kimiko sparì dal circuito. Un ritiro inaspettato, a soli 26anni. Ma cosa poteva fare di più? Troppo forti le prime tre per lei, che con quel fisico da graziosa formichina, aveva comunque raggiunto le semifinali agli Australian Open, al Roland Garros, e nel tempio di Wimbledon. Solo agli Us Open, si accontentò dei quarti di finale.
Passano 13 anni, e scorgo il suo nome nel tabellone di un torneo del circuito minore. Forse solo omonimia, penso. Infatti c'è scritto Kimiko Date Krumm. Qualcuno mi spiega che Krumm, è il marito. Un pilota tedesco, dicono, abbastanza famoso, ma che solo a pronunciare il nome, mette una strana soggezione. Ma cosa ha spinto la 39enne Kimiko a rientrare? L'amore per il tennis? Sicuramente. Divertimento e desiderio di agonismo? probabile. Di certo, nessuno sponsor miliardario, ipotesi di guadagni monumentali, vittorie di slam, o wild card pretese in grandi tornei. Lei che pure era stata numero 4 al mondo. E infatti, senza inviti da star rientrante, verso la fine dello scorso anno, si dedica solo a tornei minori in patria. Vince i campionati giapponesi, si difende ancora bene.
Quest'anno prova il grande salto. Agli Australian Open esce sconfitta 8-6 al terzo, dopo quasi tre ore di battaglia, contro Kaia Kanepi, donnone estone che porta a spasso quasi un metro e novanta, ed un quintale di muscoli nascosti da ciccia bianchiccia. Poi eccola riuscire ad entrare nel tabellone di Wimbledon. E fino al 6-4 3-1, impartisce anche una garbata lezioncina alla giovane starlette Caroline Wozniacki, che ha meno della metà dei suoi anni. Improvvisamente paralizzata dai crampi, la povera Kimiko, raccoglie solo un altro game. Ma la partita la finisce, e con grande educazione orientale stringe la mano all'avversaria, cui rende venti centimetri buoni, e le sorride dolcemente. Il vecchio scriba, su sky, pare le dedichi una poesia, "tettine frementi", ma di questo ho avuto solo notizie non ufficiali (Gian Giacomo Bartezaghi), e non ho potuto sentirla. Ancora qualche torneo minore, si costruisce una classifica dignitosa, entrando tra le prime duecento al mondo.
Fallisce la qualificazione agli Us Open, ma eccola questa settimana, a Seul. Non un torneo minore stavolta, ma uno del circuito maggiore wta. Kimiko vince al primo turno agevolmente, poi al secondo, una rimonta dal sapore antico. Non l'ho ovviamente vista, ma non ci vuole tanto per capire il tennis, e la vita. Quasi tre ore per domare Kleybanova, altro esponente della fulgida e raccapricciante razza di boscaiole russe in sovrappeso. Una di quelle che va per la maggiore nel circuito, e che quest'estate aveva persino messo in fila le sorellone Williams. Immagino la piccola Kimiko investita da bordate terrificanti, e che rispedisce di la rovesci bimani dolcissimi, con candore. Grazie all'atteggiamento da riflessiva meditatrice zen ed un braccio esile, senza nerborute rotazioni. E poi viene a guadagnarsi punticini a rete, col solito spirito da indomita kamikaze. E l'imponente sagoma basculante della russa che si dispera, perchè non sa fare altro. Lei. Non c'è altra soluzione da ipotizzare. 4-6 7-6 6-3 per la nostra. Nei quarti, scopro solo ora, altra battaglia leggendaria con una top 20, stavolta non contro una tremenda picchiatrice accecata, ma con la sinuosa sagoma da gazzella di Daniela Hantuchova. E qui immagino altre ore di battaglia, con maggiore eleganza. 7-6 4-6 6-4, a favore della 39enne giapponese, dice il freddo score. Ed ora la semifinale. Ben tornata deliziosa Kimiko, con grazia leggera. E senza nulla a pretendere, come diceva quel tale.

3 commenti:

  1. post leggerissimo, anzi leggiadro. Quasi romanzato. A questo punto l'idea della Pierce di tornare in campo anche con la stampella non sembra irrealistica...
    Ciao!!!

    RispondiElimina
  2. Non lo so, avevo sentito che anche lei era pronta per il gran rientro. Oramai manca solo Martino Navratilova, che un paio di turni li passerebbe ancora..=) Ciao.

    RispondiElimina


Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.