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venerdì 30 aprile 2010

Internazionali d'Italia di tennis, panoramica sui quarti



Dopo Federer, cadono anche Soderling e Murray. Avanzano spediti Nadal e Djokovic, s'arrende con onore Filippo Volandri, ultimo italiano in tabellone
Gulbis-F.Lopez. Lo scapigliato lettone mostra in due giorni l'essenza intima del suo essere fuori da ogni schema. S'avventa magnificamente famelico sui resti di un Federer lontano dai suoi fasti. Poi, falloso ed urticante nel suo genio strozzato, rischia di perdere da Filippo Volandri, in stato di esaltazione. Graziato da due facili errori, ed una volè scentrata dal nostro alfiere, nel tie-break del terzo set. I limiti di Volandri sono sempre quelli, soprattutto un servizio così debole che puoi accenderti una sigaretta e fumartene metà, prima di rispondergli. Ma con le motivazioni giuste, e quel magnifico rovescio, può ricostruirsi ancora una carriera. E rimane l'unico italiano in grado di esaltare le platee (E Seppi? Squillerà qualcuno. Certo, Seppi.). Il pur schizoide cammino di Gulbis, ha avuto un increscioso filo conduttore: Il dileggio sguaiato del pubblico. Una serie incredibile di fischi, insulti, schiamazzi e pernacchie durante il gioco, o prima che servisse. Quasi non gli si potesse perdonare il ruolo di turpe guastafeste, contro Re Federer e l'eroe azzurro. Niente di strano, una forma di subumano provincialismo simile a quello francese o inglese, solo un po' più rustico e pecoreccio. Andrà meglio al talentuoso lettone nei quarti contro Feliciano Lopez, dove non dovrebbe sorbirsi nemmeno gli urletti trepidanti di "Lopezzettes" baffute, ormai in estinzione. Feliciano si è guadagnato un posto nei quarti dopo il doloroso forfait di Ljubicic, e la bella vittoria su un Cilic sempre più bradipescamente smarrito e in crisi nero pece. Lo spagnolo pareva già morto e versione "er moviola" dopo due games, poi il suo gradevolissimo tennis d'attacco costruito su sviolinate volè mancine l'ha spuntata dopo quasi tre ore. Per dire com'è ridotto Cilic, e quanto oramai abbisogni di specialisti dell'occultismo. Per quanto valgano i pronostici quando di mezzo c'è il bohemienne lettone, Gulbis parte favorito, ma Feliciano ci proverà, almeno a dare spettacolo.
Nadal-Wawrinka. Rafael Nadal, manco a dirlo, s'è presentato a Roma con ferocia famelica. Azzannato senza pietà due leziosi esponenti del classicismo tennistico: Bello, elegante ed inoffensivo. Sbranato con sadismo l'ermellino Kohlschreiber, ha infierito come un martello arrotante sul dracula dei Carpazi Hanescu, tennista gradevole, fluido ed agonisticamente morto contro simili avversari. Ora, per un Rafa che sembra inarrestabile, un altro rovescio classico da sventrare: Quello di Wawrinka. Poche chances per lo svizzero meno nobile, al solito implacabile cacciatore di quaglie zoppe, e pavido agnellino sacrificale coi più forti. A Roma ha giocato un gran torneo, forse andando anche oltre i limiti dettati dalla sua indole. Ebbro di topexan e con grande ardore, porta a casa uno dei match più belli dell'intero torneo, battendo Tomas Berdych, ceco che sta scoprendo la moderazione. Cioè, adesso riesce a perdere anche con discreto giudizio. Poi Stanislas ha passeggiato su Soderling, col disturbato boscaiolo nordico che pure a Barcellona era sembrato in ripresa e in ritrovate condizioni fisiche.
Tsonga-Ferrer. Quarto di finale interessante, e probabilmente molto tirato. Jo Tsonga giunge ai quarti con rinnovata ed illusoria esplosività. Perché appare esercizio di fantasia acrobatica, considerare attendibili test Viktor Troicki e Santiago Giraldo. Il primo, una specie di pupazzo "gnappo" col pugnetto incorporato, letteralmente irriso, trasformato in legnoso tergicristalli e preso a sberle sul suo bel faccino ricoperto da adolescenziale barbetta caprina. Il secondo, direttamente proveniente dalla Colombia e dai challenger di Katmandu e Bucamaranga dove lottava all'arma bianca con Lorenzi e Ungur, passa le qualificazioni e improvvisatosi Nembo Kid esaltato, schianta in sequenza Ferrero e Llodra, prima di arrendersi al tennista pugilatore francese. Ferrer arriva al confronto, continuando a macinare tennis e morsicare asciugamani, come cagnaccio ingobbito da schivare con cura. "Ma alla fine ci arriva sempre", verrebbe da dire con rassegnazione. Riduce a miti consigli Potito Starace, e divora la carcassa dimessa di un Andy Murray, insegnandogli tennis da terra battuta ruvido e sporco quanto basta. Lo scozzese in vaga ripresa. Certo, è passato da deperita ameba fluttuante ad una specie di riesumato dalle tombe etrusche (e pensare che qualcuno, dopo la vittoria su Seppi, aveva parlato di uno scozzese pienamente ritrovato. Neanche il nostro fosse il Borg di Caldaro.).
Djokovic-Verdasco. Il serbo ha esordito sgambettando in orrida scioltezza, in palla e pronto alla rivincita della recente semifinale monegasca con l'iberico. Due turni passati spazzando via avversari senza alcun patema: Chardy, giovanotto francese dalla gran sensibilità di braccio e dal nitido talento. Talmente grande, che prova ogni volta a non mettere una palla in campo, e spesso ci riesce. Poi Tomas Bellucci, brasiliano che visti due scambi, col serbo poteva vincere solo in una gara di samba o telesina. Discorso diverso per Verdasco, reduce da due settimane giocate al massimo, condite da una finale a Montecarlo e dalla vittoria a Barcellona. Nella città eterna ha mostrato chiari segni di appannamento, dei quali non ha saputo approfittare Simone Bolelli (in ripresa, da smemorato di Collegno incapace di vincere una partita nei challenger, ad arruffato e bonario talentino inespresso, che con il solo dritto può tranquillamente tornare tra i primi cinquanta al mondo. Al Master di Londra no, perché non sono seguace del "partito dell'ottimismiii".). Il funambolo madrileno ha già dimostrato di avere le armi per battere Novak Djokovic, investendolo con accelerazioni al fulmicotone che spazzolano gli angoli. Ma l'inevitabile stanchezza fisica, potrebbe rendere il match diverso da quello visto nel principato.

giovedì 29 aprile 2010

Internazionali d'Italia di Roma. Pronostici sicuri per gli ottavi.

Gulbis-Volandri 1 (2-0. Secco come un vitigno d'inverno. Se Gulbis non muore sul campo, o se ieri non ha fatto le 8 di mattina in compagnia di due cubiste ninfomani.).
F.Lopez-Ljubicic 2 (0-2. Feliciano sarà stanco. Ieri sembrava di vedere "er moviola" già dal primo game. Ma l'altro - bradipo truccato a gobbo di notre dame Cilic - lo era ancor di più.).
Nadal-Hanescu 1 (2-0. Il rumeno è assai gradevole, soprattutto quando non lo si vede, e può persino vincere 4/5 games.).
Soderling-Wawrinka 1 ( 2-0. Wawrinka ieri ha dato tutto. Ed ha esaurito le scorte di topexan. Credo.)
Tsonga-Giraldo 1 (2-1. M'illudo. E poi qualcuno dovrà pur porre fine alla cavalcata del colombiano travestito da superman con l'effigie del caffè kimbo sulla tuta.).
Murray-Ferrer 1 (2-1. Ma non mi giocherei un copeco, oltre dieci euro della puntata.).
Verdasco-Garcia-Lopez 1 (2-1. Malgrado Nando sia stracco e voleva pure far vincere Bolelli ieri. Ma quello, figurati se lo capiva...).
Djokovic-Bellucci 1 (2-0. Prevedo una prestazione spumeggiante del serbo. Che neanche Marat Safin con la gotta).
Dovessi azzeccarli tutti, è pronto un biglietto di sola andata per l'isola di Pasqua, dove soggiornerò circondato da indigene seminude e assai vogliose. In quei lidi aprirò un chiosco di panini "bella italia" (mozzarella-pomodoro e rughetta selvatica).

