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giovedì 3 febbraio 2022

VAMOS RAFA NADAL. ELOGIO DELL'ARRAPATOMANE SADOMASO

(Scusandomi in anticipo con i vecchi lettori - ne sarà rimasto qualcuno o siete tutti morti? - per le divagazioni e la lungaggine terrificante di questo quasi romanzo testamentario)


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Ho quarantatre anni e il dono di non ricordare ormai quasi più nulla. Talvolta di notte urlo "l'orrooooreeee!" come Boris Yelnikoff, addormentandimi col terrore di morire senza aver visto qualcosa di epocale. Un quadro che sfugge abilmente al disegno di un pennello incerto, nuvolaglia rossastra che come vascello suicida si staglia sui ghiacciai magicamente dissolti di Capo Horn prima che un subumano maniaco sessuale riesca a postarne lo scatto su Instagram. O gabbiani storditi volteggiare nel violento libeccio, lasciandosi trasportare come velieri inermi, prima di gettarsi in picchiata su un fetido mucchio d'immondizia. E poi le stelle, l'amore. "Non eri tu che volevi tatuarti 'se inizierò a parlare di amore e stelle, vi prego: abbattetemi'?" sento squillare dalle serre. E che ne so. Sai, non ricordo. Per espiare la colpa, guardo Mentana. È da
326 ore in diretta tv attorniato da un manipolo di sventurati figuranti con occhi cerchiati che paiono usciti da un centro di recupero per onanisti compulsivi con degenerate devianze autoflagellanti. E parlano tutti concitati, ridono di nulla con espressioni assenti, dissertano del niente che avvolge una frivolezza da poco come l'elezione del Presidente della Repubblica italiana. Si lanciano in mirabilie elucubranti con la stessa enfasi di una nomination al GF tra Pappalardo e Pasquale Laricchia. D'un tratto la chiamata perentoria del capocomico Grillo che ordina al servile conducente di riferire cose. Quello, tutto elettrizzato e sbavante, le riporta ossequioso all'inebetito spettatore. L'entusiasmo straripa. Gonfiano il petto appena, sul calar delle tenebre, arriva la zampata dei tre fuoriclasse aspiranti golpisti da scollacciata commediola sexy in salsa italico moscovita (Il trucido da osteria, l'avvocaticchio pettineuse pour Femme over 50 - Scanzi, Bersani&Travaglio -, e la piccola Chucky balilla daha Ggarbatellah): Belloni Mazzanti Viendalmare Presidenta! Ed è tutto un fiorire di "Ah ma che bella scelta...un profilo altissimo...eh, una donna al Colle...che bello-che bello-che svolta! E soprattutto una donna! Ma mica per seguire un genere tanto di moda (?!)...il capo dei servizi segreti Presidente! Non solo, presidentA! Era-ora! Mattarella bis invece sarebbe una dittatura, lasciatemelo dire...". Celebrano l'audace colpo dei soliti idioti come uno strabiliante passo avanti per l'Italia. Dritti nel burrone. Evviva. Bisogna solo sperare che l'Italia e l'Europa siano salvate da un quasi novantenne ex despota puttaniere ricoverato al San Raffaele, dal ministro bibitaro (solo perché terrorizzato all'idea di dover traslocare dalla Farnesina e tornare a vendere 7up al San Paolo) e dal rompicazzo di Rignano coi genitori in galera con l'imputazione penalmente più grave di tutte: aver messo al mondo uno che (ognissantissimavolta) mette i bastoni tra le ruote ai cretini. E li fa schiumare rabbia. Tutti: politici, giornalisti, fuochisti, carpentieri.

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Temo d'essermi allontanato inesorabilmente dalle pur nobili intenzioni che mi hanno portato a scrivere questa roba qui. Ma quella vocina insiste: "Adesso speri nel nano di Arcore padre della patria? dopo tutto quello che gli hai detto?". Resto basito. Non ricordo di aver mai imputato a Silvio scelte politiche scellerate. L'unica che mi sovviene, aver venduto Shevchenko, è ormai acqua passata. Ma, lo sapete, e sono pronto a portare le carte ad un ipotetico processo di Norimberga, ho sempre quarantatrè anni e godo del Dono: non ricordo quasi nulla. Ma anche ricordassi qualcosa, siccome solo gli stupidi non cambiano idea, essendo io di trecentosei volte più intelligente di Gesù (lo ripeteva sempre il mio amico Mimino il pazzo, morto in manicomio), faccio il cazzo che mi pare. Mentre il ragù borbotta svogliato all'ora di pranzo di una domenica qualsiasi, mi ritrovo a tifare per l'immenso, intramontabile, Rafa Nadal. Solo echi scomposti della mia (non ancora rassegnata) compagna, a ricordarmeli: ma non lo detestavi? E l'arrotino? L'antitennis? Il forse chi-lo sa-mah-dopato di Manacor? "Zitta donna, e vai a preparare il pranzo in cucina", le dico mentre in mutande (talvolta levandole e roteandole al cielo per emulare le esultanti braccia nerborute dell'idolo iberico) mi trovo a tifare per il gladiatore dai bicipiti gonfi di gloria. Via, sciò, altro che presidentA della Repubblica, in cucina dovete stare - le dico, sempre più in preda a raptus di "misoginia istituzionale" -. Lei scuote la testa, armeggia col telefono, forse chiama il medico per riferirgli l'aggravamento improvviso delle mie condizioni: "Prima il nano di Arcore, adesso pure Nadal...che faccio? Sarà mica colpa della terza dose? Ho paura...". Ma Rafa è lì, si smutanda sbuffante, frenetico e inquieto come nei tempi di gloria, milioni di bulbi piliferi fa. Preda di mille tic vibranti, sembra però non trovare via di uscita contro Daniil Medvedev, di dieci anni tondi più giovane. Perso il secondo in modo rocambolesco, tutto sembra perso: il russo spiritato spara bordate più ignoranti dell'Azzolina, volando verso un altro scalpo formidabile. Come dimenticare l'esecuzione di Novak Djokovic nell'ululante New York che sognava il grande Slam? Una devastazione senza pietà che gli ha fatto guadagnare un posto nel mio cuore d'inguaribile romantico. Il pubblico di Melbourne, forse vinto dal mio stesso morbo delirante da terza dose, spinge il toro ferito all'ultimo sforzo. E Rafito accoglie l'invito salvandosi dal baratro dello 0-40 sul 2-3 nel terzo set. Lo vogliono morto? Strillo, preoccupato. Cioè, sono davvero dei fottuti sadici nazisti questi aussie. Vogliono morto Medvedev, ma vogliono una cruenta fine anche per Nadal, perché, diciamocelo, solo spirando in campo il nostro eroe senza macchia potrà arrivare al quinto set. Ragliano contro Medvedev in modo sguaiato. Urla, buuu, fischi, pernacchie e ogni sorta di belluino dissenso. Al confronto i ritmati "de-vi mo-ri-re" del Foro agli avversari degli italiani, vincerebbero il premio fair play. Una cosa mai vista, indegna. Cosa avrà fatto di male l'allampanato ragazzo russo per meritarsi l'esplodere di tanta rabbia repressa? Sta demolendo a suon di bestiali roncole ciò che resta di una generazione irripetibile. Certo, ha un carattere complesso, sembra pazzo autentico, un giovinastro di una maleducazione scollacciata. Talmente antipatico che non si può non adorare alla follia. Un fuscello di due metri che a vederlo per strada temi venga spazzato via da un lieve brezza primaverile, ma che sul rettangolo scocca bordate spaventose, fiammeggianti missili dritto per dritto che bucano il campo. Sempre con quello sguardo un po' così da serial killer mancato su un volto da romanzo russo ottocentesco, coi capelli radi e non volto emaciato sotto una barbetta caprina. Bomba su bomba, alla faccia del pubblico, si trova due set avanti. Contro un avversarsio che va per i trentasei anni, stordito e alle corde, pecca d'ingenuità. È un gattone gigione che giochicchia col topo tramortito, beandosi della splendida cattura. Pensa di aver già vinto. Inizia a insultare (a pienissima ragione) il pubblico insultante, talmente squallido da infastidire lo stesso Nadal. Inevitabilmente si distrae, mentre l'altro col testone basso non ne vuole sapere di bandiere bianche: arpiona pallate fumanti, contrattacca, ci crede, disposto al martirio, alla tumulazione in campo piuttosto che arrendersi. È fatto così, il diavolaccio, ed è per questo che lo adoro da sempre. Come? Ah, ho sempre 43 anni e il dono...Prendo una pillola a caso. Il match non è straordinario, ma avvincente per il contrasto generazionale, di stili, caratteri. E poi c'è nell'aria un'elettrica atmosfera da leggenda, sia che allo spagnolo riesca l'impresa, sia che si arrenda alla maniera degli impavidi eroi. Rafa arpiona il terzo set e vola anche nel quarto, mentre l'altro va in tilt, discute con pubblico, arbitro, i fantasmi di se stesso imploranti un tso.


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Una neomelodica vocina nel cervello mi ripete, demenziale: va bene amico mio, impresa o no, resterebbe una vittoria zoppa, senza il numero uno in gara. Se solo la Gestapo australiana non l'avesse fatto prigioniero e respinto, Djokovic questi due se li sarebbe mangiati a colazione (vegana). Senza voler entrare più di tanto nella penosa vicenda (sub)umana, vale la banale ma sempre verde teoria del "chi è assente ha sempre torto". Specie se sei assente non per infortunio, ma per tua volontà. Una libera scelta di non vaccinarsi. Demenziale, ma sempre libera. E, soprattutto e peggio di tutto, aver provato ad aggirare l'obbligo inanellando una caterva di bugie che manco John Belushi in The Blues Brothers. Il resto, l'essersi reso messianica fonte d'ispirazione del manipolo di imbecilli no-vax, il teatrino dei genitori con lumini, foto e altarini del figlio simil prigioniero politico dell'Isis, rientrano nel quadro umano dei personaggio, su cui i molti estastimatori della sua grondante simpatia forse avranno aperto gli occhi.
Tornando alle vicende sportive, difficile stabilire dove inizino le colpe del russo per non aver matato il toro, o i meriti del toro che non si fa ammazzare nemmeno con due pugnalate al cuore, ma si assiste ad un altro match. Dio solo sa dove trovi le energie dopo oltre quattro ore di battaglia cruenta, ma Nadal vola anche nel quarto set e porta la finale al quinto. Tutto riaperto, un incrocio affascinante, emozionante per tutti i suoi risvolti tecnici, umani e psicologici. Dopo trent'anni di tennis visto e giocato (male), lo capirebbero anche i muri: per vincere occorre essere completamente idioti o straordinariamente intelligenti. E quei due, laffuori, che tra agli strepiti scomposti del pubblico si stanno scannando, ne sono l'emblema lampante. Uno non ha nulla nel cranio a forma d'uovo, al limite una scorza di lupino restata lì a fluttuare tra i neuroni che danzano sincopati. Tira una seconda più forte della prima sul break point che vale la partita, o sul set point, meglio ancora se lo fa sul match point. L'altro, stante una resistenza fisica umanamente inspiegabile, ha un cuore di agonista che peserà quei sei/sette chili e intelligenza superiore. Lo vedi ancora più chiaramente a inizio del quinto. Ha progressivamente cambiato modo di giocare. Capito che il suo fisico non può più sopportare i tremendi sforzi arrotomani difensivi del Rafa che fu, si è reinventato tuttocampista. Attacca, spinge, si avventa a rete, accorcia gli scambi. E lo fa anche bene. Certo non sarà Edberg, ma a volte a rete basta mettere la racchetta, arrivarci col giusto tempismo. Il resto, i gesti bianchi, le pennellate volleanti, scordatevele. Restano onanistico feticcio di dannunziani falliti senza costole (una me la sono tolta lo scorso anno, senza anestesia).
Vincerà il giovin bombarolo dall'intelligenza tennistica di un lombrico, o l'attempato seminvalido, trasformatosi da arrotinarrapatomane in prode tuttocampista?


