.

.

martedì 4 agosto 2009

XAVIER MALISSE, IL BELLO INDOLENTE RIEMERGE, MISCHIATO TRA LE PLEBE



A Gramby, ridente paesino canadese che richiama ad acciaierie, agonie delle salamandre a tre occhi e tanto altro ancora, si giocava un torneo challenger. Tra giovanotti di belle speranze, eterni mestieranti americani del cemento e carneadi assoluti, ecco spuntare Xavier Malisse, il pigrone. Chi non avesse una conoscenza profonda del tennis, vedendo la foto, sarà portato al facile errore. Sarà un attore del cinema, oppure il famigerato ed attesissimo nuovo centrattacco del Milan Berlusconiano versione “tiriamo la cinghia che a natale te lo faccio il regalo”, raccattato per la strada? Mancherebbe solo lui, ma il premier volpone, pur avendo compreso che i tifosi rossoneri, per acume, non brillano più degli elettori generici, non ci ha ancora pensato.
Xavier è un belga 29enne, e sulla carta d'identità c'è scritto “tennista”. A fine luglio, la classifica lo riconosce del numero 200 (e dispari). Eppure era un predestinato del nuovo millennio. A sedici anni, in allenamento, diede filo da torcere nientemeno che a Pete Sampras. Allenatori, intenditori e cronisti, unanimi nel riconoscergli il ruolo di futuro campionissimo. “C'è un ragazzino belga tutto matto, che farà sfracelli...”, era il pissi-pissi-bao-bao. Bei colpi pieni dal fondo, gran dritto, una specie di virtuoso del rovescio bimane, con il passante di rovescio come marchio di fabbrica. A tredici anni di distanza, lo ritroviamo barcamenarsi nelle retrovie, lottare in tornei minori, adatti a chi vuole emergere o è destinato a non farlo mai. Il belga è stato uno dei tanti baciati dal talento, ma con un fisico ed un cervello fragili come friabile pasta sfoglia. E' emerso, arrivato tra i primi venti, poi crollato nel limbo dei belli e dimenticati.
"Gli amori del tennista", potrebbe intitolarsi la prima parte di un sequel cinematografico. Con quella faccia da attore di hollywood, i codini e le acconciature all'ultimo grido con tanto di cerchietto, non poteva che ricadere nella spirale delle donne strepitanti, anelanti “il suo regal pungiglione” (citazione dotta di un film che non ricordo, ma probabile c'entrino Bombolo e Cannavale). E a lui, quelle smanie non sono affato dispiaciute, donandosi con generosità. Come dargli torto, del resto. Vista l'innumerevole schiera di pulzelle impalmate e sciupate, si deve intuire che il suo sia stato un talento a tutto tondo. Tra i suoi scalpi eccellenti, anche una frequentazione famosa, con la collega italo-americana Jennifer Capriati. Leggende assai realistiche dell'epoca, ci davano lei con le gote paonazze e l'espressdione da amazzone guerriera, intenta in forsennate sedute di allenamenti monstre, pesi, palestra, tapis roulant. E lui, Xavier il pigrone indolente, disteso, la osservava, sfumacchiandosi una sigaretta. Poi Jenny lo richiamava con veemenza, invitandolo ad una seduta extra di allenamento da materasso, o a qualche scambio sul campo. Ecco, quello era l'allenamento tipo del belga. Ma Xavier Malisse è anche stato tennis puro.
Ed ecco la seconda parte del sequel, “il treno che parte e va”. Sul campo è stato uno di quelli col talento grondante che lo intuisci ed avverti sprigionarsi dal polso, per poi diffondersi nel budello delle corde. Fantasioso, imprevedibile, bellissimo da guardare. Tra una sfuriata isterica degna del promettente nipotino di John McEnroe, una minaccia al giudice di linea, e soventi crisi esistenziali paranoiche compulsive, me lo ricordo impallinare di puro godimento Tim “Timbledon” Henman agli US Open, a furia di passanti cesellati. Il treno della vita, quello che passa una volta soltanto, Xavier pazzo scocciato, lo ha avuto a Wimbledon, ideale platea per il suo brioso gioco di rasoio. Si parla dell'anno di disgrazia 2002, e il belga raggiunge la semifinale, dopo due battaglie disperate al quinto set. I suoi passanti illeggibili prevalsero sul tennis d'attacco dell'oriundo inglese (e mai amatissimo a Londra, si sa che gli inglesi adorano solo i puri figli di