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venerdì 25 giugno 2010

Il tennis infinito di Mahut e Isner



WIMBLEDON 2010 - Diario di (fuori) bordo - Day 3


Quasi otto ore di partita, ed Isner ha concesso solo una palla break. La seconda gli sarà fatale, mi ripeto come un mantra interiore. Voglio convincermene. Ma non so se volerla più quella palla break. Una specie di orrendo paradosso. Io che fino ad un paio d'ore prima quel trampoliere yankee lo avrei voluto vedere come fenomeno da baraccone di un circo, al più.
L'inesplicabile sortilegio dell'equilibrio. Li avevamo lasciati bloccati dal buio, con un quinto set da giocare. Li ritroviamo il giorno dopo, Nicolas Mahut e John Isner, alle prese con una interminabile, inebriante e a tratti leggendariamente ammorbante avventura chiamata quinto set. Senza tie break, senza break. Senza nulla, ma con tutto il pathos e le emozioni che questi due magnifici "eroi per caso" riescono a regalare. L'allegro volleatore "postumo in vita" (per citare un libro dello scriba Clerici) gioiosamente vintage e che ancora osa giocare deliziose volèe ed il tremebondo battitore yankee somigliante ad un fenicottero affetto da gigantismo, continuano ad affrontarsi petto a petto, in una battaglia rusticana senza fine. Un servizio via l'altro tra l'incredula eccitazione del pubblico e della gente, che man mano ha affollato il campo numero 18, ben conscia che lì dentro si stesse scrivendo qualcosa di straordinario ed irripetibile.
Due tennisti di medio livello, un magnifico attaccante classico se ancora ce ne è uno in questo barbaro mondo, ed una pertica che oltrepassa i due metri e spara ace a grappoli, in un giorno riescono a stabilire record che rimarranno imbattutti per decenni: ace (per entrambi), game, punti, durata e chissà quanti ancora. Ma oltre ai numeri, a dipingere la straordinarieietà epica di questo match è l'atmosfera che si respira. Qualcosa che riesci a cogliere nitidamente già dall'inizio. Un sottilissimo filo d'equilibrio elettrizzante che non riesce e non può interrompersi, come per inesplicabile sortilegio che ti tiene calamitato a non perdere nemmeno un quindici.
Nicolas&John, diversi ma legati ed inscindibili. Isner dall'alto dei suoi due metri e rotti centimetri è forse il più tremebondo battitore del circuito assieme all'altro gigante Karlovic. Ma Nicolas Mahut sembra quasi aver accettato quella sfida, come combattente spavaldo. Tra i due, è lui il tennista. Quello che nei rari punti giocabili riesce ad esprimere un tennis brioso, divertente, antico. Eleganti saette classicheggianti, gran balzi da felino, volèe abbrancate sotto rete da elegante coguaro, elastico e felpato. E' iper eccitato, motivato a mille, il buon Nicolas, da anni autentico Don Chisciotte della racchetta. Lui e quel serve&volley obsoleto, che non paga in termini di vittorie, ma manda in estasi lo spettatore. Quello che qualcuno storce il muso se lo comprendi di diritto tra i primi dieci della tua personale classifica di irrinunciabili beniamini. E questo match non vuole proprio perderlo. L'altro è un autentico strazio mortifero. Un paracarro che si aziona con lentezza esorbitante. Quando non ottiene il punto con la battuta portentosa caracolla a rete con la stessa suadente grazia di uno stambecco gigante artritico. Ma la battuta proprio non si riesce a capire come possa riuscire a perderla. Nicolas salva con coraggio due match point sul 32-33. E nessuno ancor sa che si è solo all'inizio di questa pazza, inimmaginabile giornata sui campi di Wimbledon.Brutali ace e ricami. I due proseguono. Il francese seguita nel suo stato di trance agonistica. Un lottatore elegante e strordente nella bellezza dei gesti tecnici. Ma l'altro non ha alcuna intenzione di mollare la presa.
