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venerdì 6 novembre 2009

Finale di Federation Cup. Italia pronta a sbranare i piccoli Usa



Ah come sono lontani quei tempi. Sorridenti soldati stelle e strisce, a bordo di luccicanti cingolati, liberarono l'Italia oppressa, donando “cioccolate-cioccolate! E sigarette a papà!” (libera e fedele citazione di mia nonna, che fanciullina, dai generosi soldati, anelava cioccolato al latte di cui era ghiotta assai e sigarette per il babbo indigente). A Reggio Calabria, sede della finale di Federation Cup, arriva un'America piccola-piccola, in tutti i sensi. Pronta ad essere spazzata via dalla corazzata italiana. Chi lo avrebbe mai detto alla mia povera nonna.
Invece delle monumentali sorellone Williams, fresche di finale al Masters di Doha, ed evidentemente bisognose di riposo, e ritempranti nuotate nella piscina olimpionica della umile magione di famiglia, atterrano in Calabria un manipolo di giovinette yankee, pronte a recitare la parte delle sceniche vittime sacrificali. Due teenagers bionde della stessa risma tennistica e fisica, che paiono strappate ad una pubblicità sulle gomme da masticare o lo shampoo baby alla camomilla. Entrambe biondissime e con tanto di mascella volitiva impertinente, occhi vispi, sorriso durbans e dentatura impeccabile, modellata da macchinette d'acciaio.
Melanie Oudin la tremendissima, diciassettenne trottolino biondo che agli US Open sembrava la nipotina liceale di Jimbo Connors, dopo l'exploit di New York, uscita dal trance, non ne ha azzeccata una, perdendo a ripetizione nei tornei di qualificazione in Oriente. Alexa Glatch, seconda singolarista, è più gracilina di Melania, di anni ne ha venti, ma almeno due li ha persi a causa di un grave incidente in macchina, che le frantumò braccio e polso, mettendo a rischio l'intera carriera. Da quindicenne grande promessa, si è riadattata a discreta tennista, incapace comunque di entrare tra le prime cento.
Le nostre sono favorite per classifica, esperienza, stato di forma, ambiente e maggiore attitudine alla superficie, rispetto alla due giovinette dal gioco piatto, più avvezze ai campi in cemento delle high school. Mary-Jo Fernandez, avvenente mister delle americane (nonché graziosissima perdente da top 5 negli anni '90, con tanto di coda di cavallo bombata e pelle ambrata da indiana cherokee), non aveva altra scelta. Sperare che Melania ritorni irriverente agonista in stato di grazia esaltata, scambiando Reggio per NY. E Alexa si scopra grande (ed integra) giocatrice, di colpo. Non è molto, ma quello poteva fare la povera Maria Giovanna spiritata.
Occorre davvero fare un enorme sforzo di fantasia, per immaginare come le due top 20 azzurre, possano fallire l'obiettivo. Allora ci provo. Le condizioni approssimative della nostra velina bruna ispano-brindisina, alle prese con un ginocchio bizzoso ed una stagione massacrante. Poco male, in caso di forfait, anche Roberta Vinci e Sara Errani partirebbero favorite contro entrambe le stelline americane in disarmo. Unico punto in discussione, il doppio. Con gli Usa in grado di mettere in campo una coppia collaudata (King/Huber), capaci almeno di giocarsela alla pari. Malgrado l'evidenza, ovviamente, da più parti si è letto dichiarazioni attente e circospette, volte a scrutare ogni periglio nemico. Tutte concordanti nel prettamente italico “calma è gesso”. Certo, c'è l'inquietante precedente del primo turno al Roland Garros, dove Flavia Pennetta, versione madonnina di piombo, fu ridicolizzata dalla giovane Glatch (6/1 6/1), riuscendo nell'impresa di trasformare la modesta ragazzina bionda, in pronipote di Chris Evert. Ma tant'è, una rondine non fa primavera, ripeteva il saggio dopo essersi scolato la settima birra.
Resto convinto che con Serena in campo, avremmo visto un confronto combattuto fino all'ultimo quindici. Così, cataclismi a parte, prevedo una passerella, anche meritata (perchè no) delle nostre. Toccate pure zebedei e qualsivoglia ammennicolo, tenendo a mente che non indovino un pronostico, fieramente, dal 1987. E allora non rimane che immaginare tra una partita e l'altra, un comizio improvvisato di “Cetto Laqualunue”-Antonio Albanese, “infattamente e quantunquemente...”. O al limite, sperare che Fabretti (presumo sia lui il cantore Rai dell'evento) riesca a rendere appassionante l'incontro, producendosi in qualche briosissimo virtuosismo maramaldeggiante, da cabaret involontario. Sperando che, uno e trino, il nostro impavido eroe delle telecronache, reduce dal commento della settimana Valsugana di ciclismo, arrivi per tempo.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.