mercoledì 28 aprile 2010

Internazionali d'Italia, il mesto saluto di Federer


Una giornata da tregenda fantozziana. Dense nubi di cemento all'orizzonte, premonitrici di nefaste novelle per gli adoranti supporters sugli spalti. Sua maestà danzante Roger Federer, signore di tutte le celestiali galassie tennistiche, fa il suo esordio agli Internazionali d'Italia, in un uggioso tardo pomeriggio romano.
Gulbis, per un esordio imprevedibile. Al cospetto del monarca, la sagoma allampanata e scapigliatamente rossiccia di Erests Gulbis, giovane lettone criminosamente auto confinatosi ai margini della classifica. Un ceffo che da almeno due anni s'ingegna per soffocare il nitidissimo talento avuto in dono da divinità in giornata di grazia. Sembra, Ernests di Lettonia, uno di quegli svitati che godono intimamente nell'ammazzare il proprio talento, trovandone ispirazione mortale. Gli altri, i dritti, li credono pazzi, e loro glielo fanno credere. Sarà per quello che, ritiratosi Marat, si è guadagnato un ingresso di diritto nella mia classifica di "ram-polli".
Sebbene schizoidamente imprevedibile, svogliato, snob, viziato, e tanto altro, rimaneva brutto cliente per un Federer alla prima assoluta sulla terra battuta. Non l'avversario ideale per la sua oramai risaputa scelta di programmazione, su tutte quelle manifestazioni che non sono Grande Slam: Preparazione approssimativa (inesistente suona male), un paio di avversari materasso da superare e con cui trovare un minimo di condizione. Poi tutto ciò che viene sarà accettato con l'animo sereno di chi ha già vinto tutto, e che vuole solo provare l'ultimo sfizio immortale. Altro conto sono le frotte di estasiati tifosi, che dagli spalti gridano il nome del "verbo" in estatica crisi mistica. Quelli, si aspetterebbero di vedere lo stesso mostruoso atleta che ammirano dalla tv, nei majors, capace di macinare record ed avversari. Ingenuità da poveri tifosi. A qualcosa occorrerà pur rinunciare, per diventare Roger Federer, si starà ripetendo lo svizzero da tempo.
Primo set da numero uno assoluto. Complice il candido e poco ingannevole bianco, lo svizzero pare pingue e con una tondeggiante panzetta da ricco signore snob, schiavo del vitello tonnato made in Mirka. Poco male, c'è sempre un irripetibile talento a tenerlo a galla. Federer svolazza leggiadro. Gulbis è il solito Gulbis. Prova invano ad uscire dalla morsa letale, con una tattica da giovane aspirante al suicidio. Rischia l'impossibile, e sbaglia anche di più, con impazienza kamikaze. Timore reverenziale, nessuno. Ernests, al limite ce lo ha con il suo "io" fluttuante da qualche parte, nell'iperuranio. Il numero uno al mondo, tra abbozzi di pioggia imminente, pattina in leggerezza sulla terra umida, e fa suo il primo set, tra un ricamo ed un fulminante dritto ad uscire, piazzato in punta di piedi: 6-2, e trenta o quaranta minuti di gran tennis elvetico da numero uno al mondo, senza tanti se.
Il lettone naif soffre maledettamente. Stringe i denti e rimane lì, ad inizio secondo set. Quattro o cinque games di tennis di veemente bellezza, tra un Federer ancora in palla ed un Gulbis che comincia a prendere fiducia nei suoi straripanti mezzi tecnici. Inizia a servire benissimo, accelerazioni in controbalzo che sono assoluta sinfonia deflagrante. Il numeroè svogliatamente smarrito dall'affronto, e a quell'attitudine si appaia la rabberciata condizione fisica.
S'accende la spia della benzina monarchica. Aveva un set nelle gambe Federer, non di più. Comincia a remare, in balia dei colpi fluidi ed esplosivi dell'avversario. Pesante e sempre in ritardo sulla palla, finisce per perdere la misura dei colpi, gettandoli via. Il secondo set scorre via dominato dal lettone: 6-1. Lo svizzero prova a tenersi a galla con qualche fiammata isolata, ma il suo viso è una sagoma di stanchezza, come non la si riesce a intravvedere nemmeno dopo cinque ore di battaglia, in un torneo dei suoi tornei dello slam. L'altro, manco a dirlo, continua nella sua missione virulenta. Gli riesce un rovescio incrociato vincente in controbalzo, col corpo in tremendo ritardo sulla palla, che è fantascientifica gioia tennistica. Gran personalità il boccoluto eroe di giornata. Nessuna paura, ed uno sguardo a metà tra lo sbruffone, l'allucinato, l'annoiato e l'incurante, quando si prende con violenza un break di vantaggio anche nel terzo set.
Il commovente sostegno del pubblico. C'è ancora il tempo per l'ultimo teatrino, ad impreziosire la tragicommedia in atto, sul nuovo centrale. Roger salva miracolosamente due match point sul 3-5, uno osservando un missile di dritto dell'avversario, fuori di un nulla. Gioia e tripudio del pubblico, che al di là delle latitudini, somiglia a quello di un eccitato (ed eccitante) comizio di Borghezio a Ponte di legno. Fischi e schiamazzi, con la palla ancora in gioco. Gulbis è colto da frenesia, simile ad angoscia folle, mentre serve per il match. Un letale miscuglio di insondabili morbi "Marattiani" e "Goraniani" di cui il lettone è vittima impotente, lo portano a provare l'ace di seconda sul match point, a 220km/h. Delirio assoluto del pubblico sul doppio fallo, così come sulla prima sbagliata. Gulbis non reagisce e non si scompone, forse non sente nulla. Cori da stadio, drappi svizzeri sventolanti. ma Federer è come un Robert Plant che regala mezz'ora di delirio ai suoi fans accecati d'amore, e poi prende a steccare, letteralmente sbronzo. E quelli applaudono lo stesso. Non pare nemmeno troppo entusiasta del 5-5 raggiunto (San Jimmy Connors, salvaci tu, penso tra me e me). Getta via nuovamente il servizio, con un game che rasenta lo scempio tennistico. Quando non conta più la condizione, ma il match devi solo portartelo a casa con uno sguardo. E la seconda volta, Enests non delude, chiudendo 7-5. Amen, una prece.
Roger Federer esce mestamente, con uno svogliato cenno di mano verso il pubblico che lo ha sostenuto fino all'inverosimile. Era giunto a Roma con una quarantina di minuti nelle gambe. Il resto poteva acciuffarlo con la sua esondante classe, tirando un coniglio dal cilindro. Ciò che lo solletica, l'ultimo stimolo che ancora lo fa andare avanti dopo aver vinto tutto, è ben chiaro nella sua mente. Gulbis non era tanto d'accordo, è rimasto agganciato, e quel"coniglio dal cilindro" di cui sopra, se l'è sbranato. Non sorprende che abbia vinto contro uno svizzero non al meglio. Al più, smarrisce come riesca a rimanere fuori dai primi cinque al mondo. Ci vuole davvero tantissimo impegno e abnegazione per riuscirci. Forse in ottavi avrà pochissima voglia di stare su un campo, e perderà contro il fantasma formaggino. Non sorprenderebbe. Lui è quello che fece scrivere ad un pazzo appassionato di pelota basca (io medesimo): "Oh, Gulbis. Quello se vuole il torneo lo vince. Se vuole, però." . Confermo, e sottoscrivo alla virgola.

lunedì 26 aprile 2010

Fed Cup, promosse e bocciate


Nel week end romano, l'Italia accede alla finale di Fed Cup. Schiavone impeccabile, Pennetta contratta. Il ritorno di Galeazzi, rutilante e naif come i "lobboni" anni '70 della Hradrecka
Flavia Pennetta: 7. La brindisina è più nervosa del solito. Tesa, frenata, bizzosa come una puledra recalcitrante. Davvero non si capisce cosa le crei quel leggero malessere sotto traccia. Un po' la sagoma corpulenta e surreale della Hradecka, arrangiatissima ma a suo modo imprevedibile. La tensione, forse. O quell'ossessivo "spingi! spingi!" del capitano, che le trapanava le meningi. E Flavia (estenuata) risponde con atteggiamento stizzito da Ana Ivanovic quieta (parlandone da viva). Nel match d'esordio contro la modesta e goffa ceca, la si vede eccessivamente sulla difensiva. Inizia entrambi i set con l'handicap, prima di prendere il sopravvento. Qualche problema anche con Petra Kvitova, da cui si fa trascinare al tie-break, per poi dilagare e darci il punto della semifinale. E in fondo, quello conta.
Francesca Schiavone: 7,5. La "leonessa" offre una prestazione tecnicamente sontuosa, contro quella che la classifica indicava come il maggior ostacolo tra l'Italia e la finale. Sciorinante esibizione di tennis vario ed imprevedibile, che manda in tilt la centralina di una Safarova già improponibile di suo. Back, top, smorzate e prese della rete, come nulla fosse. Un "lift&loft" spumeggiante. L'esperta azzurra, leggiadro passo da "gangsteressa", e lancinanti rantoli udibili solo nelle cerimonie di evirazione di future voci bianche, si conferma la punta di diamante della squadra.
Sara Errani: 6,5. La bolognese urlante vince il doppio e l'ultimo singolare a risultato acquisito, ovviamente lontana dai miei occhi. Intento in una ritemprante passeggiata tra gli augelletti tubanti, udivo in lontananza gli echi strazianti delle sue grida di battaglia. Affidabile numero tre, comunque.
Roberta Vinci: s.v. Il suo record di vittorie consecutive nel doppio rappresentava uno degli argomenti più interessanti dell'intero week end. Fabretti non stava nella pelle all'idea, prospettandocelo come un avvenimento epocale. Chissà se qualcuno gli avrà raccontato che un tizio strano ha vinto sedici slam. In condizioni fisiche precarie, la tarantina rinuncia a giocarlo a risultato acquisito. Brava a prescindere Robertina, sempre. Increscioso il Fabretti: Alle prese col tennis è come Flavia Vento (o la Carfagna) che disserta di politica.
Lucie Hradecka: 5 (8 di umana stima). Il capitano ceco, forse sapendo del rutilante ritorno al commento del "bisteccone" nazionale, deve avercela proposta come cadeaux. Surrealmente goffa, imponente e pesante. Gote paffute e braccia da pingue lanciatrice del peso, questo curioso esemplare di quadrumane semovente ispira una gran tenerezza. "Quando si giocano entrambi i colpi a due mani, occorre compensare con una maggiore mobilità", rimarca con crudele cinismo Rita Grande (6,5). Perché quella per muoversi avrebbe bisogno di un carro attrezzi. "Lucie in the Sky with Diamonds", somiglia ad un viaggio allucinato. Alterna orride pallate in piccionaia a degli anacronistici "lobboni" da sfide over 65 nei circoli. Qualcosa che non si vedeva a livello professionistico dal 1962. Ogni tanto segue quei gran pallonetti a rete, vi si fionda come un adorabile cucciolo di mammuth all'arrembaggio e colpisce di volo con terrore vero, neanche la pallina fosse una salamandra urticante o una pillola contro l'inappetenza. Poi sbaglia e si prende a furiose racchettate sulle rotule. Idolo assoluto. Avrà un posto nel mio cuore e la seguirò con maggiore attenzione, in futuro.
Lucie Safarova: 5. L'altra Lucie, quella forte. Così dicevano i bene informati, con un pizzico d'apprensione guardinga negli occhi venati. Una che se trova la giornata giusta se la gioca punto a punto con Venus Williams al Roland Garros. Altrimenti perde da Romina Oprandi ad Ortisei. Santa Lucia protettrice della vista, a lei non deve aver fatto la grazia. E Francesca Schiavone si diverte come al luna park nello svelare i limiti di questa ragazza dall'intelligenza tattica pari a quella di un lichene. Tradito dalla nazionalità e dal quel modo accecato di concepire il tennis, qualcuno può crederla gemella mancina monozigote di Tomas Berdych. Niente di più sbagliato, è stata la sua girlfriend. E tutto ha una sua malvagia logica. Anche l'eventuale pargolo nato dalla loro gaudente unione: Il lichene di cui sopra, con occhiali da miopia fulminante.
Petra Kvitova: 5. Mandata dentro nella seconda giornata, è parsa meno peggio delle altre. E in fondo, sebbene non adatta alla terra battuta, i risultati giovanili e negli slam, confermavano le capacità del giovin balenottero mancino. Alta e massiccia, con un girovita da figlia illegittima di Moby Dick e Mara Maionchi, Petra è tennista spartana ed estrema. Il suo tennis prevede due varianti di fondo: Roncola terrificante sparata sulla riga o errore pacchiano. Dal terzo scambio in poi si arena tristemente, esalando un ghignetto di dolore. Regge per un'ora contro Flavia Pennetta, prima di squagliarsi inesorabilmente.
Corrado Barazzutti: 7. Soliti pomeriggi da Fed Cup, tranquilli e fiduciosi. Senza nemmeno quel picco "hitchcockiano" dato dal palpitante "dilemma doppio". Ad un certo punto pare si voglia limare le unghie. Solo qualche attimo di concitazione a lacerare il suo serafico mutismo, per scuotere una Pennetta tesissima. "Spingi! Spingi!", le ripete, neanche fossimo in una sala parto. Ad ogni collegamento con la panchina, la solerte inviata riporta quel preziosissimo ed ossessionante suggerimento tecnico-tattico, simile ad un mantra sciamanico: "Eh, Corrado le sta chiedendo di spingere!".
Petr Pala: 5. Leggendo le scelte del capitano ceco, vien da chiedersi quale strano morbo sadomasochistico possa averlo colpito nel preferire Lucie Hradecka a Petra Kvitova. A giochi fatti, questo Davydenko un filo più vitale e con un po' di peluria in testa, non aveva molta scelta. I tre quadri di Botero a disposizione, facevano mezza giocatrice intera.
Giampiero Galeazzi: 8. Il ritorno dell'istrione inarrestabile. Sarà la frizzante atmosfera romana, o chissà cosa, ma pare in forma dirompente. Una serie sconfinata di battute e citazioni da gatto sornione del colosseo, tipiche del cabaret o della trattoria da "Mirketto er monnezza". Dalla Sukova, fino a Kodes. Mica Tilden o Laver. La sua conoscenza tennistica è limitata al Foro. Sta tutta lì, e negli aneddoti che sciorina in modo godereccio. Del tennis moderno dovrebbe sapere poco o nulla. Ma senza mai prendersi troppo sul serio, o con patetiche pretese di rendersi credibili malgrado l'evidenza. Sta lì il segreto. Ogni riferimento a chi lo sostituisce la domenica, reduce dal commento dei campionati regionali ciclo amatori della Valcamonica, è puramente casuale.

domenica 25 aprile 2010

Internazionali di tennis a Roma, tabellone e illuminanti pronostici.