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Ah quasi dimenticavo il finale del tragicomico tentativo di golpe italomoscovita. Fallito nella notte, anche perché quei tre non sarebbero buoni nemmeno a rovesciare il consiglio comunale di Zagarolo. Alla maratona Mentana l'eccitazione ha lasciato il campo a una sonnolenta, mesta, rassegnazione da hangover. Fanno le pagelle: non si può dare la sufficienza a Salvini, bisogna dirlo (!), eh, hm, bah, forse qualcosa ha sbagliato anche Conte, eh. Ha vinto Letta che però ancora si fida di Conte e (questo lo aggiungo io) messo in campo la solita strategia vincente del PD: la mucca che guarda il treno che si sta schiantando sperando che qualche pazzo lo salvi.
Sulla Rod Laver Arena invece, un vamos via l'altro (mai banali, eh) Rafa balza in testa nel quinto, mentre Danil seguita la sua personale battaglia contro tutto e tutti. Se la prende anche col massaggiatore reo di non massaggiargli bene le cosce dolenti. Che spettacolo. Perché sì, nel quinto set quello provato è il venticinquenne, mentre lo spagnolo dieci anni più vecchio salta come un grillo artritico e rotea i pugni al cielo. È un caso da studiare, mistero della natura, questo eroe venuto fuori da un trattato medico sulle battaglie dell'antica Grecia. Rafa sistema con cura le bottigliette, è stravolto anche lui. Ma da questo lui trova linfa vitale. Dimostra cinquant'anni. Il volto quasi livido, tumefatto, come Marvin "The Marvelous" Hagler alla dodicesima ripresa contro la bestia Mugabi. Ha perso quasi tutti i capelli, cerotti ovunque a ricordarci ferite passate e recenti. Un fisico strepitoso che negli anni, pur di arginare il Dio Immacolato e Celeste Federer e il geco serbo, lo ha spinto a lesionarsi tendini e lacerarsi muscoli. L'ultimo, l'anno scorso sembrava aver detto la parola fine. Ora si gioca il quinto set della finale degli Australian Open, mulinellando colpi a testa bassa, escogitando nuove soluzioni. Alzi la mano chi pensava che potesse continuare a pieni giri dopo i trent'anni. Invece è ancora lì a scarnificarsi quel che resta, a quasi trentasei, pur di agguantare quel fatidico Major ventuno da goat temporaneo. Guardando il quinto set appollaiato in balcone col gatto sulle gambe, provo a spiegarmi l'inspiegabile ed ho il lampo:  è come quegli artisti pazzi avanguardisti che, per aprire la mente a nuove mirabolanti percezioni, si facevano piantare un chiodo incandescente nello scroto. Anzi no, lui non è cosa da squilibrati  artisti fatti di lsd: Rafael Nadal da Manacor è un arrapatomane sodomasochista. Sì eccitta soffrendo. Più i muscoli gli fanno male, più si arrapa e arrota un maglio arroventato. Più forte è il dolore, maggiore il godimento. Spara un dritto vincente e urla di piacere in preda all'orgasmo. Al cambio campo, mentre si appresta a servire per il match, temo possa gettarsi addosso della cera incandescente ululando di piacere. Oppure ordinare al basito raccattapalle di frustarlo con un gatto a nove code prima di servire. Potrebbe addirittura chiedere che la sua parte di campo sia ricoperta da carboni ardenti o, nel caso il regolamento lo consenta, di chiodi arrugginiti, vetri, acido muriatico. L'altro invece, ha gli occhi svegli e accesi, persi nel vuoto. Si ripeterà a memoria la tattica da usare per il contro break: debbo tirare quattro bordate fortissime sulla riga. Che ci vuole? Smorfia di dolore, risolino inespressivo da pazzo, prima di schiaffeggiare stizzito la mano del massaggiatore. Nadal 30-0, si capotta a due punti dalla vittoria. Eccolo, l'ennesimo coupe de théâtre di una finale folle, maratona-senza-Mentana sul punto di subire l'ennesimo cambio d'inerzia. A 36 anni, migliaia di acciacchi, centinaia di infortuni invalidanti alle spalle, una fatica tripla rispetto all'avversario nel costruirsi il punto e nemmeno più l'adrenalinica inerzia da remuntada che ti fa svanire ogni dolore e stanchezza. Anzi, sul 5-5, 99 tennisti su 100 cederebbero di schianto. Una mazzata capace di abbatterebbe un toro, non il toro di Manacor che gettandosi addosso un po' di cera incandescente finisce per chiuderla lui, 7-5 al quinto. Dopo non si sa bene quante ore di battaglia rusticana e qualche record battuto qui e là.

A freddo, scambio impressioni in messaggistica con un vecchio amico di università prima, di circolo poi. "Non ci credo che ti sei ridotto a tifare quello lì". Poi la fiammata che, avendo tra gli altri difetti l'essere interista, gli fa citare Peppino Prisco: "Non è che vuoi morire nadaliano, così poi sono uno di meno?". Tiè. Almeno voglio arrivare a vedere Federer vincere a Parigi, a 41anni. Ibra sollevare la Champions alla stessa età dopo aver segnato in rovesciata al 118' della finale contro il PSG di quello lì, che ora piange. Poi, se riesco, spingermi a Wimbledon, ove un rientrante Petzschner che in stampelle impallinerà tutti a suon di slice che baciano le righe e solleverà la gonna della duchessa di Kent mentre gli consegna la coppa. Poi, perché no, un Murray con anca bionica trionfante nella finale di Flushing Meadows sul  63enne McEnroe, squalificato per atti osceni mentre era avanti 4-2 al quinto.


sabato 31 agosto 2019

DEL RITROVATO AMORE




Più di cento discese a rete. Centoquattro, fottutissime, discese a rete. Non so da quanto tempo non si vedesse una cosa simile, forse dai tempi di Ramesh Krishnan sull'erba di Calcutta appena concimata di sterco. Pomeriggio americano, tarda serata italiana. Suona l'allarme sul centrale di Flushing Meadows. Accorrete, infedeli, una rotonda nera americana sui cento chili, col culone in mutandoni fiorellati, sta facendo impazzire quella che dovrebbe essere la numero uno al mondo, Simona Halep. Spettacolo delirante, Taylor Townsend. Ne scrissi anni fa, forse tre o quattro, di questa delizia dal talento sovrappeso. Non è un refuso, perché più che il fisico, di eccessivo, debordante, in lei è il talento. Pazzesco, fuori dalle orride logiche tempo.
Attacca, prima e seconda di servizio. 

Sembra una missione suicida, ma superba. Bellissima. Perde il primo set. Non sarà mai numero uno, resterà a basculare fuori dai cento, non vincerà mai uno slam, darà ragione ai freddi americani della Usta che la lasciarono al suo destino perché troppo grassa per il tennis professionale. Ma cosa importa a noi che abbiamo visto il Pecce scherzare Nadal nel Tempio, prima di perderci. A noi che della vittoria importa meno di una sega venuta male. È tutto ugualmente meraviglioso, questo perfetto imperfetto. Attacca senza sosta. Ha ben chiaro in mente il piano di guerra, sospinta dal suicida istinto del dio minore tennis, quello volleante.
Faccio pace col tennis, in una notte di tarda estate. Senza birra, ma sbocconcellando una granita al gelso, col caldo umido che divora le meningi e le zanzare a fare il loro mestiere: rompere la minchia.

La piccola Aretha Franklin travestita da Supermac, stavolta non deve ricorrere nemmeno al consueto libercolo della tattica durante il cambio campo. Che gioia liberatoria. Quanta bellezza surreale, Taylor Kamala, il wrestler anni novanta, di agilità insospettabile. Un quintale di leggerezza all'attacco, con sprint in avanti da centometrista. Zampate, volée eleganti e mortali. Prima e seconda. Halep, che pure è una delle più intelligenti e regolari, non ci capisce più un cazzo. Proiettata negli anni novanta, costretta a fare un altro sport: il passante a ogni punto. E finisce per andare fuori giri. Sbarella, sbaglia tutto. Sembra sul punto di chiedere al giudice di sedia se tutto ciò è regolare.
Townsend vince il secondo, trascina il pubblico. Sugli spalti si vedono comitive di afro americani ballare come durante una funzione gospel ad Harleem. Sembra una puntata dei Jefferson. Una volée mancina dopo l'altra, e quell'espressione impunita sempre più convinta.

È ufficiale. Dopo un anno in cui ho preferito l'appassionante campionato di tamburello islandese, amo nuovamente il tennis. Alla sconcia novità, contribuisce un altro miracolo, di natura opposta: Paolino palle d'acciaio Lorenzi. Trentotto anni, come il collega minore Federer, e una bellissima carriera al dignitoso crepuscolo. Aveva perso nelle qualificazioni. Ripescato, si salva d'esperienza al quinto contro un sedicenne americano alla prima esperienza. Ieri contro Kecmanovic, giovane serbo in ascesa ma a me sconosciuto, il capolavoro. Il caldo del fine estate a New York lo rigenera. Non molla un quindici, giocando un match da cagnaccio rognoso. È un incontro di rara e tragica bruttezza pallettara, ma che importa. Lo si guarda in trincea. 
Infiniti scambi, col nostro eroe senza macchia che rintuzza gli angoli pallettati del serbo, uno che serve più piano della Errani dei tempi d'oro. Rantola corre, arpiona, affonda sempre al momento giusto e alla fine la spunta dopo cinque ore di battaglia rusticana. Mostruoso, Lorenzi. Esempio di intelligenza e abnegazione. Lo vedremo ancora a 45 anni, lottare per i campi.

Intanto, sul centrale, non si arresta la folle corsa della gazzella di un quintale, in furibondo assalto. Serve per il match sul 5-3. Halep è sull'orlo dell'esaurimento, si schiaffeggia manco fosse la sorella di Youzhny. Poi ecco, ci siamo. Tutto previsto. Sui due match point, trema il braccione di Kamala. La magia svanisce e d'incanto torna pesante, affossa in rete una volée. Si sente già qualcuno bofonchiare con saccenza: "E certo, con quel culone, dove vuole andare. Se dimagrisse, diventando snella come la Bouchard, potrebbe entrare nella top 10". Basta solo ammazzarlo, e starà zitto in eterno. Sull'altra, Halep passa da campionessa. Storia già vista, dirà invece l'esperto di rutilanti suicidi: cederà di schianto 7-5. E invece la volleante gazzella torna d'incanto leggera come una ballerina del Bolshoi. Non si arrende, salva un match point. Chiude una volée in punta di piedi, e ancora a rete con scatti brucianti, alla faccia della scarsa condizione fisica. Acciuffato il tie-break, lo gioca senza tremare, in modo perfetto, all'attacco (ca va san dire) e la chiude di giustezza. Inno alla gioia. Sipario.

lunedì 10 settembre 2018

US OPEN 2018 - ONESTO BILANCIO E PAGELLONE FINALE




Donne


Naomi Osaka 10. Allora. Il mio paranormale talento di chiaroveggenza è arcinoto (bilancio UO: 14 schedine, 0 vincite, -140 euro e sei anni di galera secondo le nuove leggi), ma già alla sua prima apparizione newyorkese, a 18 anni, lo dissi che questa giapponese un giorno avrebbe vinto il torneo. Semplicemente incontenibile. Un torneo al limite della perfezione. Potenza caraibica e calma nipponica. Non era facile riuscire a mantenersi concentrata nella convulsa finale, dove (caos e scene da Bronx a parte), si dimostra superiore a Serena. Nettamente. Dopo aver steso tutte. Fa molta tenerezza nel dopo partita, quando si scusa col pubblico che l'ha vergognosamente bersagliata di fischi, per quell'omicidio sportivo. Durerà? Serena ha finalmente trovato un'erede? Si sa, nella Wta è facile arrivare al vertice, vincere uno slam, più complicato confermarsi. Lei a differenza di altre, sembra avere qualcosa in più.

Serena Williams 8. Famo subito a chiarì. Aveva ragione. Il demenziale sadismo dell'arbitro nel volerle rovinare la festa e diventare protagonista della serata, è evidente. Lei cade nell'errore di farsi provocare e perdere la testa. La sua reazione non è giusta, né sbagliata. È umana. E avrebbe perso comunque. Anche senza buffonate arbitrali, eeazioni da McEnroe e penality game. Perché l'altra era semplicemente più forte, in tutto. Sbagliate le sue accuse di sessismo, razzismo e quant'altro. Almeno in questo caso ho visto solo un piripicchio con voglia di mettersi in mostra. Di oscenamente razzista c'è solo chi in questi lidi paragona la sua sturiata con quella di Tyson che mangiò mezzo orecchio a Holyfield o col morso di Suarez. Del resto, un Salvini ce lo siamo meritato.
Poi, famo a chiarì il resto: ha 37 anni. Un anno fa è diventata mamma. Ha subito tre operazioni. È tornata e ha fatto due finali slam consecutive, perse perché ha trovato una più forte. Ci sta, alla sua età, non essere più invincibile. E il record di Margareth Court sta diventando un'ossessione.

Anastasija Sevastova 7,5. Gran torneo della lettone dal tennis brioso, cui fa da contro altare l'atteggiamento perennemente svogliato di chi è lì ma vorrebbe starsene su un divano a ruttare birra. È matta come un cavallo, ma le riescono due scalpi straordinari (Stephens e Svitolina). Ormai da top ten. Non male per una che si era stufata del tennis, della fatica e degli infortuni, e poi è tornata quasi per gioco, iniziando dagli Itf.

Aryna Sabalenka A.I.U.T.O. Pesta più forte di un maniscalco con turbe psichiche e urla più forte di Nadal e Sharapova che scopano selvaggiamente, con Serena che fa il controcanto. Pietà. Qualcuno faccia qualcosa per questo scempio. Ma per la Wta è più fastidioso un coaching che una che urla come se la stessero scotennando. Poi, per carità, la giovane uoma di Nehandertal ha colpi da futura numero uno e lo slam ce l'ha nel suo destino.

Carla Suarez Navarro 8. Travestita da Padre Amorth, ci libera dal maligno urlante di Siberia. Sempre compassata, talentuosa e deliziosamente normale, in un mondo di forsennate picchiatrici di 1,90 con la vista annebbiata.

