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martedì 13 settembre 2011

US OPEN 2011 - DJOKOVIC L'INVINCIBILE, QUASI


Day 0  - Dal vostro inviato, al colosseo. Submentali pagelle senza voto di codesta edizione degli Us Open maschili. Non aspettatevi numeri, ma solo aberrazioni senza sosta. “tennis 1.0.2” di Djokovic ha ormai mandato in soffitta il vecchio e rivoluzionario “tennis 1.0.1” di Nadal.

Novak Djokovic. Non c’è stato meteorite, o altra forma di vita ultraterrena a poter mettere il boccaglio “alla cosa”. Oddio, Federer prima del regal capottamento. Continua questa marcia terrificante, manco fosse un Attila con sembianze da marionetta scucchiata. Fa tre su quattro slam stagionali. Quattro slam vinti in carriera. Un solo match perso nel 2012. Ce ne sarebbe abbastanza per emigrare alle Kayman, solo avessi qualche trigliardo stipato in specchiate banche, lamentandomi con qualche amico massone di terza fascia: “questo tennis è una merda, io me ne vado, capito che me ne vado?…”. Vince l’ennesima finale truculenta su Nadal, ormai vittima sacrificale di un’esplosione tanto improvvisa, quanto abilmente congegnata da luminari scienziati d’inizio secolo imprestatati alla balistica tennistica. Una salubre immersione nell’ovetto kinder e via, di slancio, come super eroe con gli occhi di tigre strabica. Batte lo spagnolo e lo annienta su tutta la linea, usando i suoi stessi punti di forza. Pare costruito e programmato per abbatterlo con una mazza chiodata. Il serbo inumano è un programma per pc più evoluto ed aggiornato. Corsa, resistenza, solidità mentale, debordante convinzione d’invincibilità. Vera, non più quella di qualche anno fa, che lo rendeva ridicolo quanto l’unto del signore spernacchiato in Europa.
Eccitantissima la finale. Violenza e pura esplosione di mascolino nerbo che avrebbe mandato su di giri Aldo Busi vestito da fata turchina. Autentica battaglia da colosseo chiusa dal serbo in quattro set. Vince Nole, perché nell’immane cruenza cui hanno spinto il tennis, fa meno fatica dell’avversario, semplicemente. Nell’estenuante pugna, laddove si attende invano che uno dei due spiri eroicamente sul campo, vince e vincerebbe anche se giocassero dodici ore e cento match. Djokovic versione Giuditta 2012, ha fatto sue le prerogative difensive dell’avversario ed in più ci ha messo quella più facile attitudine all’accelerazione. Oltre ad un maggior equilibrio tra i due fondamentali, più puliti e senza dispendiosi arrotamenti. Quando l’altro prova a rientrare tira fuori il coniglio dal cilindro del medical time out, che suona come ulteriore presa in giro, chiamato contro Nadal. Arma antica, della quale un tempo era volenteroso e maldestro scolaretto, e rispolverata alla bisogna. Poco male, avrebbe vinto ugualmente, ma è tanto per metterci ancora qualcosa di suo nella vittoria. Solo lo svizzero ha armi e risorse tecniche sgorganti dal solo braccio per condurlo all’avvilimento. Se solo durasse tre set.

Rafael Nadal. Un po’ fa tenerezza, in estremissima ratio. La sua, stravolta, è forse la faccia di un’epoca che si chiude. Le prova tutte, ma veramente tutte. Ma è diventato obsoleto. E, caparbiamente ammirevole, quasi sembra non voler capire che contro il serbo versione ammodernata non vincerà mai, a meno di un calo fisico. E’ solo di fisico che si può cianciare. Non ci sono analisi tattiche, pippe mentali o masturbazioni tecniche da provare ad inventarsi. Nole ormai corre come e più di lui, non riesce a fargli male col dirittaccio maligno, col rovescio, spesso insufficiente e corto, si espone di petto all’altrui attacco. Corre, sbuffa, fa facce cartonate d’antologia, agita i pugni. E poveretto, non lo sa ancora. Non può batterlo, tecnicamente e fisicamente. Non ha altre risorse da tirare fuori dal cilindro per capovolgere la situazione, che quelle gambe poderose che ormai non bastano più. Non può più ancorarsi nemmeno ad una parvenza di sudditanza psicologica, con quell’altro che veleggia nella sua ampolla di debordante ego. Rimane la gladiatoria e terrificante battaglia ai confini dell’essere umano. Due, tre, quattro…magari anche cinque o sei ore. Rafito più passano le ore e più gioca meglio, tira più forte, oltre gli umani confini e credenze fisiche, mediche, psico-socio-pedagocic-filosofiche. Ma anche quell’altro ha imparato a farlo (capisci a me). Correrebbero e tirerebbero l’impossibile, sempre più forte, imbracciando le loro modernissime clave preistoriche tutto il giorno. Un Kohli qualsiasi sarebbe morto dopo un’ora e un quarto. Poi il serbo chiede l’artato stop medico e lui perde il ritmo forsennato. Sarebbe finita allo stesso modo. Il vecchio programma da pc ha fatto il suo tempo. E soccombe al nuovo. Amen. Poi per carità, talvolta certi programmi finiscono per avere dei difetti e solo il tempo ce lo dirà.

