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giovedì 16 luglio 2009

Coppa Davis, il miracolo scontato di Israele. Far ridere scrivendo di tennis o risultare pateticamente ridicoli pretendendo di essere seri?



Accade sovente, che il vostro commentatore allucinato non possa seguire alcuni tornei, a causa di quisquilie improvvise, come il lavoro (con molta moderazione, però) o qualche sbronza premeditata. E allora non rimane che informarsi, trovare spezzoni, leggere articoli di chi ha visto. Non sempre ci si imbatte nella puntuale disamina di Rino Tommasi, o nell'epopea narrativa fascinosa di un Gianni Clerici. Spesso si incappa in obbrobriose banalità, talmente insignificanti nella loro ecumenica ovvietà, da far credere due cose: O la partita non l'hanno vista e scrivano frescacce a vanvera, o invece che del tennis siano più portati a raccontare dei campionati italiani di origami o rubamazzetto. Il più delle volte propendo per la terza via: che siano soltanto dei miserrimi e pavidi zerbini di un regime inesistente. Ma come, anche il tennis avvolto dalle spire del “non poter scrivere tutta la verità”? Mi salta alla mente una frase assai significativa: “Picasso, scrivi veramente bene, complimenti per il tuo stile. Ma pubblicarti significherebbe beccarsi tre o quattro querele al giorno. Dovresti attenerti alle nostre direttive, ne sei capace?.”. “Ok grazie, fammi sapere, per ora preferisco scrivere nel mio blog, letto dal mio gatto certosino.”. Spesso un pagliaccio volontario, che scrive di tennis solo per far ridere se stesso, senza nessuna pretesa, ne capisce più di una dozzina di pagliaccetti seriosi, che riescono solo nell'intento di far ridere (involontariamente), elucubrando sciocchezze assai patetiche. Bando alla modestia. Eppure mi sorprendo ancora, la parola "direttiva" risuona nelle meningi, con un eco mostruoso. Menzogna professionale ed ecumenica che cozza contro la disordinata e dissacrante esposizone della realtà. Possibile accada anche per il tennis? Soprattutto quando si tratta di italtennis, il commento di una partita è trasfomato in burattinata di regime, quanto una volgare faccenda politico-monarchica.
Ma veniamo al fatto stringente. Poco meno di una settimana fa, quarto di finale di coppa Davis, Israele-Russia. Russi strafavoriti, tutti i gran soloni dalla bocca buona e dalla penna spezzata, concordi. E gà questo mi suonava fuori dalla realtà. Gli Israeliani giocavano in casa, in una bolgia che avrebbe fatto rizzare i peli pubici a Dante. Schieravano Dudi Sela in forma smagliante, bellissimo tennista tascabile da primi 50, e fresco artefice di un ottavo di finale a Wimbledon. Poi Harel Levy (nella foto), 31enne ex top 40, adesso sceso oltre la duecentesima posizione, limitandosi a giocare nei tornei minori e (scientemente) la Coppa Davis, ma che al tennis (e che tennis) ci sa ancora giocare. In doppio potevano contare sulla coppia Erlich-Ram, da anni competitiva ai massimi livelli. I russi arrivano in terra israeliana con Igor Andreev, roccioso e costante arrotatore, vulnerabile sul veloce parquet preparato dagli israeliani. Mikhail Youzhny e Marat Safin, bracci divini, che in due oramai fanno mezzo cervello da tennis, e palesemente divenuti casi clinici, la cui imprevedibilità si è trasformata in più rassicurante e scontato pronostico di sconfitta assicurata. Doppio da inventare, nel tipico accoppiamento “ne mettiamo due a caso”. Un insipiente arrotino non avvezzo al veloce, grandi semi ex alla deriva della pazzia e senza doppio, contro un ottimo Sela, un volontario semi-ex buon giocatore, Levy, un doppio affidabile, ed il tifo indemoniato. Tanto basta, ai soliti insipienti, per dichiarare comunque i russi favoriti. Una tranquilla passeggiata nell'inferno, senza l'elmetto. Se il tennis fosse fatto di ricordi, anche Panatta, Zugarelli e Bertolucci sarebbero partiti favoriti. Questo però hanno evitato di scriverlo, pareva troppo ruffiano.
L'allenatore-santone russo, fermo ed inespressivo come una sfinge centoventiseienne, opta per la squadra più sicura. Piazza Andreev e preferisce Youzhny ad un Marat versione vacanziera da ultimo giorno di scuola, con tanto camicetta hawaiana e propositi di nottate danzerecce bagnate di vodka. Non condivido la scelta, ma tanto è. Se proprio si doveva scegliere tra due casi da psicopatologia tennistica, tanto valeva optare per quello che è stato numero uno al mondo, che ha vinto due slam, che se gli si accende la molla, un incontro (almeno) lo porta a casa con una gamba sola. Al limite, se quella possibilità su mille fallisse, renderebbe più scenica la sconfitta. Ed i russi dovevano rimanere legati al “se” per sperare.