Un frizzante sorteggio al campidoglio, alla presenza del sindaco col drappo tricolore, ha dato il via alla 69esima edizione degli Internazionali di tennis a Roma. Mancava solo Antonello Venditti (versione Guzzanti) ad impreziosire ulteriormente la sobria cerimonia. Poi, gonfi nuvoloni da preludio del giudizio universale, hanno accompagnato il riempimento del tabellone. Tutto sommato equilibrato, non fosse per il gaglioffo scherzetto che stronca sul nascere l'avvincente prospettiva di una finale tra Nadal e Federer. Una breve analisi dei possibili allineamenti ai quarti.
Federer-Cilic. Cammino non facilissimo per il numero uno al mondo. Prima uscita sulla terra battuta contro il vincente di Gulbis-Baghdatis, due ceffi che non hanno nella prevedibilità, una loro caratteristica saliente. Confronto tecnicamente stuzzicante quello tra il lettone ed il cipriota. Di gran lunga il migliore dell'intero primo turno. In una trattoria trasteverina e poi in qualche night, avvolti dal fascino della notte romana. Ma anche su un campo da tennis, se rimane tempo, dovrebbero garantire un bello spettacolo. Passato l'ostacolo, per lo svizzero ci sarebbe il tremebondo Querrey. Grande chance quindi per uno storico re-match Federer-Volandri. Lo svizzero già trema, ma per dare forfait è troppo tardi. Il livornese ha comunque trovato un tabellone invitante, per testare le sue velleità di ritorno a buoni livelli: Florian Mayer e uno tra Benneteau e Querrey, in un MS è come aver avuto un rapporto saffico con la fortuna.
L'avversario di quarti per il monarca svizzero, solo sulla carta, è Marin Cilic in condizione psico-fisica da reduce (senza risultati) di un viaggio a Lourdes. Potrebbero approfittarne: Il vecchio Ljubicic (secondo una importantissima nota fit, pare il croato abbia fatto una gioiosa gita tra i ruderi dell'antica Roma), "Byron Moreno jr" Almagro (Dio onnipotente. Solo ticchettare il suo nome mi provoca un abbrutimento "polpastrellare"), o Feliciano Lopez. poichè gli organizzatori non hanno dato una wild card a Navarro Pastor o Tim Mayotte, lo spagnolo sciorinerà gli unici sprazzi di servizio e volè dell'intero torneo. Ahimè, temo per una sola partita.
Federer 60% (Gulbis 25%, Baghdatis 10%, Querrey 5%) - Cilic 30% (Ljubicic 30%, Almagro 30%, F. Lopez 10%).
Nadal-Soderling.
Eccolo qui un quarto interessante, se ci sarà. La storia narra di un epico dileggio "smutandante" ad opera dello psicotico scandinavo, dell'umiliante bicicletta che proprio a Roma Nadal tentò di completare come suprema punizione, fino al colpo di grazia che Soderling riuscì ad infierire allo spagnolo in quel di Parigi, come un torero squilibrato che mata un toro azzoppato. Nadal inizierà la scalata presumibilmente con Kohlschreiber. L'ermellino teutonico avrebbe anche le armi tecniche per offrire una buona resistenza, e la testa per offrirsi come frugale pasto per la belva spagnola. Poi in ottavi uno a casaccio tra Monaco, Andreev, Berrer o Hanescu, o Pippo Santonastaso (forse ottiene una wild card illuminata all'ultimo minuto. Dopo quella a Naso per le qualificazioni, ci starebbe tutta..).

Più problematico il cammino dell'inconsapevole cecchino svedese, tornato a livelli deflagranti in questi giorni a Barcellona. Il vincente tra Montanes e Lorenzi, per cominciare. Degli italiani, il giramondo romano-senese è stato quello meno fortunato. Il terricolo di Spagna col labbro leporino, sulla terra non molla niente. Per Soderling, ottavo delicato contro Berdych. Ceco che con l'ausilio di un pranoterapeuta sta forse cominciando a capire (ma non ci giurerei) come nel tennis non vince chi fa più "fuori campo". In caso di sue antiche crisi sparacchianti, pronti ad approfittarne Wawrinka o Melzer. Confronto di primo turno tanto godibile esteticamente, quanto profondamente inutile.
Nadal 60% (Kohlschreiber 20%, 5% a tutti gli altri) - Soderling 50% (Berdych 20%, Melzer, Wawrinka e Montanes 10%).
Tsonga-Murray.
Almeno sulla terra battuta, abbinamento probabile quanto Borghezio che festeggia l'unità d'Italia assieme "al triglia" Bossi jr. Cassius Jo, sempre più Sumbu Kalambay, ritrova per la quarta volta di fila Juan Carlos Ferrero nella sua stessa parte di tabellone. Non escludo tra i due possa nascere un amore pieno di lasciva gaiezza, all'ombra del cuppolone. I due partono alla pari, ma qualche chances di spuntarla ce l'ha Jaap Stam de noantri (De Bakker), che li ha recentemente stesi entrambi, a Barcellona. Ma per il giovane olandese, tennisticamente attraente quanto Martufello con la racchetta, ripetersi sarà difficile.

Andy Murray trova sulla sua strada il vincente del lussureggiante derby Seppi-Fognini, che la mano divina del sorteggio ci ha consegnato. Qualcosa che nemmeno Moggi nella sua fase di maggior fulgore, sarebbe riuscito a concepire. Ma uno dei due italiani accederà al secondo turno, e questo è un dato di fatto. Lo scozzese versione ectoplasma ambulante è sposo ideale per una loro impresa. Con un Murray al 10% niente da fare, se si conferma al 5%, le vie degli ottavi per uno dei nostri (credo Seppi), sono spalancate. Poi David Ferrer, che da almeno due settimane si sta spendendo nel suo tennis seviziante, e dovrebbe pur essere stanco (certo). Tenendo presente che da quelle parti staziona anche Potito Starace (manco a dirlo, esordio contro un qualificato), un italiano in semifinale non è utopia, per la sfolgorante rinascita del tennis azzurro.
Tsonga 40% (Ferrero 40%, De Bakker 15%, Troicki 5%) - Ferrer 40% (Murray 30%, Seppi o Fognini 30%).
Djokovic-Verdasco.
Inizio, al solito, in surplace per il serbo. A meno di catacombali segnali di vita ad opera di Tipsarevic o Chardy, del brasileiro Bellucci (più insidiosa e piacevole sarebbe Monica) o improbabili exploit del "karlovic hotdog", John Isner.

Possibile rivincita della semifinale appena giocata a Montecarlo, contro Verdasco nei quarti. Ma per il secondo macino di Spagna, fluttuano nell'aere diverse incognite. Prima tra tutte la sua immagine riflessa nello specchio, poi la stanchezza derivante delle due finali consecutive giocate (Montecarlo e Barcellona), e in ultimo i suoi avversari: L'arrembante sagoma di Bolelli, se passa il primo turno contro un qualificato (fortunello anche lui). A seguire Misha Youzhny, pronto e minaccioso, con quello sguardo rassicurante e denso di bonarietà schizoide. A margine, primo turno interessante (se disputato sei anni fa) tra il russo e Lleyton Hewitt, che a mia insaputa gioca ancora.
Djokovic 70% (il resto a tutti gli altri) - Verdasco 50% (Youzhny 40%, Hewitt 10%).

venerdì 23 aprile 2010

Internazionali di tennis a Roma, arrivano i grandi


I big del tennis si sfidano da domenica sui campi del Foro Italico, con Federer ad affrontare le ritrovate ambizioni di Nadal. Djokovic alternativa credibile e l'oramai inquietante mistero Murray
Partono domenica Internazionali d'Italia maschili di tennis, con gustoso (ma anche no) prologo delle fanciulle rosa di Fed Cup sul "Pietrangeli". L'edizione numero sessantanove si presenta ricca di campioni e curiosità. All'ombra dei secolari pioppi romani, incroceranno le racchette i migliori tennisti della classifica, con un parterre appena scalfito alcune defezioni. Più o meno dolorose, e che comunque non spostano di molto il discorso per la vittoria finale. Già note da tempo le assenze di Haas e Stepanek, possibili varianti goderecce e generatrici di spettacolo fatuo. Soprattutto il ceco dalle tumide labbra da incubo notturno, aveva spesso subito i benefici influssi della friccicante arietta romana di primavera. A loro si aggiunge il forfait di Karlovic, che manderà in crisi i tifosi delle bombe a mano e dei mortai ed allieterà i manutentori dei campi del Foro. Fuori causa anche Nalbandian, che pure a Montecarlo aveva mostrato segnali di forma antica. Più pesanti, ma nemmeno da lacerarsi le vesti, le assenze di Roddick e Davydenko. Il russo esangue, emaciato e pelato, poteva trascinare il caldo pubblico romano, a suon di gladiatorie corride come non se ne vedono dai tempi di Alberto Mancini. Certo, un po' come Buttiglione che arringa le folle. Spicca, ma oramai ci si è abituati, la rinuncia all'ultimo minuto di Del Potro. Qualcuno vocifera sia stato già imbalsamato come Breznev nella vecchia Urss.
Federer alle prove generali sulla terra. Per il resto, ci sono tutti i migliori. Approda nell'urbe anche Sua Maestà Federer, con tanto di corona d'alloro in testa e seguito di folle adoranti. E nella città eterna proverà ad arrivare in fondo. Molto dipenderà dalle condizioni dell'elvetico al suo esordio assoluto sull'argilla, con la considerazione travestita da speranza, che a Roma non voglia sfigurare. Contraltare innegabile, è la classica attitudine regalmente trottante del campione svizzero nell'approcciare tutto ciò che non è slam. Che abbia la testa solo ai tornei major, e quanto Parigi rappresenti uno snodo fondamentale verso qualcosa che non si può dire, è risaputo. Un confronto dell'elvetico col suo antagonista storico Rafael Nadal dalle ritrovate velleità terricole, rimarrebbe di grande spessore. Gli incroci del tabellone, potrebbero proporlo già in una eventuale semifinale. Lo spagnolo ha opportunamente evitato l'inutile torneo di Barcellona, e la stessa seviziante programmazione da simil-negriero, che la scorsa stagione lo portò a schiattare come una frinente cicaletta ossessa. Interessante capire se basterà la sola sagoma iberica a turbare i pensieri superiori del Divino Mozart danzante di Svizzera. Che, tutti lo sanno, da bambino veniva tormentato da un maggiordomo crudele. Lo scostumato gli frullava veementemente la pappina con folle movimento in top spin mancino. E poi gridava "vamos!" a pieni polmoni.
Tra i due litiganti presunti, potrebbe spuntare Djokovic (e le divinità del tennis possano perdonarmi per questa affermazione avventata, McEnroe in primis). Il serbo è appostato dietro l'angolo, con gli occhi da pernice venati di sangue. Sempre che riesca a trovare la regolarità e quel minimo di serenità, del pur recente passato. L'abbrutente semifinale con Verdasco a Montecarlo, è ancora lì.
Outsider cercasi. Difficile rinvenire qualcuno che possa rivestire il ruolo di sfidante credibile, oltre ai già citati. Murray, per carità. Dopo l'atroce comparsata monegasca, si fa fatica a dargli altro credito. E nel post Australian Open ha vinto meno di Bracciali. Robin Soderling, superato il problema al ginocchio, può essere l'ideale scheggia impazzita del torneo. Spesso fa cose di cui nemmeno lui può essere cosciente, in completa trance omicida. Chi meglio di lui, allora. Fernando Verdasco sembra già aver dato a Montecarlo il meglio del suo elettrizzante niente. Al limite allieterà il pubblico romano con le sue frenetiche evoluzioni. Nando è un creatore d'euforia travestita da agonia. E quando incontra un certo connazionale, nemmeno quello. In ogni caso, pulzellette romane in trepida e fremente attesa, nei vari alberghi della capitale. In quel ramo va sempre fortissimo, dicono. A proposito di Spagna, non si può non menzionare David Ferrer e Juan Carlos Fererro. Oltre che invincibili nella pelota basca, un quarto di finale, o con un po' di fortuna una semifinale, potrebbero azzannarla anche a Roma. Se non trovano prima il carnefice connazionale di cui son devoti.
Arduo credere ancora in un Cilic con percentuali di vittoria post Melbourne/Zagabria, pari ai consensi di Tabacci e Rutelli. E poi pare, ma è solo un pettegolezzo, che il buon Marin, saputo degli avvistamenti della Vergine di Medjugorie ad opera di Brosio (reduce da una seratina al billionaire) sia diventato testimone di geova. Facile prevedere qualche colpo teppista di "mano de piedra" Gonzalez (annesso l'impagabile brivido di poterselo ritrovare faccia a faccia in piena notte, in una viuzza dell'urbe). Il rientrante Monfils a spezzarci in due le meningi, con le sue ginniche pirouettes squinternate applicate a qualcosa che somiglia al tennis primordiale. E Gulbis entrato in tabellone per il rotto della cuffia. Già, Gulbis. Quello volendo, il torneo lo vince senza lasciare un set per strada. Volendo, però.
Italtennis alle grandi manovre. Roma rappresenta una grossa opportunità per i tennisti azzurri. Unico ad entrare in tabellone è Andreas Seppi. La nube del vulcano islandese, ha fiaccato le gambe dei giocatori del Barca, ed impedito all'altoatesino di giocare a Barcellona. Sembra esserci un nesso inquietante. Poco male, il nostro alfiere avrà conservato energie per un esplosivo torneo romano, con speranze di raggiungere gli ottavi. Magari con l'aiuto dell'italico stellone, un avversario abbordabile e un ritiro altrui, o viceversa. Gli altri italiani sono legati al misterioso destino delle wild card. Dovrebbero ottenerla Bolelli, Starace e forse Volandri. Il talento di Budrio arriva nella capitale con buone prospettive. A Barcellona sta confermato di essere tornato tennista effettivo, di quelli che vincono partite tirate, persino lottando. Obiettivo: Superare un turno, ed affrontare uno super top al secondo. Starace, se non è satollo dopo la semifinale di Casablanca, rimane sempre affidabile. Volandri da due settimane vince partite a ripetizione nei vari challengers sparsi nella capitale. Ferma tutti i turisti giapponesi e si presenta: "Nel 2007 ho battuto Federer, io!". E quelli lo guardano incuriositi. In ogni caso, l'esperto livornese, se ne ha ancora voglia, e malgrado quella prima di servizio da softball su cui la quarantenne Kimiko Date attaccherebbe in risposta, sulla terra forse vale ancora i primi cento, e certamente un invito.