Roger Federer. S’è già detto tanto nel precedente parto. Leggetevelo, se ne uscite vivi. Dimostra ancora che questo tennis estremo ed estremizzante nella sua deriva di fisicismo alienante, si può ancora battere col braccio e con la classe. Vetuste regole che ancora si ostinano a voler contare qualcosa in questo sport bistrattato ed imbarbarito da muscolari evoluzioni oltre l’immaginifico. Non c’è fisico disumano e convinzione mentale che tenga però, quando dal budello escono simili colpi, facili e devastanti allo stesso tempo. Miserabile soddisfazione, perché poi rimane ancora vittima di una inspiegabile fragilità mentale ad un centimetro dalla vittoria. Lo stellare talento tennistico dalle fragili meningi cede il passo al gladiatore invasato che corre su ogni palla come un mulo ebbro di peperoncino corretto al tabasko e rende i match una specie di bolgia dantesca dei dannati. Non prima di aver dimostrato come lo si annienta, e che poteva anche vincere. In ultima istanza. Bella soddisfazione, si chiamasse Gasquet e giocasse contro Ferrer.

Andy Murray. E che vuoi dire del povero Andy. L’ultimo ad arrivare fu Cacasenno. Insegue i tre, tenendoli per la collottola, come il discolaccio. Non fosse così repellente allo sguardo, susciterebbe tantissima comprensione. Una specie di cucciolo di iguana, spaurito e con l’incombente lacrimuccia di disperazione. Perde da Nadal in semifinale dimostrando come ancora non abbia le armi fisiche e mentali per spuntarla alla lunga, in uno slam. Encomiabile il tentativo, ma poi finisce stravolto dalla fatica. Bianco come un cencio, tira due o tre madonne, si trascina con movenze da pinguino bizzoso. Sperare in lui è come sperare in niente. Ma è già qualcosa.

Jo Tsonga. Stavolta non gli riesce il grande scalpo del monarca in declino. Poco male, quello nuovayorkese rimane il torneo della conferma. Se il fisico regge, dopo i primi quattro c’è lui, monumentale effigie del tennis potente e brioso, istrionico e senza rivoltanti esasperazioni o agonismi di caucciù. Un ultimo e futuro baluardo contro il degrado, da preservare come fosse patrimonio dell’Unesco. I cinque set divertenti set con cui batte Fish sono forse il connubio tecnicamente più pregevole del torneo.

Janko Tipsarevic. Ah, beh. Uno che passa dal farsi ridicolizzare da Seppi tra i pipistrelli svolazzanti di Eastbourne ad un quarto di finale a Flushing Meadows con tanto di eroica lotta alla pari con Djokovic, meriterebbe un trattamento speciale. Capitolo II comma sette dell’immortale saggio: “Vedi Seppi e poi muori o rinasci”. Basterebbe quella faccia da cavernicolo, la barba, i tatuaggi e gli occhiali. Personaggio interessante, complesso e da studiare. Tennisticamente vale i primi 15. Rischia di tornare nel limbo se ritrova l’indemoniato caldarense. Stavolta magari direttamente in un torneo da disputarsi in Transilvania.

Andy Roddick. Scova gli ultimi refoli d’orgoglio e salute per un bel guizzo da quarti di finale. Declinante e con le risorse al lumicino batte Ferrer ‘o zappatore poi, infermo, nulla può contro le tramontane arrotate di Nadal.

Tomas Berdych. Si rompe e si ritira contro Tipsarevic. Batte solo il genio illuminato Fognini. Bene attento il ligure a non giocare gli ultimi due set. Hai  visto mai che l’infermo ceco potesse accusare il problema contro di lui. Un gentleman d’altri tempi, il nostro.

John Isner. Il gigante americano mette a segno un torneo superlativo. Fa il massimo che può, col deflagrante servizio che piomba da un grattacielo e le bradipesche movenze da stambecco affetto da gigantismo. Dirittacci da fermo, o due balzoni per abbrancare la rete con quelle ali da condor. Batte Gilles Simon, e non si può che accendere un cero alla madonna del pozzo.

Juan Martin Del Potro. Provoca gran mestizia vederlo soccombere innanzi a Gilles Simon. Il linguaggio del corpo dice più di tutto. E’ sofferente, si regge a mala pena in piedi camminando lentamente, ma ci prova ugualmente. Non avrebbe molto per accendere la fantasia del tifoso, ma con qualche timido ed accennato gesto da gladiatore sofferente richiama il pubblico americano, capace come pochi nell’individuare le possibili favole eroiche, al commovente sostegno. Ma niente può, invischiato nell’orrida rete attendista del pupazzo francese. Due anni fa, e temo mai più, lo avrebbe stesso con un paio di uppercut alla milza. Preso di peso e riposto in un cantuccio.