Da un lato 80 ace, dall'altro solo 65. E' qualcosa che sta davvero sconfinando nella tragicommedia. Entusiasmo e avvilimento si mesciano sinistramente. Non si capisce se maledire l'obsoleta regola che impedisce il tiebreak finale sui sacri campi, o benedirla nei secoli. Anelare il ritorno ai ruderi in legno o accettare entusiasticamente i nuovi materiali. Voler finire l'americano gigante a randellate nelle gengive o volergli persino un pò bene. Un picco di crudeltà insensata, una crudeltà gratuita, perché fa il suo onesto mestiere John. Dall'alto del suo grattacielo serve in modo mostruoso, e quando c'è da toccare la palla lo fa anche discretamente bene. Ma Nicolas è Nicolas, più va aventi il match e più zompetta eletrico e saettante con quei capelli tipici di chi è stato investito da una violenta tramontana. Isner è invece sempre più lento, una moviola insostenibile. Ma a perdere il servizio proprio non ci pensa.
Il match va avanti inesorabile, passano le ore, il punteggio assume connotati da fantascienza e i servizi calano un filo d'intensità. Si riesce a vedere qualche scambio in più. Ecco addirittura un lungo duello fatto di una dozzina di rovesci, quasi tutti in back. Un'ulteriore presa in giro ad opera di quei due mascalzoni. Che ci stiano prendendo in giro? Anche nello scambio, l'equilibrio è spaventoso. Ora Mahut che chiude con una saetta fulminante in controbalzo, con una smorzata o una volèe civettuola, poco dopo Isner tira una bordata di dritto da fermo, fa due tragicamente sgraziati passi d'elefante verso la rete, e chiude il punto.
Oltre la stanchezza, oltre tutto il razionalmente concepibile. Isner finalmente concede due palle break ma è vana illusione. Continuerebbero all'infinito, giorni, settimane, mesi. La partita si potrebbe concludere per sfinimento o per morte cerebrale di uno dei due. Seguitano a darsele di santa ragione, senza che nessuno vada al tappeto. Picchiano duro solo al servizio poi, stremati, esibiscono un tennis più lento, quasi vecchio di trent'anni. A beneficiare dell'avanzare atrocemente interminabile della partita da guinnes è Mahut. La stanchezza favorisce la sua maggior capacità di generare tennis, oltre a ridurre le distanze al servizio a livelli impensabili (alla fine l'incredibile score degli ace reciterà: 95-98). E' il momento di chiudere, mi dico. Ora o mai più magico Nicolas! Vola! Vola! O forse non farlo, perché è comunque stupendo che questa giostra folle prosegua all'infinito. Sto diventando pazzo, o forse già lo ero. Aristotile, il mio gatto, deve avere la soluzione. Isner infatti è stremato, ha l'espressione da pugile suonato da almeno quattro ore, quasi debba stramazzare da un momento all'altro. A vederlo camminare sempre più versione moviola di "Jurassic park", sembra stia vedendo sul nastro la sagoma baffuta di Santa Faustina che sorridendo amabilmente gli preannuncia di essere incinto dello spirito santo, stanco di vederlo deambulare per il campo. Il linguaggio del suo corpo strilla "pietà!". Ma il servizio proprio non vuole cederlo, per lasciare campo al magnifico transalpino.
Domani è un altro giorno, forse. Provo a fare qualche congettura, tornando malvagio: Bisognerebbe impedire a quel goffo tizio americano di calcare un campo da tennis? Imporgli come sport il basket? Segargli le gambe? Mandarlo a fare l'uomo sandwich come sponsor degli hot-dog a Disneyworld? Farlo battere un metro più indietro in proporzione alla sua altezza? Abbatterlo violentemente? Consegnarlo ad un circo come fenomeno da baraccone? Poi torno in me. Per una volta, bisogna ringraziarlo. John il gigante con la faccia da liceale, l'accecante transalpino e la magia dell'erba sono riusciti a ragalarci emozioni a grappoli. E non è mica finita, perché non sono bastati due giorni a darci un vincitore. Semmai possa esserci. Intanto domani i due riprendino dal 59-59, forse fino al calar del sole.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.