mercoledì 21 aprile 2010

Lazzaro Nadal



Il recente ritorno di Rafael Nadal alla vittoria, ha alimentato una ridda di voci trionfanti, a celebrarne la rinascita sportiva. Ma dopo e frettolose sentenze di morte, v'è solo la normalità di un atleta che sebbene menomato, è ancora capace di vincere e forse essere il migliore sulla terra battuta.
Tra morti e rinascite immaginarie. La mitologia sportiva s'è sbizzarrita, arricchendosi di nuovi fascinosi capitoli. La tragica epopea del campione ferito, che si ridesta come un Lazzaro travestito da guerrigliero Tupamaru, ha il suo perché. Fertile terreno per le più fantasiose e manichee disfide tra tirannici altezzosi e sacche di resistenza che riemergono dalle steppe. Il guerriero che si rialza dopo essere caduto, stremato e logorato dal precedente tentativo di issarsi oltre la soglia dell'umano e del dolore. Fine letteratura sportiva. Inutili sforzi di fantasia da laboratorio di scrittura creativa drogata. Favole per fanciulli cresciuti, cui ci piace credere. Epiche gesta virgiliane a parte, Nadal non è tornato, perché non se n'era mai andato definitivamente. Tra la belva ferita da destinare al mattatoio e la rinascita sportiva c'è una via alternativa, forse più gelida e meno poetica. Nadal non è resuscitato, semplicemente non era mai morto. Crederlo, potrebbe voler dire sommare un altro errore a quello originale.
La vittoria monegasca. Il maiorchino è tornato a sollevare una coppa, dopo quasi un anno di digiuno e dieci tornei senza vittoria. Dubbi incresciosi per chi guardava, ma soprattutto per lui, tormentato, limitato ed impaurito nel generare il solito tennis muscolarmente disumano, prigioniero di un fisico che non lo assecondava più. Dopo un acceso conciliabolo col Mago Otelma, il Mago Gabriel e Paolo Fox, ed un accurato consulto delle illuminanti profezie di Nostradamus, pronosticai un suo pronto ritorno alla vittoria, appena rimesse le sue poderose e pur ferite gambe sui terreni argillosi. Dove il margine di vantaggio da cui partiva era talmente ampio, da consentirgli comunque di lottare e vincere coi migliori, malgrado la limitazione fisica Quando ogni tanto ci si prende, si deve gonfiare il petto con soddisfazione. Con un Picasso top 15, e Dancevic in semifinale a Wimbledon, ci si potrà ritirare a vita privata e bullarsi col proprio salumiere, intento ad affettare il prosciutto. Al costo di rasentare la blasfemia biblica, con Nadal è indispensabile fare un parallelo "Avanti Roland Garros 2009" (A.R.) e "Dopo Roland Garros 2009" (D.R.).
Nadal Ante Roland Garros 2009 (A.R.). Invicibile sul rosso, fenomenale altrove. Prima del nefasto torneo parigino, lo spagnolo raggiunse livelli di gioco inarginabile. Le forsennate artigliate mancine da posizioni impossibili, grazie ad una esplosività di gambe e piedi senza eguali, gli consentirono di primeggiare anche laddove pareva tecnicamente impossibile. Capace di vincere sui terreni veloci, ed assolutamente inarrivabile sulla terra battuta, dove quel frullante diavolaccio della Tasmania non conosceva avversari palpabili. Flavio Cipolla sapeva come fare. In un sogno allucinato, anche Petzschner ne avrebbe avuto le facoltà, ammorbandolo di solluccherosi rovesci in slice sul lato sinistro del campo, e partendo con saettanti dritti dal lato opposto. Sempre nella remota ipotesi che l'uncinata folle dell'iberico non gli strappasse la racchetta di mano. Tutto è possibile, al di fuori dell'iperuranio. Persino che Moccia si creda più avvincente di Cèline. Per poi scrivere "tre metri sopra il cielo".
Manda in frantumi le convinzioni Federer. Lo spagnolo diviene materia di studio. frotte di tecnici si interrogano su come arginare quel diabolico ceffone di dritto in top spin, tirato da dietro la riga di fondo. Un colpo capace di ribaltare la situazione di difesa o indurre lo smarrito elvetico all'errore ed all'avvilimento estremo. John McEnroe balzò in piedi, con l'espressione da sciente squilibrio sensazionalistico: "Io so come aiutare Federer a battere Rafa sulla terra.". Ovviamente, nessuno fece caso ai deliri di un vecchio genio egocentrico. Il variopinto e sconfinato repertorio tecnico dell'elvetico avrebbe potuto arginare il forsennato tennis del Nadal da rosso, come pura idea. Sconfitta dopo sconfitta, intervennero, inesorabili ed implacabili, le varianti psicologiche. Il misterioso "piccolo male", così grave da dover citare Freud, il complesso di Edipo e "L'Esorciccio". E un Roger sul viatico della pazzia reale, bianco come un cencio e smarrito. Simile ad un vitellino da latte, in quella paradossale umanizzazione del tiranno che non può accettare l'umana sconfitta, cui si assiste a Melbourne 2009.
Il Dopo Roland Garros (D.R.), normale top ten superfici rapide, ancora vincente sulla terra. I dieci tornei giocati sul veloce D.R., sono lì. Testimonianza visiva e statistica, di un iberico incapace di generare lo stesso tennis esasperato ed esasperante. La nitida fotografia di un campione in palese imbarazzo fisico, pur encomiabile nel tentativo di non arrendersi. Provare ad avanzare e fare qualcosa di diverso o esporsi ad ulteriori infortuni, laddove ha cercato un estremo ritorno (New York e Melbourne). Ma senza i mezzi antichi per poter contrastare picchiatori che un tempo ammaccava senza pietà. Da più lati si sono intonate le funebri note del De profundis sportivo. Esattamente come ora si gorgheggiano i gaudiosi inni di rinascita pasquale. Non era defunto allora, non è tornato invincibile adesso, dopo la vittoria a Montecarlo. Una cavalcata rabbiosa in cui ha rullato avversari fuori dai primi dieci, incapaci di sostenerne il ritmo, o con la stessa fiducia di agnelli sacrificali nel periodo di quaresima.
Il nuovo Nadal. Rafa è semplicemente un nuovo tennista. Un atleta che forse in anticipo, ha iniziato una seconda carriera. Il proverbiale schiaffo arrotato che sbatte malcapitate marionette in terza fila, riappare ogni tanto, spesso divenendo più corto e più contrastabile dagli avversari. Simile condizione che ricorda a sprazzi quella antica (forse al 70-80%), lo espone alla sconfitta sul terreni rapidi, contro avversari in giornata di grazia e capaci di colpi pesanti (Del Potro, Soderling...). Basta, ed è sufficiente ancora per dominare il torneo di Montecarlo, tritando avversari non irresistibili, e forse giocarsela anche per la vittoria del Roland Garros, dovesse arrivarci in buone condizioni di forma. Aiutato dalla superficie, nella quale il margine di vantaggio che un tempo aveva sugli altri era talmente ampio, da consentirgli delle riserve. Un Nadal non ai livelli mostruosi del passato, ma comunque in grado di tenere, ed un Federer senza più la sicurezza mentale degli ultimi mesi, prospettano una stagione sul rosso interessante più che mai. Chi vivrà vedrà. Tra morti, resurrezioni e logorii.

