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giovedì 26 maggio 2011

ROLAND GARROS 2011 – RITORNO ALLA NORMALITA’, POI LE LAGRIME DI DISPERAZIONE



Giornata 4 (e 3 d’accatto) – “Anche Leonardo da Vinci, fosse stato intralciato come me, non avrebbe dipinto la gioconda” (l’attempato Vate, direttamente da un centro di studi sulla mente e le sue patologie estreme, ove fornisce materiale incommensurabile)

Scosse di assestamento nella quarta giornata di giochi al Roland Garros, dopo l’incredibile girandola sismica della precedente. Un Rafael Nadal costretto alla rimonta e ad un inatteso quinto set dall’americano pivot John Isner, che malgrado una faccia ed un look che pare direttamente tratto da una saga yankee zeppa di goliardie collegiali, è tipo assai avvezzo ad atti di commovente eroismo. Se il numero uno si era salvato tirando fuori le proverbiali unghie, era invece caduto come un allocco Nicolas Almagro. Di certo non il cavallo vincente della Spagna tennistica, ma una delle possibili schegge fastidiose del torneo. Nicolas (da ieri agli annali: “l’allocco con espressione di furente pantegana da combattimento) spreca due set ed un break di vantaggio, facendosi rimontare dal Polacco Lucasz Kubot, ottimo marcantonio che non disdegna quella strana cosa chiamata rete e l’arte della volèe (seppure non stilosamente partorita  alla maniera di uno Stich) e si esalta nella lotta e nei match tre su cinque degli slam. Lucasz porta a casa la seconda “re-mun-ta-Ta” (citando il sommo Ministro – sì, Ministro – La Russa che a sua volta, sovraeccitato nel preconizzare la rimonta della moderazione nel capoluogo lombardo) del torneo, dopo quella di Robert.
Ieri invece è proceduto tutto secondo i binari del pronostico. Poco più di una passerella, quella di Roger Federer col francese delle retrovie Texeira. Si attende un francese più forte o il connazionale Wawrinka per saggiarne la tenuta. Continuando il discorso sui baciati dal talento più puro, Philipp Petzschner becca tre set a zero secchi dal belga Steve Darcis ed abbandona il torneo (lo ritroveremo vincente a Wimbledon, mentre si avvinghia languidamente ad una scossa novantaseienne regina madre con cappellino color frutti di bosco acerbi). Vedo qualche scambio mentre sbevazzo un caffè, e comprendo come quel ranocchio mai baciato da una riottosa principessa dedita al lesbismo, sia destinato alla mesta dipartita. Davvero tragico. Senza nulla togliere al belga,  che malgrado quella testa di ananasso è tennista più vero, con inquietanti similitudini fisiche/tecniche con entrambi i fratelli Rochus.
Avanzano i tre moschettieri di Francia, Richard Gasquet, Jo Tsonga e Gael Monfils, su cui poggiano molte delle speranze transalpine. Richard cede il primo set al terrifico iberico Grannollers, lasciando presagire l’ennesima scellerata dipartita del talento contro la bruta forza mandriana, prima di liberare tutto il farneticante talento che danza in quel braccio e dominare. Soliti zompi d’eccitazione, gancioni e ghirigori sparsi per Jo Tsonga, liberatosi senza troppi problemi dell’arrotatore russo calante Igor Andreev (poco male, si consolerà con Maria Kirilenko, dicono i saggi con una punta di invidia). Lascia un set ed una impressione di malferma esagitazione fisica Gael Monfils, che però al terzo turno ci è arrivato (e forse arriverà anche al quarto, rassegniamoci).
Occorrerebbe fare un lungo discorso sull’Italtennis, ma purtroppo il tempo stringe, ed il tornio chiama. Semplicemente eroico Andreas Seppi, malfermo e condizionato da un braccio (tempestato di diademi rarissimi) infiammato, cede nettamente a Thomaz Bellucci. Ma chiude ugualmente il match, con atto di eroismo e dedizione verso un suo ammiratore (io) che aveva una scommessa in ballo e non la voleva vedere annullata da un ritiro. Continua invece nel suo convincente cammino amoreggiante con la Dea Bendata, Fabio Fognini. La Fogna, come sono soliti chiamarlo i suoi tanti supporters in un picco di stilnovistica esaltazione poetica, lascia le briciole ad uno Stephane Robert stremato, che aveva già dato il suo contributo con la rimonta a Berdych. Continua a lasciare buone sensazioni il ligure, sicuro e senza le momentanee fughe da se stesso che hanno caratterizzato la sua ancor breve carriera. Non che Istomin sulla terra e un Robert fiaccato siano probanti test psico attitudinali, ma è già tanto. Segno evidente che grazie a complici tabelloni e giocando bene, raggiungere la seconda settimana in uno slam non è pi impresa titanica. Il nostro poi, seguita la languida danza con la Dea Bendata. Quando scorgo il match che designerà il suo avversario in terzo turno ne ho piena conferma: il turco Ilhan e lo spagnolo Guillermo Garcia Lopez si stanno scarnificando al quinto set e sono 8-8, dopo oltre cinque ore di battaglia a serramanico. Vincerà lo spagnolo, forse ha già vinto Fognini.