Albione) Greg Rusedski e poi sull'olandese Richard Krajicek, già campione sui prati londinesi qualche anno prima. Una semifinale da favorito con il battibilissimo paracarro argentino Nalbandian, con l'ipotesi di giocarsela alla pari (ma anche da favorito) in finale con Hewitt. Invece succede quello che non si può prevedere, e che i virtuosi predestinati della sconfitta si portano dietro come un macigno d'impalpabile follia masochista. Malisse recupera due set, poi si arrende al quinto. Vince l'argentino panciuto con la faccia da triglia in salamoia, il passo da bue muschiato e i capelli biondi. Ad impreziosire la sconfitta, venandola d'irrazionale, e marchiando il treno che si allontanava mestamente come un cumulo di ferraglie e rimpianti, la “tachicardia da stress”, accusata dal belga durante il match.
Seguirono altre partite, periodi tra i primi venti, molte sconfitte, altri amori, ed infortuni in sequenza, che ben dipingono la terza parte: “Lazzaro, alzati e cammina.”. Una serie impressionante, quasi quanto la stuola di leggiadri donnini che lo circondavano. Schiena, ginocchia, e polso. Soprattutto quel polso benedetto. E per uno già indolente, svogliato e pigro, gli infortuni hanno segnato (forse) la fine definitiva di una carriera. Del resto, me lo disse un alcolizzato con cui bevevo in cantina, o forse ero io stesso, talmente sbronzo da fare profondi discorsi con me stesso, mentre danzavo su inesistenti musiche gitane, per poi essere condotto fuori a braccia: “il talento è inversamente proporzionale alla capacità di allenarsi e soffrire. Se un talento naturale si allena come uno normale, diventa numero uno assoluto o non più genio. Il poeta non studia ogni giorno la Divina commedia. Heinstein mica si ripassava le tabelline”.
Si arriva poi all'ultima (per ora) puntata. “il mesto tentativo del ritorno, mischiato tra la plebe”. Sorprende un po' la sua ritrovata voglia di ritornare a buoni livelli, e soprattutto la scelta di farlo (da oramai un anno buono), giocando i tornei minori, per poi provare la proverbiale zampata nelle qualificazioni degli slam. Nessuna via di mezzo, in perfetto stile. Al Queens, sull'erba amica, passa le qualificazioni e perde al secondo turno. Le supera anche a Wimbledon, e moltissima tristezza mi ha provocato vederlo fermo sulle gambe, col volto paonazzo e stravolto di fatica, incapace di fare un punto nel quarto set, contro Rainer Schuettler (che proprio Mecir non è), dopo aver lottato i primi tre. Come uno qualunque.
Ora arriva questo successo, in finale contro Kevin Anderson, nodosa pertica sudafricana. Ha 29 anni, e giocherà qualche anno ancora, se ne ha voglia. Rientrerà tra i primi cento, probabile. Ma il treno della vita, con la palpitante tachicardia in sincrono coi folli getti della vaporiera, (forse) non passerà più.

2 commenti:

  1. anch'io fui stregato da malisse. La prima partita del belga che vidi fu proprio contro krajicek a wimbledon. 9-7 al quinto set, fu una vera battaglia. Non so perchè da lì in avanti divenne il tennista a cui avrei tenuto di più. Ma apparte quell'inizio folgorante nel 2007 con due titoli in poche settimane, il belga non mi diede più quelle emozioni che mi aveva riservato in quella partita. Mi fa piacere incontrare in rete una persona che si interessa al buon xavier visto che molti, anche che si intendono non sanno nemmeno chi è. In questo 2009 è tornato è riuscito a battere stepanek e a perdere con il modesto michael russell, ha vinto contro tommy has, ma in sud africa ha perso con Davverman. Non si smentisce mai però che peccato considerando che il tempo per risorgere ormai è finito

    RispondiElimina
  2. Ho visto anch'io le ultime "evoluzioni" di Xavier. Dalla vittoria con Stepanek, alla avvilente sconfitta con Russell. Ed anche la maratona persa con Almagro agli AO.
    Sono d'accordo sul "tempo oramai finito", al di là dell'imminente sentenza sul doping, credo non abbia più la testa per stare a certi livelli.
    Ciao.

    RispondiElimina

Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.