lunedì 19 aprile 2010

Masters 1000 Montecarlo, vincitori e vinti



La prima fondamentale tappa sulla terra, ci restituisce Nadal dominatore delle scene, Djokovic smarrito, ed un Murray impresentabile. Torneo impreziosito dalle mine vaganti Verdasco, Nalbandian e Kohlschreiber
Rafael Nadal: 8. Ritrova la terra battuta e per magia la vittoria, che mancava da quasi un anno. Dopo sconfitte in serie sul veloce e facili sentenze di morte apparente. Schiaffi arrotati ed atteggiamento di antica baldanza, domina il torneo fin dalla prima pallina, lasciando bruscolini a malcapitati avversari e connazionali rassegnati alla sconfitta prima ancora di entrare in campo. Fin troppo semplice prevedere un suo ritorno vincente, sui campi argillosi. Manichee disfide a parte, un bene per il futuro agonistico dell'intero circuito. Sperando che l'asfissiante programmazione, il suo tennis muscolare e la propensione a non risparmiarsi mai, non lo facciano arrivare spento a Parigi. Ma il solerte zio Toni ne saprà più di tutti. Credo.
Fernando Verdasco: 7,5 (o 1,5). Il pelide "Nando braccio veloce" è maestro nel generare tennis di dirompente bellezza. Alternato a sceniche cadute carambolate, con tanto di inutili capriole carpiate. L'anello di congiunzione mancante tra il bello e perdente, ed il campione. Tra l'indomabile agonista e le rassegnate sogliole senza carattere. Viso schiacciato da boxeur impavido, passo tronfio ed impettito da galletto di combattimento, ridicolizza Djokovic con tennis sfiammeggiante e colpi mancini che paiono dardi infocati. Esaltato ed esaltante. In finale non mette una palla in campo, cavalcando il destriero dell'umiliazione sportiva. Un fantoccio vuoto ed agonisticamente morto, in balia del satanasso Nadal. Ma meno male che Nando c'è.
Novak Djokovic: 5,5. Pretendere bel tennis dal serbo, è come immaginare che Tinto Brass scelga la teodema Paola Binetti quale frivola musa del suo nuovo film. Solido e centrato, fa fuori un mesto Wawrinka (5,5) e Nalbandian imbesuito di fatica. Lo sguardo è quello dei giorni migliori, spiritato e da richiamo immediato alla fisiognomica lombrosiana. Annessi teatrini da avanspettacolo. Carica il dritto con lo stesso rantolo di suadente morbidezza prodotto dal mio "macellaro" Pasquale "il cafone", intento a caricare quarti di bue da 80 kg al mattatoio comunale. In semifinale è impallinato come orsetto delle giostre rachitico, da un Verdasco in stato di grazia assoluto. Prova a reagire a tono, con la solita protervia accecata, travestita da lobotomia tennistica. E sparacchia furiosamente via quello che rimane.
David Ferrer: 7. Un cagnaccio rabbioso che s'avventa sulle inoffensive carcasse di Ljubicic e Kohlschreiber, con ingobbita tigna d'altri tempi. Con l'orrida istantanea dell'asciugamano stretto tra i denti con ferocia canina. Poi sembra debba porgerlo a Nadal, con servile deferenza inferiore. Non c'era bisogno di scomodare le sibille cumane, per prevederlo. Il pur ammirevole Ferrer non ha personalità e braccio, per contrastare il connazionale. Non è Federer e nemmeno Cipolla. Trionferà ancora ad Acapulco et similia, arriverà in fondo nei tornei importanti sulla terra. Pretendere di più, non rende giustizia a questo piccolo Yeti terricolo.
David Nalbandian: 6,5. L'argentino regala sprazzi di classe cristallina nella vittoriosa battaglia contro Youzhny. In assoluto il più bel match del torneo. Piantato nel terreno, paonazzo, sudato e fuori forma, si teme possa schiattare come una cicala panciuta da un momento all'altro. Ma il talento nascosto tra le pieghe mollicce del suo adipe, è purissimo. Si ripete con Robredo, prima di finire in riserva contro Djokovic.
Jo-Wilfried Tsonga: 5,5. Lotta, picchia, ricama e illude contro Ferrero (6+). A tratti dirompente. A tratti esaltante. A tratti coinvolgente. Rimane un grandissimo tennista, a tratti.
Philipp Kohlschreiber. 6,5. Con quella bella espressione pallida ed assente di chi sta sognando smarrenti distese floreali baciate dal sole, emerge nel principato, simile ad una giunchiglia deperita. Pare quasi di vedere un consaguineo di Seppi cuore di drago. Poi lo osservi spennellare scudisciati rovesci da "dolce stil novo", e quell'inganno da insipienti "fruttaroli" imprestati al commento sportivo, sparisce in un nano secondo. Tennista bello e surreale, capace di divertire e ogni tanto vincere partite e persino tornei. Passa con impietosa eleganza sul cadavere di Murray e fa suo il circense derby fra leziose foche ammaestrate, col Picasso. Poi il crestino accennato si abbassa inesorabilmente, ed è il segnale della debacle imminente contro il ruvido Ferrer.
Philipp Petzschner: 6. Come rapito da misteriose forze aliene di conquista, garrulo e spennellante, fa fuori il solido terraiolo Garcia Lopez. In un match da neurodeliri reparto ultimo piano (dove stazionano quelli gravissimi), elimina anche Jurgen Melzer, espressione più impiegatizia e quasi involontaria, dello stesso talento fatuo. Mulina le gambette esili da stambecco, riuscendo nell'impresa di far sembrare Kohlschreiber un tennista dai nervi d'acciaio. Smorzata delicata e pallonetto irridente, come firma d'autore del Picasso-scasso. Tanto basta. Vincere è triste mestiere che appartiene ad altri.
Andy Murray: 3. I lungimiranti organizzatori del torneo gli concedono un invito. Assieme a Gasquet e Bolelli. E fors'anche a Crepet e Morelli, incaricati di portarli a spasso, e comperargli il gelato al pistacchio. E lui riesce nella titanica impresa di fornire una prestazione più agonisticamente imbarazzante degli altri due. Passeggia con mollezza urticante e raccoglie tre games da Kohlschreiber. Salve di fischi accolgono la sua uscita dal campo. Schiva d'un soffio il lancio di ortaggi marci, solo perché nella storica terrazza monegasca ci sono esclusivamente costosissime ostriche.
Marin Cilic: 4,5. Seguita nell'imbarazzante fase di torpore post Melbourne, uccellato dal buon terraiolo Montanes. Se qualcuno pensava che potesse nascere un Ivanisevic al contrario, è accontentato. Marin sta all'indimenticabile cavallo pazzo croato, come Fassino a Togliatti o Minzolini ad un giornalista.
Italtennis: 4,5. Onore italico salvato da Seppi, che passa un turno per ritiro contro Olivier Rochus. Basterebbe questo spartano dato statistico. Fognini rattoppato nel fisico (oltre che nella psiche), cede all'impertinente falena volleante Llodra. Bolelli in ripresa (comincia ad avere coscienza del mondo esterno), perde da Andreev. Verrà il giorno in cui nascerà anche qui un Federer. Ma pure un "Kohli", un Ferrer (Robredo/Ferrero/Montanes), basterebbe.

sabato 17 aprile 2010

Masters 1000 di Montecarlo, verso la finale più attesa



Delineate le semifinali del Masters 1000 che si disputa nel principato, senza troppe sorprese. Ferrer e Verdasco, ultimi ostacoli all'annunciata finale tra Nadal e Djokovic apparsi in ottimo stato di forma.
Nadal-Ferrer. Rirovata l'adorata superficie rossa, Nadal è apparso in forma. Tirato a lucido ed affamato come poche altre volte. Spavaldamente aggressivo fin dalla prima palla, finanche nel rilassato riscaldamento. Un piglio intimidatorio da rampante dittatorello, persino eccessivo visti gli avversari incapaci di sostenere il suo ritmo, o almeno provarci come idea. Un game lasciato a De Bakker, giovane olandese che ritroveremo contro l'Italia in Davis. Troppo acerbo e sprovveduto per reggere due scambi contro l'ex numero uno. Abbastanza solido per turbare i patriottici sonni di Bolelli & co. sul veloce. Non è riuscito a raggranellare più di un game nemmeno Michael Berrer, cinghialone tedesco semovente, la cui pochezza ha insinuato sentimenti di disagio e profonda tenerezza nello spettatore. Annessi timidi applausi d'incoraggiamento e brusii di compatimento, come non si sentiva dai tempi delle malcapitate vittime della furia sanguinaria di Steffi Graf. Indemoniato e volitivo, il sinistrato maiorchino approda in semifinale a suon di schiaffi arrotati dal sapore vagamente antico. Nemmeno l'esperto connazionale Juan Carlos Ferrero è riuscito ad andare al di là di una dignitosa resistenza. Malgrado l'ottimo stato di forma del "mosquito", coronato dalla battaglia vinta al fotofinish contro uno Jo Tsonga, sempre più esaltante e scenico eccitatore di animi votati al martirio ed al ricordo che sfocia nell'onanismo intellettuale. L'immagine di "capitan uncino l'arrotino", ben si sposa con la sagoma di Rafa alle prese col piccolo tornado di pioggia e vento che investe il campo, durante il match di quarti. Ora avanti con la semifinale. Un arrembante "vamos" ed un passetto strisciato stile "moonwalking" al contrario, via l'altro.
Difficile che possa intralciare la strada di Nadal verso il sesto succeso di fila nel principato, il pur competitivo David Ferrer. Uno dei tanti iberici che contro il più noto connazionale, perdono prima di entrare sul campo. E poi fengono finiti in modo cruento anche sul rettangolo di gioco. Alticci, si guardano in uno specchio rotto e credono di vedersi come lui, annessa la racchetta impugnata con la sinistra, nell'immagine riflessa. Pronto ad emigrare in Patagonia per studiare il processo d'impollinazione della betulla, ma davvero non vedo come la sagoma ritorta di Ferrer possa impedire la finale al mancino di Maiorca. Mi tengo alcune variabili imprevedibili: L'invasione del campo da parte di macachi pirouettanti o il riemergere dei malanni tendinei di Rafa (a entrambe le gambe, perché con una sola, filerebbe via liscio ugualmente). Ferrer arriva alla semifinale dopo un atroce percorso di morte, quasi diretto da invisibile mano distruttrice di bellezza. Ingobbito, fisico tarchiato, fronte bassa, mascella squadrata e occhi inquietantemente vicini. Lombroso avrebbe impiegato dieci secondi per qualificarlo come killer seriale di tennis. Fa fuori un Ljubicic versione bibbitaro in pausa pranzo nell'increscioso 0-8 iniziale. E poi si abbatte sul lezioso ed adorabile Kohlschreiber nei quarti, urlando come stesse esalando l'ultimo demoniaco respiro vitale. Sbraita, smoccola, s'incita, arrota e cammina per il campo con l'asciugamano penzolante stretto tra i denti. Manco fosse un cocker minato dalla rabbia. Una delle cose più agghiaccianti cui assistere su un capo da tennis. Malgrado la sconfitta in due set tirati, rimane un gran torneo quello di "Kohli" e del suo compare "Petzsche", altro schizoide alfiere della racchettara Germania. Fortunati i tedeschi ad avere due talenti così nitidi e divertenti, limitati a tratti da un agonismo da furetti in letargo. Sfortunati noi ad avere solo gente che oltre al carattere, manca anche del braccio. Altrimenti vinceremmo dei tornei Atp, e ci divertiremo addirittura, guardando la partita di un azzurro. Ma tutto questo, la povera Laura Golarsa non può saperlo.
Djokovic-Verdasco. Il serbo è parso in confortante fase di ripresa, rispetto all'irritante cencio visto nelle ultime uscite. Nessuna furiosa crisi masochistica, se si eccettua l'innocua amnesia con cui prova a rimettere in partita un Wawrinka ormai sotto la doccia e pronto ad azzannare una fetta di gruviera. Per il resto, Novak fila via facile anche nei quarti, disponendo in scioltezza di Nalbandian. Troppo stanco e spento il tennista di gran panza e creanza, che aveva già dato tutto nell'esaltante vittoria su Youzhny e nell'ottima conferma contro Robredo. Il talento cristallino di David è imprigionato e portato in giro da un corpo non suo da una vita, e forse questa inclinazione che ne ha limitato la carriera, per assurdo lo aiuterà a superare indenne il terribile infortunio patito lo scorso anno. Ma nei quarti, aveva già esaurito ogni riserva di benzina. Rimane la sicura prestazione del serbo, che sulla terra riesce (forse involontariamente) ad esprimersi al meglio. Non v'è traccia di quella foga eccessiva ed inutile, che sul veloce lo induce a forzare tutto l'umanamente concepibile, convinto com'è di poter spaccare tutto e tutti. Eccessivo credere che folgorato sulla via di Damasco, abbia scoperto l'intelligenza tennistica, ma se non altro ha riacquisito la stessa forma della scorsa stagione sul rosso. Trotta bene, rischia il giusto e nel portare i colpi si lamenta come uno scaricatore merci intento a sollevarare un frigorifero di duecento chili, con le reni a pezzi. Tanto per rimarcare l'estrema naturalezza del suo tennis.
Semifinale comunque da prendere con le molle, vista la prevedibile imprevedibilità di un avversario tarantolato: Fernando Verdasco. Un altro spagnolo, a conferma di un dominio iberico quasi assoluto sul rosso. Il mancino di Madrid, nel principato ha ripreso a macinare buon tennis, schivando il fascino della sconfitta, che da sempre lo ammalia. Nando approda in semifinale dopo essere uscito indenne dal biblico passaggio a vuoto contro Montanes, nei quarti. Avanti 5-1 e match point nel secondo set, si fa recuperare. Perde la seconda frazione al tie-break, per poi dominare 6-0 al terzo. L'essenza pavidamente squilibrata del Verdasco sta tutta lì. La capacità di esplodere tennis avvincente e folgorante dello spagnolo, è risaputa. La sua tendenza a perdere match apparentemente lottati ma già persi in partenza o il contrario, e confermata quotidianamete. Tanto che l'esclamazione sorge naturale: "E ammazzelo, chi è!". Quella tra il serbo e lo spagnolo, malgrado gli ultimi precedenti favorevoli al primo, si preannuncia come la semifinale dai contenuti tecnici più alti, e con interessanti differenze di stili. Tant'è, occorre convincersene.