Maria Sharapova 4,5. Imbarazzante come ancora le riservino un trattamento da diva, quando da tempo sul campo (dopo l'affaire Meldonium) esprime un tennis da numero 30 al mondo, con spocchia ancora maggiore. Dovrebbero abolirle il vitalizio.

Elina Svitolina 5. Briget Jones dimagrita per poter giocare meglio sulle copertine. Mentre sul campo era più consistente da paciarotta. Un fantasma. Magra come una Radwanska senza avere la mano di Agnese (ndr, ormai in caduta libera).


Uomini

Novak Djokovic 9. Gommaflex (nuovo nickname, Brad Gilbert suca) è tornato. Roger e Rafa si autoeliminano, ma avrebbe vinto lo stesso, magari sudando un po' di più. Torneo senza sbavature, tranne un innocuo svago nel terzo contro ventrazza Sandgren, a match già vinto. In finale regola senza patemi le sfuriate orgogliose di Del Potro. Il tennis è mobile, come la donna, quindi del diman non v'è certezza, ma con Rafa e Roger fuori uso, Murray e Wawrinka lontani anni luce da una forma accettabile, Del Potro -2.0, Cilic che quello è, e i giovani che diventano vecchi senza sbocciare, lo scucchiato serbo è attualmente il numero uno, senza nemmeno forzare.

Juan Martin Del Potro 8. In finale a New York nove anni dopo quella esplosione feroce del 2009. Nel mezzo una serie di infortuni che avrebbero abbattuto anche un rinoceronte. Fenomenale nella volontà di tornare, anche a mezzo servizio, reinventarsi colpi, soluzioni diverse. In questo Flushing sembra spingere con minore paura anche di rovescio. Che sia ancora da finale slam può significare alcune cose: 1- miracolo sportivo. 2- senza infortuni sarebbe stato un campionissimo. 3- gli altri, dietro, non valgono un cazzo.

Rafa Nadal 7. Niente di nuovo sotto il plumbeo cielo nuovayorchese. È il procugino del Rafa migliore. Lotta fino a sfibrarsi muscoli, cartilagini e tendini che nemmeno sapeva di possedere nella battaglia corpo a corpo contro Thiem, ovviamente vinta (match del torneo). Poi il ginocchio cede definitivamente contro Del Potro. Ammetto di aver tifato per lui, commovente nella resistenza e anche nel gettarsi a rete alla disperata. Un po' per desiderio di morte inconscio, un po' per emulare milanisti che prima di morire diventano interisti "così ce ne sarà uno di meno", e viceversa.

Dominic Thiem 6,5. "Grande promessa". "Futuro dominatore", "campione del domani". I titoli sui giornali si sprecano, dopo che ha ceduto 7-6 al quinto, in modo rocambolesco, contro un Nadal sette anni più vecchio, quasi morto e col ginocchio a pezzi. 'nnamo bene. Ok, magari vincerà il Roland Garros nel 2020 e a seguire, ma la vicenda un po' fa ridere. Quando alla sua età la perdeva Gasquet (3,5 alla sua svolta platinum gay) una partita simile contro un top, fiumi di ilarità sul perdente sommo. Giocatore femmina col reggicalze. Domenico il cafone no, ha la maschia aura da virile dominatore del'avvenire. Che quasi sviene per la paura contro uno semi barellato.

Roger Federer 5. I telegiornali raccomandavano agli anziani di bere tanto e non uscire nelle ore di punta. Lui non deve aver seguito i consigli, e quasi gli viene un coccolone nella calura asfissiante del catino di Flushing Measows. Suda addirittura (non avveniva dal 1997, durante un barbecue a Basilea). Cede a Millman (6,5), uno che batterebbe nove volte su dieci anche a 45 anni. Colpo di caldo o meno, difficilmente avrebbe potuto impensiere nei quarti un Djokovic così presente, al lumite regalarci qualche sprazzo di musica sinfonica nel mezzo di un rullar di tamburi. Questo Roger calante, fa apprezzare ancora di più l'esaltante colpo di coda degli ultimi due anni.

Philipp Kohlschreiber 8,5. All'orfano di ormai quasi tutti i suoi pupilli, resta solo lui e qualche pallido nuovo raggio di luce: uno Shapo Mac sparacchiante che non conosce le mezze stagioni, i fluetti semi vintage dell'imberbe De Minaur. Un altro francese sciampagne, tale Humbert, mancino allampanato e dal fisico adolescenziale, che parte a servire come fosse Ivanisevic e poi ricama niente male. L'immarcescibile Kohli invecchia come il buon vino e mette al suo posto l'imberbe connazionale Zverev (4-). L'attempato mestierante di talento che sculaccia lo spocchioso giovinetto predestinato.

Karen Kachanov 6,5. Anni fa aspettavo Safiullin, al limite Rublev. Invece a emergere in modo sempre più fragoroso tra i nuovi orchi di Russia, c'è questa specie di cyborg. Uno che ha colpi così violenti da strappare di mano la racchetta a molti top 20. Mette in grande difficoltà anche Nadal, cui cede per inesperienza e monotematico schema: spaccare la pallina. Qualcuno deve averlo convinto che se tira uno slice o colpo di tocco, rischierebbe d'essere rinchiuso in un carcere moscovita con la gravissima accusa di omosessualità.

Fabio Fognini 5. Come Federer, fuori per mano di Millmann. Peccato. Con quella mise da harleem globepirlotter avrebbe potuto regalare gioie.




domenica 2 settembre 2018

US OPEN 2018 - PRONOSTICI E SCOMMESSE VIETATE SUGLI OTTAVI





Us Open 2018 allineatosi agli ottavi, dopo una settimana ricca di spunti. Non vi dico di scommettere, in quanto il giuoco d'azzardo è bandito dal Regno, perché fa male. Vuoi mettere invece una bella malattia tropicale debellata nel '37, da contrarre grazie all'obbligo-volontario dei vaccini? E allora mi limito ad una sommaria analisi degli ottavi, da leggere avidamente, mentre fate la fila per il reddito di cittadinanza (che vi arriverà nel 2095 sotto forma di buoni sconto per un fallo di gomma dimensioni over size).


Uomini

Nadal-Basilashvili 1 (3-0, under). Non un Nadal scoppiettante, come d'abitudine a NY, è comunque riuscito a salvarsi d'esperienza dalla tramontana di scaldabagni russi di Khachanov (qualche volontario che gli insegni il drop? Lo slice? Una volata?). Il georgiano dovrebbe essere appagato dal buon torneo. Prevedo mezza carneficina.

Thiem-Anderson 2 (over). Non aprite quella porta. Film horror scadente. Il Muster destro dal solito andamento altalenante, contro la cosa brutta Anderson, uscito vincente al quinto contro il giovane uragano canadese Shapovalov. 50 e 50. Dico Anderson, ma solo perché più a suo agio sul cemento. Nel dubbio, fatevi una passeggiata.

Del Potro-Coric 1 (3-1). Banco di prova durissimo per il commovente DelPo acciaccato ormai con cannemozze più che fucile. Salute permettendo, dovrebbe spuntarla non senza peoblemi contro il robottino croato, che pure mi è sembrato in crescita tecnico tattica.

Isner-Raonic X. Uno di quegli accoppiamenti che ti fa rivalutare Ferrer-Robredo. Una roba da allertare i caschi blu. Più tennis dalla parte del perennemente rotto Raonic, ma è uguale. Vince chi è più preciso al poligono.

Cilic-Goffin 1 (3-1). Ho pronostipato il croato vincente underdog del torneo, quindi prendo lui, salvatosi rocambolescamente contro il delizioso canguro De Minaur. Per lui il rischio è addormentarsi, con stati di coma vigile (come capita a me davanti alla tv) per le trame briose di Fuffo Goffin.

Nishikori-Kohlschreiber 1. Purtroppo, aggiungerei. La cavalcata del fiabesco Kohli dovrebbe essere al capolinea. Già appagato dall'aver insegnato tennis al pompato connazionale Zverev. Uno scolpitore di classe che batte e dà una lezione da manuale a un fabbro. Il giapponese con più infortuni che sponsor, parte favorito.

Djokovic-Sousa 3-0. Passeggiata tranquilla per il serbo, tornato muro impenetrabile. L'unico modo per batterlo in questo Us Open è sperare in un passaggio a vuoto. Che, di colpo, torni a credere di essere una ballerina di fila o un pastore sardo.

Federer-Millman 1. Il vecchio Roger ha disposto in modo sadico di Kyrgios, dimostrando (se ce ne fosse ancora bisogno) che i vecchi campioni sono ancora anni luce avanti ai giovani scapocchioni. Millman sorpresa del torneo (che ci ha privati del funambolo Fognato Creed), ha poche chances.


Donne

Serena-Kanepi 1. Serena tornata in condizioni ottime, ha ceduto le briciole. Test non banale con la vecchia conoscenza Kaiona, venere lettone, che a NY trova sempre nuove risorse e dopo Halep vuole prendersi un altro scalpo.

Barty-Pliskova 2. Forse l'ottavo più incerto e interessante, per il confronto di stili. L'equilibrio e completezza della tonda Ashley contro le badilate dell'esangue ceca senz'anina. Temo la spunti la seconda (quota 2,20 ottima), forse al terzo.

Stephens-Mertens 1. Ottavo non agevole per la campionessa in carica, per me favorita del torneo assieme a Serena e Keys. Mertens non sarà appariscente, ma è in stato di grazia da mesi e non regala mai nulla.

Sevastova-Svitolina 2. Ma occhio. La Bridget Jones ucraina ormai è un vago ricordo. Smagrita, pronta a fare la fotomoadella. Che ne abbia perso in consistenza tennistica, è un dettaglio. Sevastova è matta come un cavallo, e se in giorrnata può scapparci la sorpresa.

Suarez Navarro-Sharapova 2. Ovviamente la speranza è che Carlita possa imbavagliare l'urlatrice siberiana, accuratamente messa a latrare in notturna per avitarle spiacevoli arrossamenti cutanei e conflitti sonori con le cicale. Non sarà facile.

Keys-Cibulkova 1. Cibulkova straordinaria nell'estromettere Kerber, proverà a ripetersi. Keys da preferire, per me può bissare la finale dello scorso anno. E non solo perché l'ho giocata vincente del torneo.

Sabalenka-Osaka 2. Confronto esplosivo tra le due giovani sensazioni emergenti. Sabalenka dalla forza erculea e urla da invasata virago, fa semplicemente paura. Spavento. Una cosa da vietare ai minori. Punto sulla sorpresa relativa, prendendo Osaka.

Vondrousova-Tsourenko 1 o 2, cambia poco.



lunedì 16 luglio 2018

WIMBLEDON 2018. DIGNITOSE PAGELLE BREXIT TRUMPUTINIANE E COI PORTI CHIUSI




Uomini


Novak Djokovic: 9. Non è stato facile. Provate voi a venire fuori da un simile sortilegio. Tal Scanzi (uno che provoca suicidi di massa negli uccelli del malaugurio), dopo aver sostenuto che il M5s è di sinistra, nel 2015 ebbe a pronosticargli anni di dominio incontrastato e assoluto. Sono seguiti tre anni di disgrazie e indicibili sofferenze. Nole che si trascinava, vinto dal tremendissimo sortilegio, come uno zombie per il campo. Svuotato psicologicamente e rotto fisicamente. Mancava solo la peste. Certe cose ammazzerebbero anche un toro, quindi doppiamente bravo a venirne fuori. Già i segnali della ripresa erano chiari a Parigi. A Wimbledon si rivede un serbo con antica reattività/intensità da Aigor, pallettaro muro di ceraponga. La vera finale la vince allo sprint con Nadal. A margine, l'insopportabile moglie con vena del collo gonfia, occhi da pazza, ultima a sedersi dopo il "time" dell'arbitro per cercare gli occhi da pomodoro acerbo del consorte e dargli la carica. Internatela in qualche manicomio navale. Oscurata solo dal Ministro/Premier di Visegrad Salvini, volato a Mosca sull'airforce padano, per gufare in incognito la Francia di Macron vittoriosa ai mondiali, facendofla figura del pirla in mondovisione. 

Rafa Nadal 7. Nessuno si aspettava un Nadal così in palla anche sull'erba. Nessuno tranne me. Non troverete traccia su questo blog di questa previsione solo perché qualche lazzarone cospiratore, notte tempo, ha provveduto a modificare i miei post. Un po' come han fatto all'illuminato Decreto dignità di Di Maio, trasformato in puttanata colossale dopo la manomissione di alcuni cospiratori filorenziani. Perde al fotofinish una semifinale di rara intensità con Nole, ma legittima la prima posizione mondiale confermandosi competitivo anche sulla superficie a lui meno congeniale.

