Dal
vostro inviato da Gigi il Troione, mangiando mega cofana di spaghetti alla
puttanesca (appena finito il digiuno per la pace, ovvio)
Addio amato e detestato «Super
Saturday», ecco un normale Saturday di semifinali maschili. I rovesci di Wawrinka
e Gasquet, diversamente belli, provavano a scombinare i piani di una scontata
finale.
Non so quanti, dopo l’incredibile
prestazione offerta a Melbourne, si aspettassero altra prestazione monumentale
da Stan
Wawrinka. Con un velo di pomata (clerasil, azzardo) sul volto, Stan prova
a difendere i preziosi brufoli dal brutale sole a newyorchese a perpendicolo. Poi si
piazza in mezzo al campo e inizia a spanciare colpi. Borioso, splendidamente
incurante. Mena Nole con dritti e manrovesci da stropicciarsi gli
occhi. E il normale paradosso è come il numero uno serbo non possa farci
niente. Nulla, se non assistere allo spettacolo. Incassare, provare a restare
in piedi. Trascinare quel torello scatenato alla lunga distanza e spuntarla
d’esperienza.
Ed è lì che Djokovic dimostra tutta
la sua maturità. Non è quello in stato di esaltazione psico-fisica di due anni
fa, ma pur sempre il costante numero uno. Non reagisce con foga, come pure gli
suggerirebbe l’istinto conducendolo a rapida sconfitta, ma temporeggia.
Rintuzza, aspetta che l’altro cali. Con fiducia. E nel tie-break del secondo
set gestito e vinto con grande freddezza, che vince l’incontro. Wawrinka
riprenderà a schioppettare colpi maiuscoli anche nel terzo set, si riporterà ancora
avanti, ma sembra destinato a cedere.
Non si raggiungono le vette di
drammaticità viste in Australia, ma per essere uno scialbo sabato di digiuno
per la pace è un bel picchiarsi a mani nude. Match bello, intenso come non mai.
Lo svizzero cala d’intesità, mentre Djokovic si mantiene sullo stesso livello
di difesa: modalità muro di cauccù. Durissimo a morire. Sta lì la chiave. Ci vuol
mica una dotta analisi socio politica di D’Agostino, coi suoi smeriglianti
anelli a favore di telecamera, per spiegarci l’essenza del match. Ne approfitto
per mettere sul fuoco le salsicce (sempre in clima di digiuno benaugurante) in
attesa del quinto set, quando m’informano di uno stop medico chiamato da
Wawrinka. Ecco, è fatto. Cotto a puntino. Come le salsicce. A inizio del quinto i due
riprendono a menarsi in modo furibondo, come due gatti in calore a difesa del
territorio. Stan a un certo punto aizza il pubblico in delirio. Nole non
tollera che qualcuno gli rubi la scena e con ampi gesti chiama altri applausi,
ancora più forti. Come a mettere in chiaro «sono io l’istrione, il re della serata». Scena
inutile, pietosa. Ma l’incontro lo porta a casa, con grandissima pazienza ed
esperienza. Wawrinka perde, piange, si dispera. Perché ha capito d’essere ormai
a un passo dai primi. Batte Berdych e Murray, continua a mancargli qualche centimetro
per afferrare la «cuccagna» Djokovic e Nadal. In un lodevole processo di maturazione fisico e mentale.
Ormai satolli di spaghetti e salsiccia,
eccoci pronti alla seconda semifinale. Compito ben più probante per Gasquet,
arginare il mostruoso Nadal di questa notte d'estate. Ma «Questa notte è ancora nostra, Richard non tremare, non ti posso far male» (e sticazzi se gli fa male). E' solo il giorno che muore. Più elegante, armonico e musicale il suo rovescio,
rispetto a quello di Wawrinka. Richard risponde tre metri fuori dalla riga
fondo un rovescio che sibila da destra a sinistra, gettando fuori dal campo
Nadal, tutto goffamente sulla sua destra, fa due passi in avanti da spadaccino
in pedana ed esplode un'altra sciabolata di rovescio incrociata. Dall’altro
lato. Lo spagnolo arpiona anche quella, correndo come un forsennato. Altri tre passi in avanti del violinista spadaccino francese per chiudere a rete con
volée radente. Sarà lì, tutto. Il succo. Uno guarda solo quel punto e si chiede quanti
giochi possa vincere Nadal contro simile fenomeno: 4, 7? 10 al limite. Il tennis
però è altro sport. Resistenza mentale e fisica, soprattutto. Sono lontani quei
giorni in cui, da tredicenni, Riccardino vergava con la classe del suo braccio il
giovane Rafaelito. I due smilzi ragazzini sono poi cresciuti. Il braccio
soffocato dal fisico, dall’attitudine cannibale dell’avversario e di un tennis
che premia soprattutto quello. E il risultato è lì.
Regge, Richard. Forse il miglior Gasquet degli ultimi anni. Due set quasi alla pari. Ha tutto ben chiaro quello che deve fare, il transalpino, malgrado una scatola cranica in cui le sinapsi ballano un soave sirtaki e si masturbano a distanza con i neuroni: assalto languido. Servizi e volée, attacchi, chip&charge. Nadal lo batti così, o almeno lo metti un minimo in difficoltà. Poi cosa vuoi, la sciagura con cui gioca il decisivo tie-break del secondo set fa il resto. Non si può pretendere l’impossibile, da un giorno all’altro e che sinapsi, drogate di viagra, ingravidino proni neuroni.
Regge, Richard. Forse il miglior Gasquet degli ultimi anni. Due set quasi alla pari. Ha tutto ben chiaro quello che deve fare, il transalpino, malgrado una scatola cranica in cui le sinapsi ballano un soave sirtaki e si masturbano a distanza con i neuroni: assalto languido. Servizi e volée, attacchi, chip&charge. Nadal lo batti così, o almeno lo metti un minimo in difficoltà. Poi cosa vuoi, la sciagura con cui gioca il decisivo tie-break del secondo set fa il resto. Non si può pretendere l’impossibile, da un giorno all’altro e che sinapsi, drogate di viagra, ingravidino proni neuroni.
agguanta il doppio, tanto meritato, contento per lui e la sua carriera.
RispondiEliminaPer i singolisti, sapevamo come andava a finire... e lunedí notte si puó tranquillamente dormire...
Ciao Picasso.
Lucas
Bravo Radek, felice anche io per lui. Tennista adorabile, altro che antipatico. Gran coppia. In doppio, visti i top ten, potrebbe andare avanti fino ai 40 anni (peccato che Paes ne abbia già 40).
EliminaFinali scontate, uomini e donne (dove si sta assistendo a spettacolo RACCAPRICCIANTE).
Ciao Lucas