giovedì 15 aprile 2010

Master 1000 di Montecarlo. Pronostici ottavi



Uno sguardo sugli ottavi di finale del Master 1000 di Montecarlo. Confronti in cui domina l'equilibrio. Avanzano i più forti con l'eccezione di Andy Murray, svogliato e fischiato dopo l'imbarazzante passerella contro Kohlschreiber
Djokovic-Wawrinka. All'esordio Novak nasconde il suo stato di forma dietro l'angosciante debolezza di Florent Serra, francese con la faccia rassegnata da Eric Cantona andato a male. Ci dirà qualcosa di più, il confronto di ottavi con Stanislas Wawrinka. Autentica battaglia tra differenti simpatie, contagiose quanto quelle di Gasparri e Larussa che raccontano barzellette da Bagaglino. Ma lo svizzero è in gran spolvero. Dopo la vittoria di Casablanca, ha lasciato le briciole di marzapane ad Hanescu e Gulbis. Col "giovin signore" lettone impegnato nel forsennato tentativo di affossare il suo talento e ancora con la testa alle spiagge di Palm Beach (sarà il suo feudo, come lo fu per Xavier Malisse). Wawrinka potrebbe anche provare il gran colpo, qualora dimentichi la sua imbarazzante sudditanza verso i top.
Nalbandian-Robredo. Malgrado una condizione approssimativa, e il proverbiale viso paonazzo da seminfartuato, Nalbandian ha regolato Misha Youzhny al tie-break del terzo set. Autentico spettacolo ed espressione nitida di tennis semovente, nel metch di gran lunga più bello e affascinante del torneo finora disputato. A guardarli pare di assistere al moviolone di Biscardi, con braccia staccate da corpi piantati nel terreno, che disegnano parabole magiche. Negli ottavi, se non gli parte un embolo, difficile prova del nove per l'argentino contro Tommy Robredo. L'mplacabile tortura seicentesca travestita da tennis che ha avuto il sopravvento sull'agonista da "Muppets Show", alias Troicki.
Cilic-Montanes. Confronto palpitante. Da trattenere il fiato, nel tentativo di darsi la morte. Il gibbone croato in flebile ripresa rischia contro lo storto iberico Montanes, tornitore avvezzo all'arte terricola. In questa parte di tabellone sono usciti mestamente (e non c'era bisogno di scomodare Nostradamus o il mago Gabriel, per prevederlo) Bolelli e Seppi. Il Bolognese ha offerto quello che attualmente può, raccogliendo sette games contro Andreev. Io ne avevo pronosticati 5/6, schiavo di un irrimediabile pessimismo cosmico. Nel più tecnico confronto tra gentil signore però, si è ancora in bilico: Ximena se la batte alla grande con Maria Kirilenko, nel ballottaggio. Andreas Seppi si conferma sui suoi standard, battendo per ritiro Olivier Rochus. Il belga poco più slanciato di Brunetta, non resiste all'onta di aver perso un tiebreak col caldarese, e se ne va avvilito. Poi il cuore di drago altoatesino ritorna in se cedendo a Montanes nel secondo turno. Annesso tiebreak catacombale nel primo set e straziante 6-0 al terzo. Ci sta. Lo spagnolo è un regolarista temibile, il nostro un "regolarista falloso.".
Berdych-Verdasco. Interessanti ottavo tra due violenti dissipatori di tennis. Un Berdych in gran spolvero, si è accanito con schioppettante crudeltà su quaglie volleanti (Feliciano Lopez) e tordi in crisi esistenziale (Richard Gaquet). Lasciando di loro soltanto qualche malinconica piuma fluttuante. Berdych leggermente favorito sull'iberico (scaramazia spudorata). Re-match del recente confronto di Miami, con due quesiti di fondo: Quanto resisterà il ceco all'antica tentazione di sparacchiare via tutto? E riuscirà mai Verdasco a slegarsi dalla sconfitta acrobatica, sua compagna di vita?
Ljubicic-Ferrer. Il croato dal cranio luccicante giunge agli ottavi dopo ottime prestazioni. Gran sicurezza nel disfarsi di Llodra, delizioso mancino francese che affetta la pallina e segue il servizio a rete, come provenisse da un filmato di tennis anni '80. Llodra richiama inevitabilmente Fabio Fognini, sua vittima al primo turno. Il ligure aveva un polso malconcio. In più, mal digerisce gli attaccanti variopinti come il transalpino. Oltre a detestare un bel po' i regolaristi. E chiunque lo circondi. Per il resto ci siamo. Verrà il giorno. Il vecchio pirata Ljubo dovrà giocare al suo massimo per avere la meglio di David Ferrer, che avanza con la stessa sicurezza minacciosa di un aratro dei campi.
Kohlschreiber-Petzschner. Un irridente sorteggio aveva posto dinanzi ad un Murray già sul viatico della pazzia vera, tre scimmiette ghignanti (Kohlschreiber, Petzschner e Melzer). Delle raffinate ricamatrici squilibrate. Divertenti, surreali, gioiosamente impalpabili, e con la sconfitta che scorre gelida nelle loro vene. Murray si presenta al cospetto di Kohli, con la solita capigliatura a nido di chiurlo scosso da un dispettoso venticello di libeccio. E gioca con animus pugnandi a metà tra Aroldo Tieri e Sid Vicious reduce da una notte di bisboccia. Raccoglie tre games e sonanti salve di fischi. La civiltà snob del pubblico monegasco gli risparmia ortaggi e uova marce. Francamente imbarazzante lo scozzese, ben oltre il limite della decenza sportiva. E chissà se chi ha comminato una multa a Schwank per "scarso impegno", non abbia assistito allo spettacolo. Passa Kohli, grazioso ermellino tedesco, che esulta con l'espressione di chi è assente da se stesso. Ottavo imprevedibile contro l'altro Philipp di Germania, Petzschner. E il dubbio che sul principato aleggi una irripetibile congiunzione astrale, è fortissimo. Picasso tracheggia e batte il quotato terraiolo spagnolo Garcia Lopez. Poi fa suo il derby tra disadattati della racchetta, con Melzer. Austriaco cui è legato da quel filo indissolubile, che va dall'estremo talento fine a se stesso alla profonda inutilità tennistica. Pronostico d'obbligo, Petzsche-Kohli: 1X2. Ma potrebbe anche non vincere nessuno, decidendo i due di giocare a "un-due-tre stella!", nel centro del campo.).
Tsonga-Ferrero. Altro ottavo interessante, e sulla carta parecchio equilibrato. Una settimana fa, sul veloce (apparente) di Miami fu dominio assoluto del gigante d'argilla francese, che dimostrò di avere il tennis per smantellare le punzecchiature del "mosquito". A Montecarlo ex-Alì Tsonga ha fatto il suo dovere, abbattegno il tennis-lagna di Almagro. Uno che dovrebbero sconfiggere tutti i bipedi del pianeta. Avversario di ben altro spessore sarà Juan Carlos Ferrero, per altro in smaglianti condizioni nei primi due turni del torneo.
Nadal-Berrer. Nadal passeggia nel match d'esordio col legnoso olandese De Bakker, uno che può spaventare solo l'Italia del tennis. Malgrado i sempre più improponibili mutandoni quadrettati, con cui furoreggerebbe in una primaverile passeggiata sui ridenti lidi di Capocotta, Rafa è parso pimpante. Ottavo in discesa per l'iberico sinistrato, contro un'altro tennista raffinato quanto una pioppo secolare: Michael Berrer. Tedescone mancino miracolosamente portato ad impensabili livelli da un Pistolesi versione stregone indù, e che nell'altra sorpresa di giornata ha fatto fuori l'argentino Juan Monaco.

martedì 13 aprile 2010

A Wawrinka e Chela due bottini minori



Wawrinka ed il redivivo Chela, fanno bottino pieno nei tornei minori di Houston e Casablanca. Bene Starace, finalmente ai suoi livelli standard. Crisi Gonzalez, flebili segnali di vita dai pianeti Gasquet e Malisse
Stanislas Wawrinka: 7,5. Lo svizzero figlio di un Dio minore vince il secondo torneo in carriera, dopo Umago 2006. E basterebbero questi dati a descrivere la sua essenza ultima, senza tanti giri di parole. Rovescio debordante almeno quanto l'acne che ne infesta il volto, e contagiosa simpatia da Mourinho che allena il Fanfulla. Ma quel rovescio è pura sinfonia smarrente. Vince un torneo senza troppi rivali, rischiando qualcosa solo con Starace in semifinale, prima di far valere la sua maggior classe. Novello medioman-gruviera che batte tutti quelli sotto di lui, ma basta mettergli dall'altra parte del campo la fotografia sbiadita di un top 20, perché emerga la tragica indole da "forte coi deboli e pavido coi forti". Ma quel rovescio...
Victor Hanescu: 7. Il dracula dei Carpazi, in Marocco cede solo in finale a Stanislas Wawrinka. Tennista dal discreto talento e non più di primo pelo, il rumeno. Finanche gradevole a tratti, se non ci si addormenta dopo dieci minuti. Sempre nel mezzo e senza alcun picco, impalpabile e trasparente come l'azoto liquido. Ma quelli più scarsi di lui, spesso li batte. E a Casablanca stampa la quarta finale in carriera. Ammesso che qualcuno se ne sia accorto.
Potito Starace: 6,5. In tempi di vacche magre, la semifinale raggiunta dal napoletano in Marocco è autentica manna dal cielo. Ossigeno puro per un movimento nazionale boccheggiante. Potito dimostra che sulla terra qualche partita la sa vincere, e può ancora sfruttare la stagione sul rosso per qualche guizzo. Un altro tennista rispetto a quello reattivo quanto un bradipo con la sciatalgia, visto nella tournè sudamericana. S'arrende solo a Wawrinka, dopo una discreta battaglia e l'ottimo scalpo Kubot. E pazienza se il polacco era in giornata "sparacchio la qualsivoglia alla sperindio, che non mi reggo in piedi", certe partite conta solo portarle a casa, e spesso invece si sono perse. Qualcosa si muove, dunque. Ed incredibile a dirsi, si vincono anche partite nello stivale tennistico.
Juan Ignacio Chela: 7. (a chi è riuscito a vedere un suo match ed è ancora vivo). L'argentino che fu numero 15 al mondo, nonchè esponente di spicco dei quattro moschettieri argentini al nandrolone, non vuole proprio arrendersi. Passata la trentina, continua a seviziare tennis. Inestirpabile come la gramigna. Dopo un lungo periodo di crisi, torna in auge vincendo a Houston. Fa fuori un vecchio talento come Malisse, un promettente e rampante connazionale (Zeballos), ed in finale conduce a miti consigli anche Sam Querrey. Ok, non era certo un torneo prestigioso, ma sorge comunque un dubbio lacerante (ma anche no): Gli azzurri un Master 250 non lo vincono da quattro anni, perché non vogliono andare ad Houston. O perché sono più scarsi del vecchio Chela con la mascella digrignata. Chi può dirlo.
Sam Querrey: 6,5. L'americano emergente come una biblica pestilenza, ad Houston perde solo con Chela, in una finale che è semplice supplizio dei sensi. La terra non è la sua superficie e il buon Sam è nient'altro che l'anello di congiunzione mancante tra Roddick ed il mostro di Milwakee. Ma a lui va dato il merito d'aver spazzato via l'orrida sagoma sbilenca di Wayne Odesnik. Levando dall'imbarazzo l'intera federazione internazionale, che rischiava di vedere vincitore del torneo, un ominide che va in giro con la sacca piena di nandrolone. Dopato o pusher, ugualmete imbarazzante.
Wayne Odesnik: 9. (alla faccia da incurante paraculo). L'affaire doping ed il possesso di fiale contenenti ormone della crescita, fa conoscere Wayne Odesnik anche a chi proprio non l'avrebbe mai visto sgozzare palline su un campo da gioco. Per chissà quale misteriosa ragione burocratica, non gli infliggono nememno una multa e tanto meno provvedono a fermarlo. E quello trotta come una pantegana incurante sulla terra texana, vincendo partite in serie. Prima che Querrey (l'americano guadagna qualche punto nella mia personale classifica), non provveda a fermare quella folle e grottesca corsa.
Eduardo Schwank: 6. (8 alla smorzata). "E ricordatevi della smorzata...", chiosava Mikael Pernfors nei suoi articoli. Schwank è un argentino emergente. Uno dei pochi che si lasciano guardare. Divertente feticista della palla corta, con cui costruisce molti dei suoi punti. E fin qui, nulla di anomalo. Ad Houson gli viene comminata una sanzione: Reo di gigionesco comportamento antisportivo. Troppe palle corte e pallonetti. E gli è persino andata di lusso, perché in Texas hanno ancora la civile tradizione di friggere esseri umani sulla sedia elettrica. Difficile giudicare senza aver visto la scena, ma si è sul punto di crederla una burla picaresca. Di questo passo verranno comminate multe anche ad ingiuriosi volleatori. O a chi fa troppi doppi falli. E intanto, un correttissimo Odesnik, guardandosi bene dall'utilizzo dell'infima smorzata, avanzava con fierezza. E col nandrolone come energetico.
Fernando Gonzalez: 5. "Mano de piedra calante" ha scelto il basso profilo, preferendo confrontarsi in tornei senza grandi avversari. E non riesce ad avanzare nemmeno in quelli, bloccato da Zeballos (6,5). Le risorse "der canaro" cileno sono notoriamente inesauribili, e probabilmente sta conservando qualche cartuccia per i tornei futuri. Se non ci si vuole arrendersi all'idea di un declino irrimediabile.
Gasquet/Malisse: 5,5. Qualche novità dal centro di recupero per meningi rattrappite. E distratti refoli di vita apparente. Il francese coltiva delicate roselline, ed il Belga se le mangia ad insalata. Richard vince (addirittura) due match di fila a Casablanca, non a caso terra all'avanguardia per operazioni ed impianti di attributi di mascolinità. Ma è solo un'illusione, perché alla prova del nove Richard mostra la solita imbarazzante attitudine agonistica da eunuco che gorgheggia, danzando su un prato di lillà. E cede in tre set al rumeno Hanescu, non proprio Sampras. Due inaspettati successi di fila anche per Xavier Malisse, sulla terra di Houston. Compresa una vincente battaglia di tre tie-break col Karlovic versione hot-dog, John Isner (s.v., per dignità). Poi lo squilibrio latente del belga volge verso l'abruttimento, lasciandosi ammorbare da Chela.