Roger Federer 5. Eliminato da Anderson, che è gia vilipendio tennistico. Ci perde facendosi rimontare due set, ma guai ad azzardare tra i motivi il peso dei 37 anni. Stizzito, dice che stava benissimo. Non può invecchiare, lui. Qualche giorno fa un gruppo di devoti talebani del monarca elvetico mi voleva denunziare alle autorità competenti chiedendo di mettermi al rogo come Giovanna D'Arco. Causa: l'orrenda blasfemia d'aver detto sotto voce, al bar: "Federer ormai mi mette una gran tristezza, birretta?". Cosa posso farci? Il lungo, interminabile e mai iniziato viale del tramonto dell'intramontabile, mi ha tremendamente annoiato. Problema mio, certamente. E di una particolare visione dell'agonismo. Quattro anni fa, nel punto più basso della sua parabola, quando tutti, specie i suoi tifosi più accesi, auspicavano un suo ritiro, speravo continuasse. Convinto che, messe a punto un po' di cose, potesse tornare a giocarsi uno slam. Ora che a 37 anni è tornato a vincere majors, al numero uno e quant'altro, lo trovo sempre più malinconico. Una santuzza piena d'oro e orpelli, portata in spalla dai fedeli, tra preghiere e ululati. Fenomeno da baraccone che stipula contratti, pagato a peso d'oro per esibizioni milionarie ad Abu Dabi o Kinshasa, in ferie mentre gli altri lottano a Parigi. A Wimbledon, tra gli adoranti giornalisti in attesa del verbo, parlava solo del suo nuovo super contratto. Del numero di polsini e mutande che il nuovo sponsor gli aveva garantito per il torneo. A quale feticista può fottere qualcosa? Non c'è quasi più niente di sportivamente emozionante ormai in questo Federer, santo che cammina venerato fino alla nausea da melensi cantori nelle telecronache. È stato il più grande di tutti, di sempre. A quasi 37 anni è in una forma tale da potersi ancora giocare la vittoria di uno slam. Resto però convinto che la sua irripetibile carriera doveva chiudersi dopo la finale a Melbourne 2017, contro il suo rivale storico Nadal. Straordinaria per tutti i significati che si portava addosso, oltre che per l'avvincente epilogo da leggenda greca. Invece no, ha voluto continuare, (per carità) mettendo in cascina altri titoli da accatastatore seriale di allori, ridiventato numero uno ammezzato. Senza la voglia furente di chi, sentendosi il più forte di sempre e in condizioni smaglianti, in quel 2017 benedetto avrebbe dovuto affrontare Parigi e Nadal sul suo campo. Da campione temerario, senza paura, alla ricerca dell'impresa. Un grande slam tentato, anche al costo di scoppiare. Ora che ci penso, se Roger l'avesse pensata sempre come me, non sarebbe mai diventato Roger, ma un Petzschner qualsiasi.

Anderson/Raonic/Isner: pietà, basta. Sembra di vedere dei terrificanti film americani su dinosauri provenienti dal futuro che giocano a tennis. Roba che Ivone Karlovic sembra Edberg. Dopo le allucinogene maratone a oltranza prodotte dai tre animali preistorici, molti invocano il tie-break al quinto anche per gli iper tradizionalisti championships. Cazzate. Non è che se un film di due ore fa cagare, bisogna ridurre la durata di tutti i film a un'ora e mezza. 24-22 di Federer-Nadal sarebbehe evento epico. 24-22 di Anderson-Isner da protezione civile. Più che il tiebreak nel quinto ci vorrebbero nuove regole per abbattere l'antitennis degli over 2 metri e dieci. Racchetta di legno e gonnellino di pizzo bianco, ad esempio.

Kei Nishikori 6,5. Tempi meno cupi per il sapiente pokemon, noioso come la corazzata Potemkin con sottotitoli giapponesi. Salute permettendo, visto lo scenario, può tornare in top 5.

Ernests Gulbis 7,5. Splendida scheggia impazzita, quando ormai nessuno se lo aspettava più. E se un old gen viziato, svogliato, pazzo, perdente e senza ambizioni, infligge una sonora lezione al predestinato next gen Zverev, qualcosa non torna. Forse tutto.

Nextgen e dintorni. Zverev, Coric, Edmund, Thiem. La pochezza di questi ragazzi dagli schemi monotematici, con una sola tattica e non così perfetta da consentirgli di primeggiare. Kyrgios è a livelli di "scapocchionaggine" che rasentano ormai il patetico. Shapovalov è fortissimo ma non ha tattica, è splendida furia dissennata.


Donne

Gnafaccio mica a pagellarle. Trionfa una Kerber (8) tirata a lucido e che si conferma ammazza Serena (7) più semovente del solito. A 37 anni, da ferma, dopo il parto, fa finale senza problemi. A vincere tutto però è Camila Giorgi. Dopo un bel torneo, di fronte a Serena nei quarti, ammette con demenziale candore: non la conosco. Non guardo il tennis femminile. Ok. Giochi al tennis, ti trovi di fronte la più grande della tua era e forse di sempre, e dici di non conoscerla? E in conferenza stampa non arrivano le ambulanze a sirene spiegate per portarsela via? La massima forma di autolesionistico delirio narcisistico patologico. Immaginate un Fognini (che pure ha dimostrato cento volte più della nostra Chucky) rispondere: "Federer? Non lo conosco. Non guardo mica gli altri. Penso al mio tennis". O Raul Bova: "Al Pacino? Non so chi sia". Come sia finita, lo sapete. Serena, che un simile delirio potrebbe anche permetterselo (da ubriaca), dopo averle dato una lezione in campo, a domanda su Giorgi le fa i complimenti, dice di sapere come gioca, di averla vista anche contro le altre. In sintesi, la differenza tra una pluricampionessa e un affare buffo.



domenica 8 luglio 2018

GULBIS, DUE CEFFONI AL PREDESTINATO ZVEREV





Sasha Zverev, il ventenne falegname predestinato, ha la solita espressione da altezzoso bambino offeso. L'infantile protervia del ragazzotto teutonico è qualcosa di inenarrabile. Si crede arrivato senza aver mai nemmeno avvicinato i quarti in uno slam, smoccola in tredici lingue. Affronta l'erba come fosse letame e terriccio: sbraccioni, roncole fuori dal campo, movimenti e posizionento da over 100. Lontano dalla riga, senza slice, goffo gioco di volo, laddove si ricordi che è contemplato nel regolamento. Lo guardo impegnato nel suo terzo turno sul campo numero uno e mi dico: se questo è il numero 3 e futuro numero uno, non ci si può sorprendere di Nadal e Federer ancora dominatori delle scene con la gotta e menischi in vetroresina.
Negli slam, università del tennis, Zverev continua la sua orrenda vua crucis.
Lo guarda un po' schifato anche il suo avversario, un trentenne lettone con barbone hipster e occhi da pazzo, che pare appena uscito, alticcio, da un bar malfamato. Ai più distratti, quel maturo numero 138 che risponde al nome di Ernests Gulbis dirà poco o nulla. Pure lui ha tante imperfezioni, tecniche e caratteriali. Di quelli che a 30 anni non puoi più considerare margini di miglioramento, ma limiti quasi definitivi. Ernesto l'eterna promessa incompiuta, il viziato, miliardario snob che gioca a tennis perché sa fare solo quello e si annoierebbe a contare i soldi di papà. Cazzate e leggende metropolitane. Avete mai visto un tennista povero? Un Cassano o un Garrincha della racchetta raccolto dalle favelas perché è un fenomeno? I tennisti diventano tennisti professionisti proprio perché nati ricchi.  Lui è nato miliardario, ma la sostanza non cambia.
La sua storia è nota. Ernesto fuma, beve, viene arrestato in Svezia perché andava a puttane, si lancia in frequenti dichiarazioni filosofico sportive discutibili. Se ne fotte, odia tutti. Non ha peli sulla lingua, non si fa problemi a dire che Djokovic gli sta sul cazzo, che non stima Federer, che Nadal non è certo esempio di fair play. Risultati sportivi però, deludenti. Una top ten appena assaporata, una manciata di vittorie Atp (6, il numero della bestia), qualche scalpo eccellente da under dog di razza.
Ora Ernesto però è un altro. Ha una compagna, una figlia. Cosa lo spinga ancora a giocare a tennis resta un mistero. Non ha mai avuto fame, voglia di soffrire. Solo un grande orgoglio, al limite. Ha supplicato il suo vecchio allenatore Gunther Bresnik a riprenderlo con lui. E quello ha accettato, magari solo per fargli fare il pungiball di Domenico il cafone Thiem. Si è inspiegabilmente rimesso in discussione, tornando a giocare nel polveroso purgatorio dei challengers. Risultati mediocri, stimoli prossimi allo zero e sconfitte sconcertatanti contro avversari modesti. In Sicilia perde in lotta da Giannessi (!), in Francia da Mager. Gente che dovrebbe inzuppare nel cappuccino la mattina.
Da numero 138 gioca le qualificazioni di Wimbledon a Rohampton. Le passa. Turno dopo turno nel tabellone principale riprende fiducia, si salva al quinto contro il locale carneade Clarke, esce indenne da un'altra maratona con Dzhumur, ed eccolo lì, di fonte a Zverev sul campo numero uno.
Per magia riecco le motivazioni. Wimbledon non è Tunisi o Caltanissetta. Gulbis non ha mai avuto ambizioni, ma solo spunti d'isolato orgoglio, si diceva. Si esalta contro quelli forti perché ci tiene a ribadire quello stronzissimo "se solo volessi...".
Guarda il tedeschino e deve stargli parecchio sulle palle, con quel cipiglio da impunito primo della classe, più viziato di lui. In maniera immotivata, tra l'altro. Perché non ha né i suoi soldi, né tanto meno il talento. Le motivazioni del lettone non possono che crescere a dismisura. È l'attempato uomo vissuto che mal sopporta i ragazzini pieni di se. Vorrebbe dargli una sonora lezione. Due ceffoni ben assestati e spedirlo a studiare, mandarlo a letto senza latte e nesquik. Lo avverti. L'incontro si rivela equilibrato, un set per parte. Sasha gioca su erba come fa su terra e cemento. E qui abbina l'inguardabilità all'inefficacia. NemmenoNemmeno è uno specialista, specie con quel drittone agricolo per nulla adatto ai prati. Ma, a differenza del giovin spocchioso che sbraccia e smoccola spiaccicato sui teloni, lui ha il genio dalla sua parte. La scintilla pazza dell'imprevedibiltà. Scende a rete, ricama colpi imprevedibili alternandoli a sassate mortali. Quando va a servire per il terzo set facendosi ribrekkare, sembra ripetersi la storia sempre uguale di una carriera da eterno perdente, vate della temporanea dimostrazione di forza fine a se stessa. Con Nadal avrebbe portato a casa una delle sue consuete belle sconfitte. Ma Sasha non è Rafa. Nemmeno alla lontana. Il lettone resta lì nel quarto e approfittando di una delle amnesie giovanili di Zverev, agguanta il quarto e lo schianta al quinto set: 6-0 e sei ceffoni, magnificamente assestati.
Nell'oceano di noia ormai diventato il tennis degli ultimi anni, ogni tanto una bella storia, dove il genio fatuo dell'attempato talento senza ambizioni impartisce una lezione al futuro dominatore di un tennis robotico, senza emozioni, fatto con lo stampo. Evviva Ernesto.




venerdì 29 giugno 2018

LI AVETE VOLUTI? GODETEVELI





Il governo fascio grillino è decollato. Un mix aberrante di fascisti xenofobi e gente che non crede allo sbarco sulla luna e ai vaccini, con incarichi di governo. Che devono decidere della vostra vita. Ministri e sottosegratari. Quando un cretino e un furbo si incontrano, il fascismo è alle porte, diceva Sciascia. Foto illustrata nei libri di scuola coi faccioni di Salvini e Di Maio. Io la riadatterei così: quando un fascista senza scrupoli e un cretino incapace smanioso di potere si incontrano, il fascismo è al governo. E il primo fotterà il secondo, a cui la cosa nemmeno dispiace. 
Da giorni vado ripetendolo: visto che avevo ragione? Visto che non ero pazzo catastrofista? 