Alexander Dolgopolov. La libellula pazza del circuito. Eccola una delle note liete. Tutta l’essenza dell’ucraino svolazzante, sta nel suo torneo newyorkese. Fiammate prodigiose e pause smarrenti. Rischia la tragica sconfitta con Cipolla, avanti due set a uno e due break nel quarto. Recupera da 1-4 nel quinto. Poi si lascia andare ad un set di pura magia contro Djokovic. Un 16-14 al tie-break che infiamma il pubblico, tra movenze sbirole, sfarfalleggiamenti, ricami e ludiche accelerazioni.

Juan Carlos Ferrero. Uno di quei tennisti che non muore mai. Si rigenera dalle sue ceneri. Lungi dall’esser divertente e rimanendo uno dei più modesti numeri uno della storia, questo spagnolo che ha passato la trentina possiede in sé qualcosa di non comune. Chiamatela mentalità vincente o addirittura classe. La spunta con Monfils dopo una durissima battaglia rusticana, senza grandi colpi, ma con la forza della semplicità di chi è stato numero uno.

Tommy Haas. Altra fiaba interessante. Una delle poche a colpire il mio animo assai sensibile. Di solo braccio, ed ormai ridotto a residuato bellico dopo l’ennesimo intervento sul martoriato fisico, il trentatreenne tedesco d’america passa due turni. Compensa con gaudiosi controbalzi e rovesci empi polmoni una condizione da invalido civile. Nell’era dei fisicismi alla Djokovic e Nadal, dove vorrebbe ancora andare? Mai mettere limiti alla provvidenza. Si vive di questi eroismi ed utopiche battaglie contro i mulini a vento. Basta il maniscalco Monaco, per batterlo a distanza.

Petzschner/Melzer. Secondo titolo di slam portato a casa dal duo manicomiale. Specialità ormai ridotta al lumicino, cui forse la decisiva mazzata l’ha data la semifinale delle cariatidi Fognini/Bolelli (alias “il piccolo Bopanna”). Tra ottuagenarie coppie e mestieranti che nemmeno hanno una classifica di singolo, i due circensi giocolieri emergono come satrapi. Si completano a vicenda: uno destro, l’altro sinistro. In due, coi loro atrofizzati mezzi, accocchiano un intero emisfero cerebrale. Divertenti, estemporanei, buffi. Il contrario del tennis che va per la maggiore. Forse per quello non si può non adorarli.

Italians. Un bravissimo Cipolla passa un turno, e rischia la leggendaria vittoria con Dolgopolov. Perde solo al quinto, dopo grande rimonta, vittima dei crampi. Degli altri, mi infastidisce solo scriverne il nome. Perdono, e non sarebbe nemmeno un male. Tutti, perdono. La cosa più insostenibile è che sono terribilmente provinciali nell’affrontare il circuito, noiosi a vedersi, nei colpi e nel comportamento. E adesso via a spezzare le reni a Capdeville in Cile.

2 commenti:

  1. La foto è splendidissima :))
    Le partite che ricorderò sono quelle di Tpsarevic e di Dolgopolov...speriamo la prossima stagione sia la loro riscossa, con Tsonga s'intende che mi auguro faccia scalpi importanti. Oramai tolto parigi e il master di questa non resta molto. Guardavo la classifica, è indecente, la cosa che preoccupa di più sono le posizioni tra il 4 e il 10...mummie viventi che stanno lì, e Ferrer che forse rifà il master :(
    Interessante e centrata la metafora "programma 1.02", è vero, stesse armi, mto compreso e mettici (come hai fatto) a onor del vero anche un pò di tecnica in più. Poche ciance è tutto uguale, tenuta mentale e fisica con colpi più efficaci, tutti e 3 servizio, diritto e rovescio, sa fare pure i lob e i drop ;) per le voleè si sta attrezzando.
    Sono felicissima per il duo illuminato, si completano è innegabile (di questa fisicità esagerata che arriva il doppio ne pagherà sempre più le conseguenze). Io spero che non si arrivi a finali da arena sempre e che arrivino ancora giocatori di vincere con il braccio e una preparazione normale non da marins.
    Attendo un nome per ogni tipo (aggiungerei il cagnaccio da terra) di tennista che mi hai elencato nell'altra risposta, al momento abbiamo "l'introverso" mancano tutti gli altri.
    Jess

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  2. Sì, la foto è agghiacciante. Rende bene l'idea di una snodata marionetta invasata. Ma è difficile trovarne una vagamente umana, anche sforzandosi. =)
    Il vero segreto del nuovo tennis è la tenuta difensiva ed il saper coprire il campo. Djokovic in quel senso è diventato efficace come lo spagnolo. In più si stanca meno perché ha colpi meno arrotati e più incisivi. E non ha un punto debole come lo spagnolo (il rovescio). Tutto, e solo, lì.
    Il cagnaccio da terra, non esiste più. Col nuovo tennis e le superfici lente divenute più veloci, e quelle veloci diventate atrocemente lente, mettendoci anche le palline più pesanti, non esiste più la specializzazione che c'era dieci anni fa. L'erbivoro, il terraiolo, il tennista da veloce...sono ormai figure che esistono solo a livello di idea.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.