Pennetta e Wozniacki sugli scudi. (Pegelle Wta della settimana)



Bilancio settimanale sui tornei al femminile. A Marbella e Ponte Vedra emergono Wozniacki e Pennetta. In difficoltà Kim Clijsters. Il buffo caso Halep, che vince le prime partite con la nuova carenatura
Flavia Pennetta: 8. A Marbella torna sugli scudi, completando un torneo quasi perfetto. Ossigeno per gli appassionati italiani caduti in depressione dopo i poco incoraggianti risultati della trasferta americana, ed avvinti da loro solito alone di pessimismo fatalista. Dall'appagamento, alla scarsa professionalità, alle distrazioni causate da scatti patinati...La realtà è molto più semplice. Superato il momento di scarsa forma e qualche malanno fisico, ritorna solida ed impeccabile, piallando Sara Errani e Carla Suarez Navarro in finale, malgrado qualche leggerezza che ha rimesso in corsa la spagnola. Sicuramente vincerà altri tornei. Forse tornerà anche tra le top ten, malgrado una concorrenza nobile. Sfruttando qualche congiuntura favorevole potrebbe persino regalare all'Italia del tennis quella semifinale di uno slam, che manca dai tempi di Noè. Difficile pretendere altro da questa ragazza, che con grandi sacrifici si è migliorata in modo spaventoso. Figurarsi rimproverarla anche di non avere le sembianze accattivanti di Svetlana Kuznetsova (mica il dritto), per tenerla lontana da tentazioni mondane.
Carla Suarez Navarro:7. Entusiasmò il mondo (forse me e pochi altri), il modo grazioso con cui questa buffa ragazzina lo scorso anno affettò Venus Williams in Australia, con rovesci che parevano sbucati da una fiaba settecentesca, tra stelle filanti e rospetti maldestri che si trasformavano in affascinanti principesse. Ricci corti e dritti in testa, dentatura da criceto, fisico da paperetta con le gambe grassocce, Carla ha poi attraversato un 2009 difficile, complice problemi al ginocchio. Recuperata la salute, di certo non il fisico che rimane più portato per la sagra della paella, la "Bridget Jones" del tennis mondiale sta tornando a buoni livelli. Ma ancora troppo solida Flavia Pennetta per gli standard dell'adorabile cartone animato iberico.
Maria Josè Martinez Sanchez: 6,5. Eterna incompiuta. Si abbatte come uno scirocco rabbioso e prepotente, contro la smarrita Alberta Brianti. Beneficia del ritiro (non definitivo, purtroppo) di Victoria Azarenka (s.v.) versione Linda Blair che esala l'ultimo tremebondo respiro. Gioca un gran primo set nel derby di semifinale contro Carla Suarez Navarro, prima di spengersi come una fiammella fatua. Marbella suona come un'altra occasione persa. Ma questa anacronistica "farfalletta volleatrice" continua a somigliare ad una specie di miracolo attaccante fuori dal tempo.
Sara Errani: 6,5. Bel torneo in Spagna per la combattente bolognese, che da sola ha più grinta di tutti i tennisti italiani ("maschi") messi assieme. Una di cui si vorrebbe e dovrebbe solo scrivere un gran bene. Ma poi riuscirci, è un altro conto. Tricolore sventolato a parte, è insostenibile come poche. Faccia da roditore incazzato e rabbioso, continui e strazianti rantoli ad ogni colpo e tennis tremendamente utilitaristico. L'omicidio premeditato dell'estetica. Vince discrete battaglie da guerra medievale contro avversarie alla sua portata, poi cede solo a Flavia Pennetta in semifinale, verso cui paga ancora un innegabile gap tecnico e psicologio. Ma quando c'è da lottare e tirare fuori il carattere, prima di uscire sconfitta si farebbe strappare due molari senza anestesia.
Kim Clijsters: 5. E' salita anche lei sull'orrida giostra altalenante della Wta. Segnali incoraggianti alternati a battaglie perse punto a punto contro avversarie meno dotate di lei. Basta una volenterosa apprendista tennista di casa oltre il numero duecento (Beatriz Garcia Vidagany), per far emergere gli attuali limiti della mamma volante (e pesante). Limiti mentali e di adattamento alla superficie lenta. Conoscerà giornate migliori, forse.
Caroline Wozniacki: 7,5. Ponte Vedra non è uno di quei posti dove lanciano i missili nello spazio. Ma una cittadina sull'oceano atlantico in cui si gioca anche un torneo femminile. Sull'obsoleto ma affascinante terriccio verde, simile a pastura per sterminare i topi, Caroline Wozniacki è di casa. Sciorinando il solito tennis alla valeriana corretta col lexotan, anestetizza smarrite apprendiste picchiatrici senza senno, e bissa il successo dello scorso anno. Vince mettendo fieno e punti in cascina, come formichina coi boccoli che paiono fili d'oro. La bambolina danese è numero due al mondo. Forse diventerà anche numero uno. Se lo è stata Jelena Jankovic, nella vita tutto è possibile. Anche che l'Internazionale f.c. rimanga a "zero tituli".
Olga Govortsova: 6,5. Bielorussa nuova, ma neanche tanto. Gia finalista, irrisa senza pietà da Francesca Schiavaone nella finale di Mosca '09. Una delle 20/30 biondone dell'est create con lo stampino per le caciotte, che ciclicamente brutalizzano il circuito. Tutte bionde e più o meno urlanti, tutte possenti ed oltre il metro e ottanta, eleganti quanto un imbuto e con intelligenza tennistica di poco inferiore a quella della rughetta selvatica. Batte la meno truculenta delle Bondarenko, Alona (esercizio raffinatismo dell'arte eufemistica fine a se stessa) e si crea un buono spiraglio. Raggiunge la quarta finale della carriera, ma è troppo ordinata e costante Caroline Wozniacki per il suo livello di tennis. La rivedremo ancora, magari no.
Dominika Cibulkova: 5,5. Ex fiamma di Melzer e Monfils. E ad una che si è accompagnata a figuri di simil risma, cosa vuoi rimproverare? Superfluo discorrer di tennis, e della sconfitta in semifinale a Ponte Vedra. La piccoletta slovacca è una delle mie preferite, a prescindere. Coraggio leonino e stomaco d'amianto. Ed imperitura riconoscenza per quell'indimenticabile 6-0 5-0 parigino (appena rovinato dai due games, concessi per pura pietà magnanima), alla divina regina urlante Maria Sharapova. Che poi pare, pianse in silenzio.
Simona Halep: 6-. Il "meno" ha un significato simbolico, che comprenderanno solo i più arguti. La, a me sconosciuta rumena, era salita agli onori delle cronache pettegole, per essersi fatta ridurre la misura di un seno inadatto per le competizioni sportive (sumo, piallatura delle tegliatelle e getto del peso a parte). Da una sesta abbondante ad una seconda tendente alla terza (col push-up). Da maldestra ed oberata mucca carolina brucante, a progetto di tennista che nei quarti contro Flavia Pennetta non ha nemmeno sfigurato troppo. E' ancora giovane e chissà che non diventi brava, se le impianteranno anche un braccio.