Oddio, non è che ci sia da andarne orgogliosi, lo avrebbe capito anche un topo. Ma di campagna. Di certo non un topo di fogna, di quelli, per internderci, che affollano salotti tv, fanno analisi spetazzanti, sdottorano strapagati sui giornali. Uno di quelli che, del tutto immuni al senso di vergogna, ora si preoccupano, allarmati, dei fascisti al governo. Allibiscono, adesso, dopo avergli tirato in ogni modo la volata, smembrando quel barlume di democrazia nel paese, demolito il Mostro di Firenze e la sua tirannide gigliata. Quelli che per anni hanno ospitato grillini sbavanti epocali fesserie populiste senza contraddittorio, anzi, sospinti in studio dall'alito mefitico di guitti mancati giudici a ballando con le stelle spacciati per esperti di politica. Gli stessi che hanno invitato h24 nelle loro trasmissioni Salvini a briglia sciolta, libero di raccontare bestialità xenofobe per alimentare paure degli elettori sull'emergenza migranti, parlare di ruspe tra gli applausi della claque in studio. Ora, di botto, svegliati dal torpore, quei giornalisti occhieggianti al Matteo bravo, scrivono nei social: "Non c'è nessuna emergenza migranti. I dati sono chiari". Troppo coraggio o onestà intellettuale ci voleva a tirare sul grugno a Salvini prima delle elezioni, quei dati. Ecco, se possibile, questa specie di topi di fogna mi fa ancora più ribrezzo degli stessi Salvini e Di Maio. Anche più di quelli che "Salvini è bravissimo, il miglior politico degli ultimi vent'anni, anche se non condivido quello che fa". Un po' come "Nadal è il più forte di tutti, anche se non mi piace il suo tennis". Stessa cosa. Peccato che un dritto arrotato sia faccenda un po' meno alta dalla democrazia e libertà di noi tutti. Ma questi, se non vi è chiaro, hanno ridotto la politica a demenziale affare tra piccoli ultrà imbecilli.
Professionisti nello scorreggiare in ascensore e poi guardarsi intorno dicendo che c'è puzza, i topi di fogna sono preoccupatissimi da un governo di ultra destra al potere. Indignati di come i fascisti al potere si comportino da fascisti. Ma dai? Quando parlava nei loro studi, tra una ruspa, un occhieggio e l'altro, credevano scherzasse. Che fosse il baluardo contro la deriva autoritaria del pidì, male del secolo.

Eccoli i fasci di combattimento. Da una  parte un pupazzo premier, col physique du role da Premier, mandato a farsi le foto con gli altri capi di stato vantandosi di essere professore universitario tra gli sberleffi degli altri. Il Min. dell'Economia che parla di flat tax e reddito di cittadinanza inattuabili per mancanza di coperture, che il taglio dei vitalizi è una scorreggia fritta, che loda addirittura i governi precedenti e ritiene indispensabile restare nell'euro. Dall'altra i due ministri della propaganda e della campagna elettorale governativa continua. Un'avvincente lotta a chi ce l'ha più  lungo, o più imbecille (l'elettore, capace credere alle loro frescacce governative, come hanno creduto a quelle elettorali).
Uno fa guerra all'europa respingendo i disperati, l'altro chiede con vigore a se stesso di creare lavoro per tutti. Consci di non poter attuare nulla delle loro promesse, col vento in poppa della stampa servile, proseguono nella folle corsa sulla pelle dei disgraziati. Che con quelli è vita facile, per i fascisti. Complicato e poco saggio prendersela con le mafie, affrontare la crisi economica: Salvini blocca le navi dei migranti, lasciate per giorni in mare. Fa la voce grossa coi profughi e parla di aumento del contante per fare un piacere agli evasori. In pochi giorni crea crisi diplomatiche con Tunisia, Spagna, Malta, la Francia, la nuova perfida Albione. Promette la schedatura dei rom (con annessi campi di concentramento innovativi ricavati in ex aziende fatte allegramente fallire dopo anni di strenue trattative di gente coi controcoglioni), perché quelli italiani bisogna tenerseli. Vuole equa distribuzione dei migranti nella Ue andando oltre al trattato di Dublino votato dalla sua Lega, ma fa il contrario: respinge i migranti seguendo la politica di Visegrad e cercando la rottura con la Ue. Qualcuno troverà il coraggio di dirglielo, o l'hanno già mandato in esilio? E la propaganda va avanti. Al vertice Ue Conte, celebrato dall'Istituto Luce come trionfatore, ottiene risultati sbalorditivi. Finalmente l'Italia è protagonista: ci concedono una equa distribuzione. Volontaria però. Un successone. Orban stappa un bottiglione di Dom Perignon e potrebbe nominare Salvini imperatore di Visegrad.
Innegabile però come il duce padano abbia risollevato l'animo patriottico al grido "dalle al negro". Quello è il vero problema del paese. E agli italiani piace. I risultati non tardano ad arrivare. È bravo, del resto (cit. Travagli sparsi): fioccano casi di extracomunitari presi a fucilate da italiani. Notizie rinvenute nelle pagine secondarie, per non confondere l'elettore per anni nutrito a pane e emergenza migranti che non c'è. Li avete voluti, terrorizzati dalla tremenda minaccia democratica di Gentiloni? Godeteveli. Il baratro avrà l'agre odore di ricino, e pagheremo anche noi per voi, o sommi stronzonacci.

Salvini vola, Ministro di tutto. Non solo i profughi lasciati affondare tra il tripudio della gente. Vuole reintrodurre il servizio militare. Si riscopre fervente novax: dieci vaccini sono troppi, anzi dannosi. Sperando in qualche epidemia di peste cui dare la colpa agli immigrati.  E se poi la scellerata, assai virile, condotta sui migranti provocherà qualche attacco islamico (dai quali siamo colpevolmente immuni -perché?!!!11!! -), cosa importa. Gonfierà il ventre molle e putrescente del suo elettorato fascista. Easy. È il più bravo (cit.), del resto. Occorre celebrarlo. Ma, uno e trino, Matteone non si ferma. Propone le armi libere (proprio per sparare agli immigrati, magari depenalizzando l'omicidio del negro). Lasciamolo lavorare. Essendo anche più di sinistra di Renzi  (cit sempre i Fattisti anonimi), grazie all'assist del suo ministro leghista Fontana, vuol cancellare la legge sulle unioni civili. L'unica famiglia è quella tra mamma e papà. E meno aborti, più bebè. Benvenuti nel basso medioevo. E, ancora complimenti per everli votati. Godeteveli per bene.
Salvini, col 17% è il padrone del paese, grazie agli utili idioti del M5s, che col 32% si trovano a fare la parte di spalla demenziale a uno che aveva preso la metà dei loro voti. Anzi, nel giro di dieci giorni la Lega li ha già superati nei sondaggi ("Di Maio è stato bravissimo nella trattativa", leggo sulla stampa libera). Ed è chiaro il perché. Basta vedere la penosa condotta dei 5stelle nel caso Aquarius. Toninelli e co. provano invano ad alzare le voce, far capire all'Italia plaudente che sono fascistoni anche loro, perdio. Con risultati da barzelletta. Ma tra un fascista vero e una grottesca imitazione, laggente preferisce il primo.

L'altro ministro della propaganda fascista, Di Maio, allora, prende la situazione in mano. Non può stare a guardare il padano spadroneggiare in ogni dove. Ma non sa come fare. Escogita qualcosa di mediaticente forte, da ministro del lavoro. Una riforma del welfare che superi lo sciagurato jobs act, uno pensa (scioccamente). No, ecco la trovata geniale: Tutelare i pony express. I riders che portano le pizze calde calde a casa. Fenomenale. Prossimamente quella sui grattacheccari romani. Ma solo di viale Trastevere. Che non può mica fare i miracoli. Intanto sta leggendo le carte sull'Ilva (durante l'ora di educazione fisica). Nemmeno questo funziona. Fa il giro delle tv, dirette fiume dal cesso del Ministero per dire che bisogna creare lavoro dando lavoro a chi non ne ha. Che, qui si supera, occorre valorizzare il merito. Favorire l'assunzione nella PA di chi ha un curriculm migliore. Basta raccomandati. Lui, ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, nonché vice Premier, che in vita sua ha lavorato come Stewart allo stadio e non è riuscito manco a laurearsi, pontifica sul merito. Ma il governo non è mica una PA (che tra l'altro vorrebbero rimodellarsi sul modello illuminato della loro piattaforma Rousseau), si rifà alla meritocrazia del blog, al limite. Siete alfin contenti di averli votati per dare un segnale? Il segnale è tornato indietro chiaro e forte: siete coglioni. Ma da competizione.

Giggino non ci sta a fare la parte dell'utile idiota di Salvini a sua volta utile idiota di Putin per disgregare l'Europa. Ci si mettono pure le procure, con l'arresto del faccendiere Lanzalone (sindaco vero di Roma), nominato presidente di Acea dai 5stelle perché era bravo, che la sera prima di essere arrestato decideva poltrone governative con Casaleggio e presentato a Raggi dal Guardasigilli Bonafede. Una Bomba. Immaginate se i tre fossero stati Renzi, Marino e Orlando. Avrebbero dovuto fuggire ad Hammamet, inseguiti dai Travagli sul carrarmato. Del triangolo Casaleggio-Raggi-Bonafede col faccendiere M5s al gabbio, se ne può leggere a pagina 24 del Corriere, dopo l'oroscopo di Barbanera. O nel tg dopo la rubrica enogastronomica. È bellissimo il regime degli onesti. Schivato il colpo delle procure, Di Maio deve però inventarsi qualcosa. Prova anche lui col freno all'abuso di psicofarmaci. Vera piaga del paese. Come il traffico a Palermo. Tenta quindi con la mezz'ora di internet gratis da elargire al popolo affamato nelle mense dei poveri. Ormai con la salivazione azzerata, invoca un aiutino dell'Istat che (lo dicono apertamente, senza nemmeno nascondersi, "deve lavorare in sinergia col contratto di Governo"). Aiutare la propaganda di governo diffondendo dati utili. Capito, no? Il ventennio 2.0 è tra noi. Ecco allora la notizia allarmante priveniente dalla sinergica Istat: la povertà è tra noi. Non siamo mai stati così poveri. Cinque italiani su dieci non possono comperarsi il pane o bere l'acqua (libera). Di Maio, mentre Salvini dilaga promettendo di stoppare altri barconi di disgraziati, coglie l'assist e parte a testa bassa col cavallo di battaglia: ci vuole il reddito di cittadinanza, SUBITO. È un'invocazione implorante. Come se non governasse lui, ma fra cazzo da Velletri. E falla sta cazzo di legge. Elergisci il benedettissimo reddito di cittadinanza ai gonzi che l'apettano trepidanti, cosa aspettiamo ancora?
Li avete voluti provare? Bene, vi rivelo un segreto: non era una prova o televoto al Grande Fratello. Ora dovete tenerveli per cinque anni. Se la Russia vuole, anche venti o trenta.




lunedì 18 giugno 2018

TORNA L'ERBA, RIECCO PICASSO PETZSCHNER (E FEDERER)



Inzia la stagione sull'erba, breve come la vita di una farfalla, ma buona per ristabilire l'ordine naturale delle cose. Qualcuno potrebbe rinvenire un'illusoria salvezza dello spirito nelle due finali Wta, a Nottingham e 's-Hertogembosh. In inghilterra è la simpatica australiana Barty, più larga che alta e abituata ai prati del cricket, a sciorinare tennis a tutto prato contro la piagnucolosa Konta. In Olanda, dopo mesi trascorsi a trascinarsi per i campi come imbolsita ex, si rivede il mirabilia tennis vintage della Flipkens. Svolazzante in un prato fiorito, ha la meglio sull'altro folletto erbivoro Krunic (un'altra il cui tennis d'attacco viene esaltato dall'erba). O, se volete esagerare, rianimatevi con la tondeggiante Ons Jabeur, trionfatice nell'itf di Manchester, tra un drop e un magheggio diabolico. L'erba, signori miei, fa rinascere animali mitologici scomparsi, bistrattati o dormienti.

I più disturbati, patologicamente arroccati in centri di igiene mentale a vagheggiare utopie di gazzelle che sbranano i leoni, vanno in estasi per la zampata di Richard Gasquet, capace in Olanda di sviolinare di rovescio come ai bei tempi. Rinasce nelle terra del fumo libero e dei mulini a vento. E dove, altrimenti. Un colpo da maestro sciancato a spazzare via mesi, anni, di delusioni, infortuni, sconfitte. Qualcuno, in onore di un simile squillo, accende uno spinello e si abbandona all'onanismo onirico più spinto: Gasquet che acciuffa a 32 anni il titolo a Wimbledon battendo in finale Nadal 177-175 al quinto.

Altri, i più classici, penseranno invece al ritorno di Federer. A Stoccarda, dopo tre mesi di pausa mentre gli altri insozzavano i calzini nell'argilla, il King traboccante mazzuola di giustezza l'impacciato Raonic e Tamarreide Kyrgios. Strappa anche il numero uno al mondo a Nadal, in un'altalena eccitante quanto un concerto di Zarrillo.