Accade che quello più sicuro e costante, Andreev, venga letteralmente ridicolizzato dal gioco offensivo del semi-ex (ripeto, volontario) Harel Levy, autore di una prestazione da vero esaltato virgulto della racchetta, e che Youzhny rischi il cappotto contro Dudi Sela. Il pazzoide dal rovescio incantatore e l'espressione da ospite fisso di un centro di igiene mentale, vince il primo set, poi raccatta tre games nel resto del match. Ma questa volta è in versione rassegnata, non si spacca nemmeno la racchetta sul viso, continuando a giocare sanguinante, come nel must della sua carriera. Vince l'altro rovescio fatato, quello di Dudi Sela, quasi senza sudare. Qualcuno inizia a comprendere come la Russia non è che sia poi così favorita.
Nel cattino infuocato, il giorno dopo, è di scena il doppio. I collaudati Erlich-Ram, opposti a Marat Safin ed un pupazzetto a scelta (Kunitsyn). Il gigante russo non è mai stato un gran doppista, ora che non è (quasi) più un giocatore, cosa vuoi cavarne fuori? Il santone pare davvero aver cannato alla grande le scelte, ammesso sia ancora vivo e non lo abbiano imbalsamato nel 1983. Malgrado questo, Marat riesce nell'impresa di trasformare tutto in mitologico dramma greco. 6-3 6-4 5-3 Israele, ad un soffio dalla semifinale. Bastano un paio di risposte in rovescio del cavallo pazzo, per riaprire la partita. Una specie di miracolo in un palazzetto pieno di gente indemoniata e chiassosa al limite dell'umano. Gioca solo Marat, è evidente, gli altri tre diventano marionette insignificanti. I russi vincono il terzo al tiebreak, poi il quarto. Nel quinto sprecano un sacco di occasioni per chiudere il match e riaprire le sorti dell'intero confronto. E puntualmente, finisce per vincere Israele. Perfetto Marat-style, anche in doppio. 4-1 finale, con l'infortunio a Sela che da il punticino ininfuente all'ipotetico squadrone russo.
Ma non è mica finita qui. Si può anche sbagliare un pronostico, i pronostici sono fatti per essere sbagliati, del resto. Ma l'angoscia verso l'assoluta incompetenza, raggiunge il limite quando leggo una simile gemma, a commento del risultato, ficcandoci dentro il solito patriottismo italico:
“Il modestissimo Levy, batte nettamente Andreev. Questo deve far riflettere Seppi, sconfitto dal russo a Wimbledon. Era un match ampiamente alla portata dell'azzurro. Peccato.”. (Quando scrivono di Italtennis, è facilissimo ricadere in espressioni tipo: “Se...”, “peccato...” “grande occasione...”, “match alla portata...”, “l'altro non aveva il talento del nostro...”, “Sarà per l'anno prossimo...”, “deve maturare ancora...”, “vediamo anche le cose buone, non bisogna essere disfattisti...”. E tante altre, da far accapponare la pelle, e rimpiangere l'obiettività dei filmati anni 30 dell'istituto luce.).
Ora, per spiegare una simile frase, rischio di fare le figura di quello che ha scoperto l'ebollizione dell'acqua calda. Non ci vuole un genio del male a capire come Levy sia un attempato (neanche tanto) giocatore, ma con un bel passato recentissimo. Contro Andreev ha giocato un tennis pazzesco, al limite delle sue possibilità. Attacchi forzati e forsennati, servizi e voleè, rovesci incrociati e lungolinea vincenti. Un tennis da pazzi, che può riuscire o meno, ma se riesce, sono cazzi per tutti o quasi. Ma in quella maniera, devi anche saperci giocare. Seppi, con tutto il bene che gli si può volere, non sarebbe mai capace di interpretare quel tennis arrischiato. Il suo ti-tic-ti-toc anestetizzato al cloroformio non è incline a variazioni brillanti, che ingarbuglino le idee all'avversario. Proprio non ci riesce. Il braccio non è un orpello così insignificante nel tennis. Levy contro Andreev è stato tatticamente perfetto. Seppi no. Levy, ha costantemente evitato che il russo potesse spostarsi tutto a sinistra per far esplodere il suo terrificante arrotone di dritto. Seppi, da quel poco che vidi, continuò a tirare morbidi rovesci incrociati-ma non troppo, esponendosi al carnefice. Levy ha una buona mano per mettere in atto le tattiche. Seppi, no. Perchè francamente, non credo sia allenato da Aleandro Baldi. La tattica bisogna anche saperla mettere in pratica, altrimenti anche io batterei costantemente Nadal, versione 2008 sulla terra. Semplicemente, il nostro, a Wimbledon non ci riusciva. Perchè così lo hanno costruito. E' un ragazzo costante, ed encomiabile, ma senza possibilità di variare il canovaccio. E certe partite, con quelli che giocano al suo stesso modo (ma ad un livello superiore), le perdi 99 volte su 100. Sicuramente ci sarà qualcuno che obietterà, con l'espressione subnormale: “Ma Seppi nel 2008, lasciò le briciole a Levy”. Per chi considera il tennis una specie di grande tabellone matematico, con proprietà transitive annesse, consiglio di continuare la lettura dell'articolo sopra citato. Pubblicato dall'istituto luce dell'italtennis.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.