lunedì 12 aprile 2010

Master 1000 di Montecarlo, tra tennis e clinica della mutua


Nella splendida cornice di Montecarlo, per una settimana racchette e palline si mescoleranno a mondanità, nobiltà ed evasori fiscali. Quasi colpito da una maledizione, il torneo è stato investito da una tambureggiante sequenza di defezioni. Ponderate scelte di programma ed infortuni a grappoli, simili a medievali morie delle vacche e pestilenze bibliche, privano il torneo di molte star. Per analizzare il quale, occorrerebbe l'ausilio del Prof Augusto Tersilli, indimenticabile "Medico della mutua", più che un tecnico del tennis. Niente di nuovo sotto il cielo ammantato di stelle sciancate: Troppe giunture scricchiolanti e muscoli lacerati rispetto al passato. Perché il gioco è più estremizzante e muscolare. Oppure gli infortuni c'erano anche in passato, ma vi si poteva sopperire senza patemi, dati i minori ritmi indemoniati? Un quesito annoso. E' tutto un discorso concatenato, un gioco divertente, che a volerlo continuare si rischia di tirare in ballo l'evoluzione della specie Darwiniana o Adamo ed Eva. Chiosando "che non ci sono più le mezze stagioni", sulle panchine del parco. Nemmeno Marzullo, con la collaborazione del solerte Prof. Meluzzi potrebbe dare una risposta definitiva. E' semplicemente aumentata la soglia. Quale soglia? sceglietene una, va sicuramente bene. La realtà evidente, è che a Montecarlo hanno dato forfait cinque dei primi dieci.
L'assenza del numero uno. In terre così nobili, fa un po' specie la rinuncia di "sua immortalità" Roger Federer. Scelta già nota da tempo e che si sposa col monarchico progetto di approcciare la galioffa argilla in punta di piedi. Senza affrontare possibile plebaglia irriverente, in condizioni precarie. Nadal è infortunato. Da una vita. Malgrado continui a diramare stucchevoli comunicati ed interviste, nelle quali ostenta forma smagliante. "Non c'è crisi, stiamo tutti bene. Non badate a quegli invidiosi, ombrosi e pessimisti, che vedono la crisi ovunque!". Qualcuno lo ha anche sentito strillare "Ma Cribbio!" e "Il Milan rimane il club (pronunciato con la "u") più titolato al mondo!", ma questo è solo un rumors. Dovrà pur tranquillizzare le masse di adoranti supporters, il maiorchino. Peccato poi intervenga l'adorabile zio Toni a confermare un tendine rotuleo divelto e cianciare di cure alternative. Fors'anche ricorrendo all'intervento di uno stregone woodoo o una equipe di sciamani pazzi. Starà anche male l'iberico, ma a Montecarlo giocherà. Col dolore e con l'infortunio ci convive da sempre. Ed è anche il favorito d'obbligo del torneo.
Un treno bianco, che passa Montecarlo e prosegue spedito per Lourdes. Oltre alla dolorosa rinuncia del numero uno di ogni galassia, si sono chiamati fuori alcuni dei principali protagonisti annunciati. In una sindrome da preoccupante anticamera al mattatoio comunale. Comincia a destare inquietudine il prolungato stop di Juan Martin Del Potro. L'argentino dal tagliente sguardo da pistolero del Far West, a furia di esplodere dardi infuocati da ogni angolo del campo, ci ha rimesso il polso. E fatica a riaversi. Anche qui, frotte di laboriosi luminari si adoperano alacremente per restituircelo tennista. Sperando non ne cavino una lavatrice classe "doppia c", da acquistare a rate con gli incentivi governativi. Anche Nikolay Davydenko ha il polso malmesso. Fedele al suo ruolo di Stakhanov vessato e rassegnato, lui avrebbe giocato pure. Magari esponendo il petto rachitico o colpendo la pallina con la boccia pelata. Si sta allenando duramente per l'evenienza assieme ad un domatore del circo Nones. Il Nosferatu di russia prova in tutti i modi a giocare in tutti gli appuntamenti dove ancora può dire la sua. Anche contro i pareri medici, come ad Indian Wells. Indefesso è sceso in campo, e s'è sfasciato definitivamente. E' proprio vero che questi russi hanno strane forme di vita nel cervello. Marat Safin le oramai famose locuste urlatrici, "Nosferatu" delle olive taggiasche, Youzhny un vortice d'aria. In ogni caso, by-bye Montecarlo anche per Nikolay.
Alla triste accozzaglia da treno bianco diretto a Lourdes invece che a Montecarlo, s'è aggiunto Robin Soderling. L'adorabile taglialegna con lo sguardo da parodia del killer seriale, lamenta un dolore al ginocchio. Lo stesso che lo aveva limitato nella semifinale a Miami. Ultimo passeggero in ordine di tempo del treno della speranza, è Gael Monfils. Per l'orrida marionetta sghemba, il cui tennis inumano (oltre che gradevole quanto una tortura vietnamita), lo espone a lacerazioni inevitabili. Tra una spaccata ed un recupero con gli occhi a palla e la lingua penzoloni, rischia di sfibrarsi d'un colpo tutti i muscoli, ad ogni quindici. Oggi solo la mano sinistra, domani è un altro giorno.
I favoriti, tra coloro che resistono. Non rimane che godersi quelli che giocheranno, in questo torneo del principato in tono apparentemente dimesso. Nadal vincitore più probabile, malgrado le condizioni fisiche da invalido civile. Qualcosa non torna, se il favorito è un ragazzo faticosamente tenuto assieme dal nastro adesivo. Delinea nitidamente una crisi di valori genarale, ed assenze che hanno fatto scendere l'asticella d'importanza del torneo monegasco. Dietro di lui le incognite Djokovic e Murray. Magari un "mosquito" Ferrero che può cogliere l'occasione di ritornare a grandi livelli anche dove conta, o uno Tsonga che si dimentichi le ultime uscite, e una superficie su cui si dibatte come un quarto di bue pattinante. Persino qualche velleità di vincente marcia tarantolata, per Verdasco (credeteci pure), o il tremebondo Ferrer, se si è cerebralmente masochisti.
Wild card forse sponsorizzate da cliniche specializzate in disagi della psiche. In ultimo, quasi illuminati da lungimirante folgorazione divina, gli organizzatori donano due wc (wild card, non siate maliziosi) a Gasquet e Bolelli. L'irrazionale che si mescia all'inspiegabile. In questo sport sono rimaste le favole surreali. I due, vicini di stanza nella clinica zen per menti turbate "Sana-la-mente", si ritroveranno a colpir palline, condotti sul campo a braccia, dagli infermieri. E chissà che dopo splendide cavalcate di cui non avranno cognizione alcuna, non si possa vederli in finale. Tireranno qualche bel colpo, poi si guarderanno. Si scambieranno un sorrisetto inquietante, ed a braccetto inizieranno a danzare, come sulle musiche di un valzer viennese.

Doping e contraddizioni. Il caso Odesnik



Fa ancora discutere il caso di Wayne Odesnik, americano trovato in possesso di sostanze proibite. Il mondo del tennis torna ad interrogarsi sul controverso problema doping.
L'ultimo caso. Beccato con il sorcio in bocca. Anzi, con le fiale di sostanze dopanti nel borsone, assieme alle racchette. Otto, per la precisione, stabiliscono i gendarmi australiani. HGH, s'affrettano a specificare i ben informati, un ormone della crescita. Doping di nuova generazione assai raffinato e difficilmente rintracciabile. L'ominide colto in fallo è Wayne Odesnik. Modesto pedalatore americano d'origine sudafricana, con l'espressione da pantegana e le orecchie a sventola. Uno dei tanti gragari che vagano nel circuito, di quelli che puoi scorgere nei primi turni, peregrinando tra i vari campi. Scoperto in flagrante, ha confessato il possesso delle sostanze. Non è ancora dato sapere se abbia ammesso solo la detenzione, o anche il consumo. La sostanza non cambia di molto, e ripropone in modo inquietante, un problema antico, vecchio come lo sport. Ed al quale, il tennis non può sottrarsi.
I controversi scandali del 2009. La stagione passata, è stata foriera di piccoli grandi scandali. Ancor più discussi e discutibili, perchè hanno visto coinvolti atleti del presente e del passato, più famosi di Odesnik. E non sempre si è trattato di sostanze dopanti tradizionali. Devono ancora esaurirsi gli echi della vicenda Richard Gasquet, trovato positivo alla cocaina. Con lo smarrito ragazzo francese, dapprima squalificato, poi reintegrato ed ancora al centro di controversie in vari tribunali. La geniale trovata del contagioso bacio alla cocaina "subito", sembra aver fatto breccia nei teneri cuori dei giudici. Ma al di là dell'aspetto grottesco, può dirsi che giustizia è stata fatta, seppur con mezzi che definire fantasiosi sarebbe riduttivo. Il giovane francese non ha mai brillato per intelligenza, ma vedere un semplice sciroccato da night club, punito alla stessa stregua di truffaldino patentato pieno come un'otre di nandrolone, con gli occhi a palla e la bava fluorescente, era troppo.
Il ciclone Agassi. C'è stato poi l'enorme polverone sollevato da Andre Agassi. L'ex kid di Las Vegas, per vendere qualche copia in più del suo libro, ammette il consumo di polvere d'angelo ed altre droghe allucinogene. Dichiara di aver giocato sotto l'effetto di quelle sostanze. Chi lo sa, magari invece del solito Pete Sampras, vedeva un elefantino verdastro che volteggiava sulle note del rigoletto. Sdegno e costrenazione nell'ambiente tennistico. Colleghi ed addetti ai lavori unanimi nel condannare l'americano che calzava parruchini da cantante heavy metal. Ma lo scandalo maggiore ha coinvolto la federazione antidoping, scoperta nel suo attegiamento di scodinzolante transigenza verso il campione cui non si poteva rinunciare, per il bene dell'intero circo.
Yanina e Xavier, sospesi. Sbugiardati dalle parole del pelato americano, gli illustri membri della federazione hanno deciso di usare iol pugno di ferro. Dopo il caso minore di Ivo "carismio" Minar, prime vittime della ritrovata severità (verso mezzi figuri, ovvio) sono stati i due belgi Xavier Malisse e Yanina Wickmayer. Il vecchio squilibrato e la giovane vatussa, condannati a due anni a causa di ripetute mancate reperibilità ad un controllo. Ora, almeno per Xavier è parsa una crudeltà gratuita. Quale reperibilità può garantire uno che da anni prova a reperire, senza alcun risultato, il suo cervello? Dopo il seguente ricorso, i due giocano ancora, come coloro son sospesi nell'aere, in attesa del giudizio finale. Rimangono vittime, più che del doping, del tragicomico tentativo della federazione, di voler recuperare punti e credibilità, dopo l'ignomignoso affaire Agassi.
Odesnik, e vecchi fantasmi argentini. Ora Odesnik. A pensare male si fa peccato, ma certe volte ci si prende alla grande. Maldicenze, dicerie e risolini si sono susseguiti, leggendo il nome dell'allenatore di Wayne: Guillermo Canas. Appena ritirato dalla carriera agonistica e addentratosi in quella di coach. Uno dei quattro moschettieri argentini del doping, forse il D'Artagnan. Assieme a Coria, maghetto del nandrolone, Ignatio Chela che ancora si arrabatta orridamente nel circuito e Mariano Puerta, quello delle doppia squalifica, ergastolo sportivo, perdono e maldestri tentativi di rientri in challenger per residuati bellici. Il nome di Canas potrebbe anche essere del tutto fortuito, allo stato attuale non v'è connessione provata. Magari è solo una sfortunata casualità. Potrà tranquillamente dire: Non sono io che cerco il doping, è il doping che viene dietro a me.
Contraddizioni e caos. L'americano è un altro pesce piccolo e rachitico, caduto nella rete del doping. Anzi del presunto doping, anche lui. Perché non è stato mica smascherato da un controllo, ma dai gendarmi di frontiera. Ed è qui il primo dei tanti paradossi, che la vicenda porta con se. La conferma lampante di quanto i controlli attuali non servano quasi a nulla, potendo simili sostanze essere facilmente occultabili nei prelievi d'urina. Il rischio tragico è che la lotta alle sostanze proibite venga lasciata a gendarmerie locali e forze dell'ordine anche nel tennis, dovendo assistere a scene simili a quelle già viste nel ciclismo. Perché è inutile continuare a negarselo, il doping si evolve con maggior alacrità dell'antidoping, in una specie di circolo vizioso senza fine. Lascia ancor più perplessi sapere come Wayne fosse stato controllato tre volte negli ultimi tre anni. A testimoniare una tendenza che vede la lotta al doping, già fallace in se, concentrarsi soprattutto sui primi al mondo, in modo puramente scenico. Tra solite banalizzazioni, ed inutili richiami a lealtà e cultura sportiva, è evidente come il cancro doping purtroppo ci sarà sempre. Bisogna solo conviverci e cercare di limitare in modo più efficiente possibile. Fregare il prossimo, è un'inclinazione che ci si porta dietro dai tempi di Adamo ed Eva ed il furbetto ci sarà ovunque, anche nel tennis. Rimane la più lucida provocazione, una volta ascoltata da Rino Tommasi, secondo cui l'unica soluzione per rendere inutile il ricorso alle sostanze dopanti ed evitare la tentazione, sarebbe legalizzarlo. Il resto, è solo caos intellettuale, e marasma allargato dalla confusione di chi gestisce maldestramente i controlli
.

Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.