Per carità, tennis maggiore ho detto. E allora eccoci al vero protagonista della settimana verdeggiante: Philipp "Picasso" Petzschner. Qualcuno pensava fosse morto suicida in una baracca sul Reno. Niente di più falso. Il nostro Picasso ha trascorso gli ultimi anni entrando e uscendo da ospedali e manicomi. Tribolazioni senza fine. Un po' per aggiustare le ossa, un po' per pettinare il cervello. L'idolo di Bayreuth ormai ha più ossa rotte che sane. Una serie di infortuni terrificante. Un vero mistero come riesca ancora a camminare. In coppia con Puetz, mestierante teutonico di mezza età, forma dal nulla una coppia strabiliante. Benedetta da qualche Dio del lazzaretto, che li sospinge al trionfo.
L'erba, un po' come accade al suo omologo minore Federer, è capace di rigenerarlo. Esalta la mano, il tocco, i riflessi su rimbalzi irregolari, movimenti rapidi e geniali trovate improvvise. In poche parole, esalta il Picasso. In singolo aveva perso nelle qualificazioni da tale Galovic. Il suo compare Puetz ceduto alle bordate a due all'ora di Matteone Viola. Per dire. Ma in coppia i due fanno i numeri. Picasso ormai ha una gamba sola, una spalla sola, nessun neurone e mezzo braccio protetto da osceno preservativo nero. Ma che mezzo braccio, sior-siori. Ha solo bisogno di un compagno spalla che lo sorregga come una stampella, un manichino, un figurante. I due commentatori di supertennis, svenevoli fino al conato di vomito nell'esaltare Federer manco fossero piccoli Brosio masturbanti di fronte all'apparizione della madonna di Medjugorje nuda (uhhhh...ahhhh...siiii...cos'ha fatto!!1!...mammamiaaaah...uhaaaa...sbooor - ma santo cielo, c'è un limite alla decenza), trascurano il vero miracolo di Stoccarda: la rinascita del Picasso. Tocchi da satrapo, rasoiate, colpo d'occhio luciferino, bolidi di dritto, slice che scivolano tramortiti sull'erba, e ancora volée ispirate e risposte che lasciano di sasso il temibile avversario in battuta, una specie di venditore di trote quarantenne svedese. Ed è trionfo vero.
Alla fine, immagino l'incontro con Federer negli spogliatoi. Picasso ha la faccia da pazzo e risatina isterica sulla faccia da evaso da un manicomio bavarese: Hey tu, Roger, facciamo una foto dei campioni con la coppa? Noi che abbiamo talento, appena torna l'erba riprendiamo a vincere, neh?".
Lo svizzero fa un cenno ai valletti bodyguard, che se lo portano via lontano.


martedì 12 giugno 2018

ROLAND GARROS 2018, PAGELLINE PARIGINE


Uomini

Rafa Nadal 9. Alzi la mano chi di diverte ormai ai suoi trionfi scontati su terra. Alzi la minchia chi si esalta ai successi annunciati di Federer sull'erba. La noia mortale alla tisana bonomelli sulla coda di questa grande (grandiosa) rivalità, ridotta a spartizione da manuale Cencelli di titoli, da anziani. Complici giovanotti non alla loro altezza e altri avversari smembrati. Il risultato non cambia: noia infernale. Vince il Roland Garros numero undici al piccolo trotto, si conferma il più grande di sempre su terra.

Dominic Thiem 7. Domenico il cafone, il più forte degli altri. Che un (anche più di uno) Roland Garros lo vincerà, ma solo quando Nadal sarà in tappine in un ospizio. Raccapriccio vero guardarlo sbracciare come uno evaso dal terzo braccio di Rebibbia (violenti furiosi) praticamente in grembo agli spettatori delle prime file. Tremendo. Un mix di rara ripugnanza tra Muster e Wawrinka.

Marco Cecchinato 9. La sua straordinaria storia salva (un po') questa noiosissima edizione del French Open. Anni ad aspettare il guizzo di Fognini, un Federer calato dall'alto nato a Bagnacavallo, l'esplosione di RogerRafa Quinzi, e poi spunta dal nulla questo 25enne palermitano numero 72, che mai aveva vinto una partita di slam, buon terraiolo da challenger, già in difficoltà negli Atp e con una macchia derivante dalle scommesse. Poco potente per sfondare, poco paziente per diventare un regolarista d'alta classifica, si diceva. Recupera due set e vince 10-8 al quinto con Copil ed il resto è magia che si crea dal nulla. Gioca su una nuvola sorretto da fiducia e colpi. Cadono uno dopo l'altro, Carreno e Goffin (due che non si battono certo da soli), poi l'impresa con Djokovic. Il serbo è il procugino di quello di tre anni fa, ma lui è fenomenale a non pagare dazio mentalmente, nel tiebreak finale. Poi anche due ore di gran semifinale contro Thiem. Il lavoro paga sempre. Il resto lo fa la fiducia, e quella fa sempre miracoli. Trasforma un rovescio quasi inesistente in colpo robusto e la compulsiva smorzata in arma tanto bella quanto letale. Il seguito, si vedrà. Anche se il medio lettore della rosea ora si attenderà il successo a Wimbledon.

Juan Martin Del Potro 7. Pistolero a salve di Tandil. A tratti si trasforma in gattone pallettaro. Sufficiente per addormentare Cilic (6-), non il topo Nadal, che lo sbrana.
Novak Djokovic 6. Per uno che è stato in coma, già camminare è un bel risultato. Torneo discreto, poi incappa nel Cecchinato in trance ed è notte fonda. Un dubbio: fino all'ultimo quindici sembra un tagliagole feroce, che prima di perdere si farebbe ammazzare. Appena perso, corre sorridente, quasi esulta per la vittoria di Cecchinato. Chi è quello vero? Me lo chiedo da dieci anni buoni.

Alexander Zverev 5. Il bimbo fabbro manca l'ennesima prova di maturità da slam. Spreca energie nelle maratone dei primi turni e arriva senza benzina al quarto con Thiem che (in un cafonissimo match tra maniscalchi che scotennano palline da sei metri dietro la linea) se lo beve come un ovetto.

Fabio Fognini 6. L'impresa di Cecchinato oscura un po' il suo torneo. Che resta buono. Cilic negli ottavi e Del Potro nei quarti difficilmente gli ricapiteranno, ma lui manca di poco remuntada col croato.

Diego Schwartzmann 7. La fiaba del nano che uccella il gigante Anderson, con rara intelligenza. Il resto, il modo in cui si rivolge all'arbitro per lagnarsi con garbo degli urlacci insopportabili della pertica sudafricana ad ogni quindici (right here, right here!), gli valgono mezzo punto in più. Sei con me baby? Certo, risponde quella, con occhi sognanti.

Dennis Shapovalov 5. Vincerà Wimbledon, senza eccessivi problemi.


Donne

Simona Halep 9. A un certo punto, sul 3-6 0-2 della finale, ho temuto che in preda ad esaurimento nervoso da #finoallafine, chiedesse il trasferimento al Psg come Buffon. Invece l'altra pensa di aver vinto, lei di aver buttato via un'altra finale e, non essendo juventina, la spunta. Vittoria meritata. Leggo un po' di siti tennistici e proprio non mi capacito del perché sia tanto odiata. Ok, sappiamo quanto i rumeni siano amati in Italia in questo periodo fascioleghista. Va bene, non avrà un tennis spumeggiante. Certo, non è fescion (e non vuole esserlo), non è bella, anzi somiglia a un topolino. Nemmeno il grugnito (mediocre) esalta i feticisti del rantolo sciarapovesco. Resta però tennista tenace, completa, che bada alla sostanza, coriacea, esaltazione della normalità. Viva Simona.

Sloane Stephens 7. La statua d'ebano si esalta negli slam, ove si concede completamente. Il resto sembra non interessarla. Resta fortissima, ma questa volta le manca il rush finale. Avanti un set e un break smette di spingere sperando l'altra si arrenda, e finisce per rimetterla in vita.

Garbine Muguruza 6. Nitrisce, paonazza, ma proprio non riesce a sfondare Halep in semifinale, che rintuzza colpo su colpo, come un diavoletto della Tasmania. Mezzo punto in più per aver piallato Sharapova.

Madison Keys 6,5. Madison Rabbit ancora stoppata dalla connazionale Stephens. La terra non è il suo habitat, prevedo sfracelli a Wimbledon.

Serena Williams 6. Ha 37 anni, ha partorito pochi mesi fa il tennis ormai è un hobby piacevole, da alternare a party mindani, royal wedding, pubblicità, eventi e chi più ne ha. Batte tre buone tenniste (Barty, Georges e l'altra Pliskova, non le ultime arrivate). Senza l'acciacco che la costringe al ritiro avrebbe vinto o ci sarebbe andata vicina. Una che ha 37 anni, ha partorito...

Maria Sharapova 5,5. Commovente il suo tentativo di non arrendersi all'evidenza e cercare un ultimo spunto, come il McEnroe decadente (blasfemia per cui brucerò negli inferi). Ad ogni modo, sembra urlare bene, l'ugola è in palla. La migliore Masha post Meldonium, quella ammirata tra Roma e Parigi: tre games da Muguruza.

Camila Giorgi 6. Perde da Stephens 8-6 al terzo. Questo titolo quindi è anche suo. La vedo vincitrice a Wimbledon, giocando servizio e volèe, mentre il babbo (sfuggito alla sicurezza e arrampicatosi nel royal box) prova ad alzare la gonna della centonovenne regina madre.

Yulia Putintseva 6,5. La figlia di Satana. Miracolata dal suicidio di una cinese (non ricordo il nome, ma è quella sinuosa), questa ucraina gnappa con la faccia da rana, arriva ai quarti. L'ottavo con Strycova è da v.m. 18. Smoccoli, lift, back, piagnistei, bestemmioni. Mi attrae, come un film horror d'autore.

sabato 26 maggio 2018

IL FANTOCCIO TAROCCO




Gli 80 giorni più ridicoli della Repubblica italiana hanno un epilogo coerente. Il governo nazigrillino del cambiamento, parto dell'anticostituzionale contratto, vede l'incarico a Premier di (tale) Giuseppe Conte. Un (aspirante) tecnico "non eletto dal popolo", membro della élite salottista e clericale romana, così guitto arrampicatore sociale da taroccare il curriculum con mirabolanti specializzazioni estere, che non paga le tasse e sostienitore del metodo stamina. L'uomo giusto. Perfetto. Un film a quattro mani di Risi e Monicelli non avrebbe saputo inventare una figura più triste, comica e patetica al tempo stesso, come guida di un paese alla deriva.
Anni a sfracellarci i coglioni con belluini ragli "basta premier non eletti dal popoloooo!!11!" e ora lo propongono loro un tipo che non ha votato nessuno. Ma, attenzione. C'è una svolta epocale, nella padana grulleide. Non è certo scoprire che il Premier non viene eletto dal popolo, ma nominato dal Presidente della Repubblica. No, questa è una faccenda obsoleta, stantia. Nella nuova Costituzione Peppa si fa un triplo salto in avanti. Si riscrive la democrazia indiretta delle stelle padane: il Premier è nominato da Salvini e Di Maio e il PdR deve prenderne atto. E, se lo hanno scelto Di Maio e Salvini, significa che ha ricevuto 11 milioni di voti, spiega Giggino. Anzi, 17 milioni, lo corregge l'arguto Toninelli.
Vi è chiaro ora, di come quelli che difesero la Costituzione dalla riforma eversiva del ducetto di Rignano lo fecero per poterne poi fare carta da culo?
La nuova carta costituzionale on line (scottex+prima pagina del Fatto+articolo di Scanzi sui piedi della Boschi+pagina Facebook di Di battista), nei giorni dell'eversivo contratto, ha vibrato di indignazione. Velate minacce fascio mafiose a Mattarella piovono dalla Dibbas Family col fez. "Occhio Mattarella, fai quello che devi fare e non avrai scocciature". Provate a pensare un solo istante se simili bestiali minacce le avesse fatte anni fa un bullo della squadra Berlusconiana. 1476 procure avrebbero aperto fascicoli. Interrogazioni parlamentari a pioggia. Berlusconi arrestato di notte durante un bunga bunga e forse giustiziato all'alba da Travaglio vestito da boia  Le parole del Dibba invece, sono viste dalla stampa come giovanili estrosità di un ragazzo di sinistra. Tutti le ascoltano in estasi. Mentana in sollucchero: "È evidente come abbiano ormai un profilo istituzionale".
Va bene, sarà anche stato eletto dal popolo, questo Conte, ma non ha alcuna esperienza politica. Come la mettiamo? Il min-culgrinzoso-pop in pectore del nazigrullismo Travaglio sbuffa, seccato. "Ha la stessa esperienza di Monti o Ciampi". Silenzio attonito. Anche nei manicomi ormai lo hanno capito: va assecondato.
Di Maio, raggiante, tuona ai microfoni: "È giunto il momento che si venghi assunti solo grazie allo curriculum e non per le amicizie che si tengono", disse il semi analfabeta steward fuoricorso che voleva governare il paese e farà il ministro del lavoro. E in effetti, non sarà politico, ma almeno tecnico lo è questo Conte, no? Uno che ha i titoli. Nemmeno mezz'ora e iniziano a fioccare prese di distanza: alla NY University non lo hanno mai visto. Alla Sorbona con quel nome hanno avuto solo un lava cessi boliviano, a Malta non risulta, a Cambridge nemmeno tra i bidelli. Si iniziano a rincorrere voci allarmanti. Forse non si chiama nemmeno Conte, ed ha cambiato nome per sfuggire al fisco. Qualcuno teme che non abbia nemmeno la terza media. Lui fa un fantozziano sorriso tragico e ammette: a Cambridge andai a trovare la mia ragazza che faceva un corso. E come fai a dirgli qualcosa? In un colloquio come vice apprendista venditore di mangimi per cani, se tarocchi il curriculum verresti cacciato a pedate, qui no: sei perfetto per fare il Premier. Sul Fatto, dopo aver preteso dimissioni e arresti coatti per ministri rei d'aver copiato due righi della tesi, sbottano: accanimento eccessivo. Non conviene sottolineare nemmeno il fatto che il neopremier non pagasse le tasse. Atto rivoluzionario verso gabelle ingiuste. O rimarcare il suo sostegno alla bontà del metodo Stamina. Da un governo d'ispirazione no vax e pronto a ridiscutere l'obbligatorietà dei vaccini, vi aspettavate altro? È tutto coerente, per una volta.  "Non sanno più cosa inventarsi" (gli altri, eh), sorride Di Maio. "Hanno paura del cambiamento", conclude, mentre dagli studi di Mentana si odono mugolii, orgasmi ed erezioni barzotte a mai finire. Con questa stampa, il suicida governo nazipadano potrà durare a lungo. Almeno fino allo schianto.
All'estero ci ridono dietro. Una triste e pericolosa barzelletta. Populisti, ignoranti, xenofobi, oscurantisti, complottisti, contrari alle scienze e incapaci, hanno preso il potere. Occupato le poltrone del comando e dato quella di Premier a un fantoccio prestanome sconosciuto e dal curriculum farlocco. Un avvocato buono a curare i possedumenti degli assistiti.
Intanto, ancora non si è insediato e si vedono già i frutti del Governo del cambiamento. Un esecutivo che proteggerà i risparmiatori, finalmente: grazie alle dichiarazioni del luminare Borghi, Mps perde miliardi. Lo spread alle stelle sfonda i 200. Borse a picco, miliardi in fumo. In pochi giorni di non governo, perso tutto quello faticosamente guadagnato in 5anni. Ma i risparmiatori ne godranno gran vantaggi, nei bar, rassicura il Dibba. Solo che i bar non ci saranno più. Meglio.
Conte dichiara di voler essere l'avvocato degli italiani, non si sa di cosa e da chi imputati in questo strambo tribunale del popolo. Per fortuna ci sarà un'opposiziobe spietata: Stampa italica in estasi. Pernacchie dall'estero. Berlusconi farà di tutto perché il patto salva aziende non venga infranto, il Pd farà opposizione durissima e senza sconti, a Renzi. E Renzi promette di voler essere parte civile in questo processo, per vigilare che mantengano le meravigliose promesse (deportazioni di massa, fuori dall'euro, flat tax di cittadinanza, no vaccini, zero provvedimenti per il sud, cultura morta, etc...).
Per il resto, stiamo già tutti meglio.