In ultimo, ma non certo per ultimo, uno sguardo alle donne. Tutte avanti senza grossi spaventi, le (tante) favorite. Kim Clijsters sembra in discrete condizioni, così come Victoria Azarenka e la campionessa uscente Francesca Schiavone. Avanzano spedite anche Svetlana Kuznetsova, Samantha Stosur, Maria Sharapova e Julia Goerges vincente in rimonta sulla Safarova. Se vogliamo definirla ancora sorpresa, già fuori Ana Ivanovic. Ma la serba, pur continuando a godere per meriti estetici (sui quali si potrebbe essere anche un filo dubbiosi), è ormai tennista delle retrovie. Tira forte e sempre. Ogni volta più forte. Sembra dirselo tra se e se, con quella espressione di estrema demenza tattica: “la prossima volta la tiro più forte”. E infatti lo fa, mentre la pallina costeggia la rive Gauche stordendo un ignaro gabbiano.
Ma…quella foto che c’entra? Dirà qualcuno. Già, quella foto e le lagrime inconsolabili di Sabine Lisicki. Mi sintonizzo sul campo numero uno, lasciando da parte uno Tsonga lanciato, concentrandomi sull’adorabile Vera Zvonareva. La russa è impegnata ad arginare le furia teutonica di Sabine Lisicki. Autentica valchiria bionda che pare indemoniata. E’ oltre la centesima posizione a causa di una clamorosa serie di infortuni ma vale certamente di più, e sul campo lo conferma. Vince il primo set, Vera invece arranca senza un sussulto. Placida e serafica, con inusitata e nuova calma olimpica, virtù delle forti (che chissà se uno slam lo vinceranno mai). Serve sul 4-6 4-5, va a due punti dalla sconfitta, ma ha negli occhioni azzurri la sicurezza che “tanto la vince”, prima o poi. L’altra, predestinata “nuova Masha” in salsa di crauti, si agita, tutta arrembante. Un agonismo esasperato, che la metà basterebbe per farmela detestare. Urla dei “c’mon” con accento della Baviera da fare impressione, su ogni errore dell’avversaria. Una di quelle che quando perdono, mi donano un irrefrenabile sollievo interiore. E allora mi concentro fortemente. L’altra rimane lì, tranquilla, come chi sa il fatto suo. Che avranno fatto alla mente isterica di Vera? Funziona, comunque. Vince d’esperienza il secondo, sfruttando l’inquietante “braccio stracchino” di quella che poco prima sembrava voler divellere la terra e che poco dopo riprende il suo mestiere terrificante. C’è un senso in tutto. Sabine è gran perdente, me ne convinco fermamente. Randella come ossessa ed ancora “c’mon” ingobbiti. Giungo a pensare che lo urlerà come matta in preda ad una crisi, anche in macchina quando scatta il verde del semaforo. Simpatica almeno quanto un riccio di mare conficcato nel cavo popliteo mentre si flette la gamba.  
Quello di Sabine è comunque il solito tennis di molte, con l’unico picco di estrosità nello sputare con grazia la punta nera della banana, secondo i consigli della nonna, prima di trangugiarla a guance piene. Immagine densa di raccapriccio. Eppure inizia bene anche il terzo, fa il break decisivo e vola 5-2. Vera “la placida” (!) sta lì, osserva sorniona cercando di arginare quel vortice orrendo. Ha sdoganato il vituperato lobbone liftato a buttare l’avversaria fuori dal campo, prima dell’attacco magari gettandosi a rete. Già perché la russa va a rete, e gioca anche di volo. Ci prova, se non altro. E questo me la fa stimare. Salva un match point e s’inerpica sul 3-5, prima dell’imprevedibilmente previsto: La tigre invasata ritorna “mano di burro” e cede il servizio gettando tre smunti stracci a rete. Ora c’è anche il timbro sulle mie considerazioni. Questa ragazza è perdente d’altri tempi, e prova goffamente a mascherarlo con atteggiamento d’invasato agonismo da cui rimane strozzata. Inevitabilmente. Una maschera, solo una maschera che qualche pazzo le ha messo addosso. E infatti non vince più un game. 7-5 Vera, da 2-5 30-40. Sabine, stremata fisicamente e consunta mentalmente, si fa anche male (dev'essere una faccenda psicologica assai complessa) lasciandosi andare ad un pianto di disperazione. Se la portano via in barella, tra gli applausi di un pubblico comprensivo per quello pseudo infortunio da post braccino smunto. Sono ragazze fragili, in fondo. Appena tolgono quella maschera. E quasi mi dispiace d’aver sperato nella sua sconfitta. Ho scritto, quasi.

2 commenti:

  1. Ciao Picasso, ieri ho visto un po'.

    Quasi non credevo ai miei occhi: Gasquet che si riprende dopo aver avuto i primi segnali di crollo. Secondo me Piatti gli ha detto se senti le locuste nel cervello (copyright tuo) fai le cose più folli, tipo seguire a rete la seconda. Ora il vincente di Djokovic Del Potro. Peccato forse è un po' sprecato come ottavo di finale.

    Invece Tsonga mi pare chiaro che non regge più di tre set. Anche lì, peccato davvero, perché è sempre un bel vedere.

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  2. Ciao Arturo,
    appoggio in pieno il Gasquet ("coeur de lion"), ritrovato e liberato mentalmente, nell'istintiva semplicità. I talenti devono sempre essere lasciati liberi. Piatti sembra aver fatto riemergere quel talento, da troppi appesantito. Bell'ottavo contro Djokovic (?), e chi lo sa (fervorosa scaramanzia). =)
    D'accordo anche su Tsonga. Uno dei pochi che potrebbe veramente accendere la fantasia. Ma avanti due set ed un break di vantaggio, tenuta fisica (rabberciata) a parte, devi comunque portarla a casa.
    Ciao, a presto.
    (En attendant Juan Martin)

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.