mercoledì 16 maggio 2018

ITALIA TRA WEIMAR E PAPEROPOLI


Se voti con la pancia, il minimo che puoi aspettarti è un governo di merda fumante. Malgrado dotte analisi di giornalisti mignotte col borsello (o semplicemente coglioni), era sin troppo facile prevedere che il populismo fascio grillino in salsa padana avrebbe trionfato alle elezioni. Altrettanto prevedibile che provassero a governare insieme. E che, tali e tante sono le aberrazioni contenute nel loro contratto di governo e l'incapacità conclamata dei protagonisti, non è detto ce la facciano.
Meno prevedibile era la penosa, in sfregio a qualsiasi senso del ridicolo, sceneggiata propinataci dai due scemo+scemo aspiranti statisti nei quasi tre mesi post elettorali. In particolare dal Churchill di Pomigliano. Lo stewart fuoricorso telecomandato convinto di "scrivere la storia". Comiche per cui siamo messi alla berlina dal mondo intero.
Riassumo ai distratti.
Il m5s trionfa alle elezioni promettendo tutto e il contrario di tutto, con metodi fascisti, orgogliosamente antidemocratici. Vincono urlando che avrebbero distrutto i partiti, aperto il parlamento come una scatoletta di tonno, vomitano che non avrebbero mai fatto alleanze con i partiti colpevoli della distruzione dell'Italia. Mai con la Lega del razzista Salvini, lui e Le Pen sono il pericolo, diceva il giggino gnappo ai giornalisti europei. Mai col pregiudicato Berlusconi. Mai col Pd dei ladri mafiosi, di cui avrebbero smantellato ogni legge una volta al potere.
Il prode Di Maio, autonominatosi premier e con lista dei ministri consegnata a un corazziere del Colle prima delle elezioni, si accorge invece di non aver vinto. Prova a sedurre Salvini, purché faccia fuori il suo delinquente alleato e lo sostenga come Premier. Che altrimenti, con velata minaccia mafiosa, ha in canna una bella legge sul conflitto d'interessi. Sulla Casaleggio srl che intasca 300 euro da ogni deputato grillino e Casaleggio piombato a Montecitorio per dire alla plebe che indirà votazioni sulla sua piattaforma in sfregio della Costituzione? No, di Berlusconi, che non lo fa diventare Premier. Salvini non accetta, e allora con lui ha chiuso. Venti di guerra in Siria? Per tranquillizzare l'Europa, da antieuropei e anti Nato, diventano eutropeisti e sostenitori dell'alleanza atlantica. Che ci vuole, basta un click on line e cancellare nottetempo il programma votato dagli iscritti sulla piattaforma. Occhieggia al Pd, se derenzizzato. Poi ok, va bene anche Renzi, perché il Pd ha fatto bene e ha molti punti in comune con loro. Qualche balordo in seno al Pd, pur di far fuori il mostro di Firenze, era ben disposto a vendere partito e paese alla Casaleggio associati. L'intervento di Renzi e il voto contrario in direzione, bloccano l'obbrobrioso patto. E allora che fa Ercolino fuoricorso? Nel solito italiano da scuola dell'obbligo non superata, lancia anatemi da ventennio: traditori del popolo, il Pd la pagheranno, minaccia dicendo di aver incontrato pezzi di stato a conoscenza di cose gravissime assai, dice che se la volontà popolare non sarà rispettata (lui Papa Re in nome del Popolo) penseranno a misure alternative alla democrazia diretta (una marcia su Roma, colpo di stato o voto su Facebok?). Pensi che il giorno dopo vadano ad arrestarlo o rinchiuderlo in un cim, che almeno qualcuno si indigni. Zagrebelsky, costituzionalista in odor di PdR su candidatura di Travaglio, non si fa pregare: non è eversivo il M5s, ma Renzi che non vuole fare il governo con chi lo ha battuto alle elezioni promettendo di cancellare tutte le sue leggi.
Indomabile, la mattina dopo Gigino è dietro la porta di Salvini. Ok, va bene anche Berlusconi, basta che dia solo un appoggio esterno. Un colpetto e basta. Al limite una sbirciata voyeur. Va bene anche l'astensione benevola. Giura che mai ha messo veti su Berlusconi. Mai pensato a leggi sul conflitto d'interessi (che anzi, Mediaset è una risorsa del paese), rinuncia (a parole) a fare il Premier, basta che si prenda il potere.
Ecco dunque la trattativa tra Berlusconi e i casaleggesi. Lampo e proficua. Il Cavaliere tratta la resa, ma è una gran bella resa. Praticamente tiene entrambi i ragazzotti minorati per i coglioni. "Li faccio schiantare quando voglio", pare abbia confidato ai fedelissimi. Libera Salvini: ok, andate a giocare a fare il governo. E, il giorno dopo, magia: riabilitato.
Non male questo governo di sinistra e del cambiamento, fatto assieme a Salvini, col battesimo di Berlusconi e dopo essere stati rifiutati da Renzi. Bellissimo. È la rivoluzione.
Si arriva agli ultimi giorni. Dove la farsa raggiunge picchi inimmaginabili. Salvini e Di Maio attorno a un tavolo per scrivere un contratto di governo brasileiro giallo-verde. Con loro, le delegazioni. Un concentrato di ridicolo e deliri nazifascisti degni di una Weimar a Paperopoli. Tra i verdi padani l'esperienza del costituzionalista Calderoli, padre del porcellum (chiamato così in modo autocompiaciuto tale era la porcata congegnata), messosi in luce anche per la dura opposizione al ministro Kyenge, perché somigliava a un orango. Poi l'economista illuminato Borghi, a spalleggiare il padre della Flat tax Siri, dal curriculum sontuoso (perché i grillini trattano solo con gente onesta, e competente): due società in paradisi fiscali, socio indagato a Reggio Calabria, condanna per bancarotta fraudolenta. Chi meglio di lui per provarci con l'Italia?
Tra i gialli stellati, da destra a sinistra: Rocco Casalino, ex gf poi lanciato da Lele Mora e filosofo pensatore di rilievo: i poveri hanno un odore diverso dai ricchi. Poi Toninelli, col ceruleo sguardo fiero di chi ha fatto una scorreggia in ascensore. Il fautore di una creativa flat tax per i poveri e del furto vantaggioso per il derubato. A suo modo un genio che non sarebbe in grado nemmeno di trovarsi il cazzo nelle mutande. Poi il guardasigilli in pectore Bonafede, tenace no vax con lo sguardo vispo di chi passa le notti su youporn.
Che menti. Una tavola rotonda che esonda neuroni. Tutti pronti e infaticabili, per dare un governo al Paese, sotto la guida dei loro capi supremi: Salvini smanicato e Di Maio sorseggiante coca cola col cipiglio da capo di stato.
Sono giorni di lavoro intenso, estenuante, da universitari fuoricorso intenti a studiare di notte per passare un esame. Che va bene anche 18, sig. Mattarella, ci facci governare.
Giggino e Matteo si sgolano per ripetere che non stanno pensando alle poltrone ma ai contenuti. Un mantra così ossessivo e non richiesto che uno pensa al contrario: si stanno spartendo in modo osceno le 300 nomine.
Quale razza di sgorbio pronto a farci andare in bancarotta alla velocità della luce partoriranno? Si può solo intuire. Non hanno un candidato premier. Ma il (presta) nome di questo stato di polizia ruttante conta poco. Tremonti, Sapelli, Conte. Al limite Fusaro, Povia o il suo sosia meno dotato Scanzi. Tutti nomi sapientemente bruciati dal fantozzino di Pomigliano, che quella poltrona la vuole per sé. Arrivano alle consultazioni senza il nome. Ma il programma è una bomba. Si scrive la storia. Dateci altre 24 ore. Chiedono tempo a Mattarella, che ha pazienza da vendere. Del resto i tedeschi ci hanno impiegato sei mesi. E sono tedeschi. L'aspirante premier fuoricorso fa sapere che, una volta concluso, il contratto dovrà essere approvato dagli adepti in rete. Come se con le elezioni non si fossero già fatti giudicare. Insomma, un voto anticostituzionale per un contratto anticostituzionale, da parte di una setta che in conflitto di interessi, decide le sorti del paese. Sembra fantascienza. All'estero, almeno. Qui sono solo ragazzi, scavezzacollo.
Ma cosa ci sarà in quelle striminzite pagine di contratto eversivo, di così delirante, da spingere Mattarella a farli tornare al prossimo appello?
Qualcosa che potrebbe far ridere, ma invece fa piangere e dovrebbe indurr gli elettori dei due cialtroni ad autosospendersi il diritto di voto. E di fare figli.
Cosa dice la bozza di questo contratto? Roba da gelare il sangue nei polsi. Una raccapricciante sequela di aberrazioni politico-economiche che sembrano scritte da Peppa Pig ubriaca aggregata ai fascisti su Marte. Un mix di cialtronaggine, suicidio economico e disposizioni da regime fascista. Norme da stato di polizia. L'Ungheria di Orban in confronto è una democrazia illuminata. Manca solo l'invasione della polonia e un decreto salva peti in ascensore.
- Un incostituzionale ed eversivo Comitato di Conciliazione littorio, eversivo organo parallelo al consiglio dei ministri.
- Disposizioni per uscire dall'euro
- Flat tax con doppia aliquota
- Non un sillabo per il sud
- Respingimenti e 500 mila rimpatri
- Condoni come piovesse
- Cessazione delle sanzioni alla Russia
- Vincolo di mandato. L'ultimo fu quello del duce. Non più  parlamentari della Repubblica, ma di partito. Un cadeaux, cioccolatino per i tanti, esimi, costituzionalisti e patrioti a difesa della carta costituzionale, preoccupati per la deriva antidemocratica degli ultimi governi.
- (dulcis in fundo) la cancellazione del debito italiano di 250 miliardi presso la Bce. Che 300 pareva cafone.
- A margine, gli 80euro vanno bene. Il jobs act è ottimo. Confermati anche i vaucher, quelli che in campagna elettorale consideravano strumento di schiavismo. Ablozione del Cnel, dopo il furente No al referendum renziano, diminuzione dei parlamentari (che abolire il Senato faceva troppo giglio magico).
Penso che possa bastare.
Reazioni?
C'è viva preoccupazione nel Pd. Martina sgomento. E pensare che voleva sedercisi a un tavolo (di manicomio). A Liberi e Uguali il giorno dopo le elezioni si erano detti disposti a un governo di sinistra (vera, con cui superare il renzismo di destra) ora parlano di governo di destra, la più estrema della storia.
Costituzionalisti ed economisti cadono dal pero. Flores D'Arcais, Zagrebelsky e quella rancida ricotta di sinistra per anni ultras dei fascisti buffi contro il demonio fiorentino, pericolo per la democrazia con la sua riforma costituzionale, ora vedono i loro pupilli usarla come carta da culo, la costituzione più bella del mondo. Il populismo - chiosano affranti - sfocia nella destra eversiva. Ma è colpa dell'irresponsabile Renzi che non ci si è alleato.
Giornalisti (tutti, tranne qualcuno), reduci da anni di instancabile, mai visto, massacro al Pd e a Renzi, ora scoprono, folgorati sulla via di Damasco, che M5s e Lega sono pericolosi. Che Di Maio e Salvini sono due irresponsabili cialtroni. Non cialtroni, ma consapevoli criminali quelli che hanno nutrito la loro ascesa. Ospitati senza contraddittorio. Ascotati in estasi mistica proferire le immonde porcate che ora, che han deciso di attuarle, scoprono essere pericolose. Evviva. Uno per tutti: con faccia da culo impagabile, Floris ha capito che se Salvini e Di Maio manterranno quello che dicono, l'Italia andrà in bancarotta.
Poi ci sono anche gli intellettuali. L'intellighenzia di sinistra che si è buttata a volo di gabbiano sui 5stelle. Da Santamaria a Amendola, la Mannoia, Laura Morante. Tutti delusi. Già me li vedo, quando il governo fascio leghista proverà a eliminare le conquiste civili ottenute dal governo Gentiloni (troppo di destra, bontà loro), scendere in piazza e protestare. Resistenza, compagni. Ma lo leggevano quello che proponeva Grillo? Tutti convinti che i 5stelle fossero di sinistra e che potessero spingere il Pd a sinistra. No, procede garrulo a braccetto con la Lega verso la logica destra più trucida. Evviva loro. Del resto si sa, il problema dell'intellighenzia di sinistra è che è demenzia di destra. Tale Marescotti, un attore, si dice deluso. Pensava fossero di sinistra. Certo però, potrebbe digerire anche Salvini se solo facessero una legge sul conflitto di interessi. Tornerebbero sinistra vera se giustizziassero Berlusconi. Ancora di più spedendo Renzi al confino.
Ultimi ma non ultimi gli elettori stellati. La maggioranza sono felici. Son fasci, del resto. Poi ci sono i 5stelle di sinistra (alcuni anche capaci di intendere e volere). Ne conosco uno, povero diavolo. Ha votato M5s perché stanco della politica attuale, affinché ci fosse legalità, meritocrazia, lui laureato precario. Voleva che questa forza politica governasse da sola, senza inciuci di palazzo, spartizioni di poltrone. Mai più governi terzi "non eletti" e rispetto della Costituzione. Basta Berlusconi col conflitto d'interessi. Via il destro Renzi, che voleva stravolgere la Costituzione. Ribrezzo per il razzista xenofobo Salvini.
Beh, ho pensato a lui ora. Ha come candidato premier uno stewart semi analfabeta, rischia di trovarsi al goverrno con Salvini, in un movimento setta nel quale Casaleggio in conflitto di interessi fa a brandelli la costituzione e con un Premier terzo (non eletto dal Popppolo), dopo inciuci, sotterfugi e trattative per spartirsi le poltrone che manco gli squali affamati. E che ci porterà dritti al fallimento. Roba che quello greco al confronto sembrerà un party. Che dire, auguri. Pensare prima di votare di pancia, può essere utile ad evitare di essere sommersi dalla merda.


martedì 24 aprile 2018

IL GIGGINO PREMIER







Ma quanto è tragico il balletto degli antinciuci, anticasta, anti poltrone, che pur di diventare casta e sedersi sulla poltrona, si affannano con vista annebbiata e salivazione azzerata nel patetico tentativo di inciuciare con tutti, senza riuscirci nemmeno, essendo totalmente cretini? Tanto. Impagabile, direi.
Giggino Di Maio vuole governare. Fortissimamente governare. Se solo sapesse cosa si intende per Governo. Presto sarà istituito il premio "Giggino Premier", che andrà a sostituire il "nanetto d'oro" di arboriana memoria. Eccolo sorridente innanzi al Presidente Mattarella, persona che "stima molto, di grande equilibrio". "Perché non lo avete votato due anni fa allora?", chiede un avventuriero. "Non lo conoscevamo". Ci sta, uno mica può sapere tutto. Le uniche notizie trovate erano quelle di Travaglio, per cui Mattarella era fratello di uno ammazzato dalla mafia e, come tale, mica poi tanto santo. Eh, già.
"Caro Matterello, avendo giunti primi in classifica io dovessi fare il Premier della Italia e indossare la maglia rosea, mica le chiacchiere.".
Il Presidente, con grande aplombe.
"Egregia, incommensurabile, testa di grandissima minchia, non hai vinto un beneamato cazzo. Contano le coalizioni e il centrodestra ha più voti di voi coglionazzi. Se invece di fare il cretinetti su Twitter avessi studiato la legge elettorale, la Costituzione, ora lo sapresti.".
"Quindi mo che faccio del mio 32%?".
"Ti ci pulisci il culo, coglionazzo, o fai un accordo. Quello che voi bestie ignoranti chiamate inciucio. Ah, un'ultima cosa, Pupazzi. Lo sapete quello che sta succedendo in Siria, sì? Che proponete, un referendum on line su ruzzle?".
"Vabbuo', ora provo a fare lo inciucio. Poi vediamo come fare con la guerra. Ma Assad è una brava persona che restituisce il vitalizio o è un farabutto che se lo tiene?".

Preso a calci da Mattarella, il funambolo di Pomigliano non può perdere tempo. Anche un minuto è prezioso. Finita l'era del "mai alleanze con altri partiti", inizia quello della "puttana" che la darebbe a tutti, ma proprio a tutti. Anche ai tre gatti morti di fica/poltrone di Liberi e Fessi che, non a caso, sono i primi ad accettare con bava alla bocca e moscio cazzo barzotto in mano, pronti per la copula da impotenti. Dopo il microonde di Bersani, Giggi apre poi il forno della Lega e trova Salvini tenuto a guinzaglio sadomaso da Berlusconi nudo. Va bene votare la berlusconiana più berlusconiana di Berlusconi Casellati come Presidente del Senato, ma come Premier no. Ardono dal desiderio di fare un governo con Salvini, ma con Berlusconi (di cui Salvini è sodale da un trentennio) giammai. Da delinquente si accetta un vigoroso appoggio esterno, ma al governo insieme no. Per convincere Salvini a mollare l'omino di Arcore, accetta (grazie a uno studio scientifico a quattro mani di Sibilia e Toninelli su wikipedia) la Flat tax, ma solo se progressiva e che tenga conto anche dei poveri. Come dire: sì a una legge sui matrimoni gay, ma solo se si sposeranno un uomo e una donna. Adottiamo un cane, ma solo se è un gatto. Sì allo Ius soli, ma solo se ne beneficeranno i cittadini italiani. Va bene il reddito di cittadinanza, ma solo se è dato a chi non è cittadini. Geni assoluti. Non si battono questi. E mandrie di giornalisti appostati pendono dalle loro labbra, senza un minimo sussulto, un liberatorio "ma che cazzo state a dì? L'Italia può andare nelle mani di questi totali cretini?". Travaglio non si sottrae e, tagliente, chiede all'autopriclamato premier se nella carbonara mette tutto l'uovo o solo il rosso.
Giggino però, è in gabbia. Salvini resta fedele a Berlusconi (divertito come un bimbo nel far saltare tutto) a cui, ormai incapace di intendere, riesce anche di dire l'unica cosa sensata degli ultimi trent'anni: "I cinque stelle non li prenderei nemmeno come lavacessi a Mediaset". Possiamo dargli torto? Prima d'essere miracolato con un pugno di voti on line, lo stewart di Pomigliano avrebbe visto il posto di lavacessi a Mediaset come un miracolo della Madonna. Ma il povero Di Maio è vittima anche del fuoco amico, col cavallino di riserva Dibba (fermo per un turno e impegnato a scrivere reportages da Antigua per il Fatto) che spara su Di Maio come un D'Alema (scemo però) su Veltroni.

Ercolino sempre in piedi però non si scoraggia. Quella poltrona deve essere sua, costi quel che costi. Come Pippo Franco che un tempo va nella curva della Roma e l'altro in quello della Lazio, ora prova col forno Pd, chiuso a doppia mandata, come uno stalker con la bava. Lega o con Pd, è uguale. Il programma? Come pensate di allearvi con partiti agli antipodi? Come conciliare il vostro programma con un altro che rappresenta tutto quello che avete combattuto e per cui gli elettori vi hanno votato? Qualcuno glielo dirà? Un eroico giornalista che non teme le (già attivissime) purghe casaleggesi, forse? No, la Gruber vuole sapere se devvero ama tanto la sua fidanzata.
Che problema sarà mai il programma, suvvia. Le elezioni sono finite, gli inganni pure. È tempo di mangiare, con Franza o Spagna purché se magna. "Il programma del M5s si può realizzare in trent'anni...(se sarete ancora vivi...)", dichiara la capagruppa. Il reddito di cittadinanza non si fa più, ci accontentiamo di quello di inclusione pidiota. Ve lo immaginate se Berlusconi il giorno dopo le elezioni avesse detto: "Il milione di posti di lavoro? era solo campagna elettorale. Ci vorranno almeno trent'anni, e poi quel Prodi lì ha lavorato bene eh, dobbiamo governare insieme...". Fucilato in Piazza Loreto. O ancora, immaginate se l'ominide di Rignano se ne fosse uscito con "Ma che ci avevate creduto agli 80 euro? oh grulli, era solo campagna elettorale...". No, il farabutto ha addirittuta mantenuto la promessa, e non gliel'hanno mica perdonata quest'infamia.

Giggino però è abilissimo. La sua evoluzione è graduale, non meno che rapida. Dal Pd male
assoluto passa a un dialogo col Pd derenzizzato, fino a spingersi al petting sfrenato ammettendo che governi Renzi e Gentiloni "hanno fatto molto bene". Ormai steso arriva al "Ci sono molti punti in comune col Pd (non è chiaro se li trovi nel "mafiosi" o "ladri")", fino alla resa "Renzi imprescindibile nel dialogo m5s-Pd". In piena crisi isterica, sarebbe pronto a votare Sì alla riforma costituzionale di Renzi, confermare Jobs Act, buona scuola, Italicum, tutto. In lacrime. Ancora qualche giorno e chiederà a Matteo Renzi di fare il Premier, proporrà babbo Tiziano Renzi Presidente della Repubblica, la Boschi ministra dell'economia, banca Etruria sede estiva del Governo.
Di fronte a queste cialtronesche ammissioni d'aver mentito in campagna elettorale, qualcuno potrebbe fargli notare come in qualsiasi paese un bugiardo non può fare il premier? Speranza vana. Tutti genuflessi, estasiati e sbrodolanti senza ritegno, celebrano questa come una svolta da statista del Giggino. Via invece allo sparo sul Pd. Perché si sa, non si sbaglia mai a impallinare il Pd. Quando governa per anni con una maggioranza risicata sono semi golpisti inciuciatori. Se perdono le elezioni e vogliono (per sbaglio) fare una cosa buona standosene all'opposizione, sono traditori della patria.

Di fronte a questo spettacolo penoso si potrebbe pensare ad u  calo di consensi del M5s. Che qualcuno ne abbia capito contraddizioni e incapacità nel formare anche un governo. Figurarsi governare. Ma che. Aumentano. Volano nei sondaggi. Un po' perché, bene o male, purché se ne parli. Conta solo l'esposizione mediatica. Un po' per l'effetto d'Urso: più raschi il fondo del barile, più fai ascolti. Qualcuno però nel Pd resiste ancora al corteggiamento. C'è allora bisogno di un'altra giravolta. Diventare di sinistra. Non è complicato. In fondo non sono né di destra né di sinistra, ma di merda. E la merda va bene con tutto. Non sono né fascisti né antifascisti, sono per l'uscita dall'euro, ma anche per un euro forte, vogliono uscire dall'Europa ma rimanendoci dentro, uscire dalla Nato ma (dopo modifica notte tempo del programma) restando fedeli all'alleanza atlantica, vogliono il reddito di cittadinanza ma pure una Flat tax andrebbe bene, lo strangolatore di Boston Renzi è il male assoluto da cancellare, ma anche "imprescindibile" in un governo 5stelle-Pd, sono contro le Ong ma bisogna salvare i poveri migranti, e così via. Non è certo una tragedia allora mettersi un mantello di sinistra. Urge però un nome nuovo, spendibile. Magari solleticando l'animo vendicativo di Renzi nell'appoggiarlo solo per il sadico gusto di vedere Di Maio fare le figura del pollo allo spiedo. Il nome è ovvio: Papa Francesco II Fico il neomelodico, che più di sinistra non si può: cammina a piedi, mica in jet (e pazienza se per il torpedone di sicurezza che si porta dietro si spenda più di un volo Roma-New York). È per dalla parte dei poveri, visita i senza tetto, parla come un carmelitano scalzo (submentale), porta una barba incolta che fa molto sinistra, suo nonno nel '72 votò una volta comunista.
Insomma, chi meglio di lui per stanare il Pd?
Che poi, essendo Pidioti, magari ci cascano davvero.



Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.