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sabato 31 agosto 2019

DEL RITROVATO AMORE




Più di cento discese a rete. Centoquattro, fottutissime, discese a rete. Non so da quanto tempo non si vedesse una cosa simile, forse dai tempi di Ramesh Krishnan sull'erba di Calcutta appena concimata di sterco. Pomeriggio americano, tarda serata italiana. Suona l'allarme sul centrale di Flushing Meadows. Accorrete, infedeli, una rotonda nera americana sui cento chili, col culone in mutandoni fiorellati, sta facendo impazzire quella che dovrebbe essere la numero uno al mondo, Simona Halep. Spettacolo delirante, Taylor Townsend. Ne scrissi anni fa, forse tre o quattro, di questa delizia dal talento sovrappeso. Non è un refuso, perché più che il fisico, di eccessivo, debordante, in lei è il talento. Pazzesco, fuori dalle orride logiche tempo.
Attacca, prima e seconda di servizio. 

Sembra una missione suicida, ma superba. Bellissima. Perde il primo set. Non sarà mai numero uno, resterà a basculare fuori dai cento, non vincerà mai uno slam, darà ragione ai freddi americani della Usta che la lasciarono al suo destino perché troppo grassa per il tennis professionale. Ma cosa importa a noi che abbiamo visto il Pecce scherzare Nadal nel Tempio, prima di perderci. A noi che della vittoria importa meno di una sega venuta male. È tutto ugualmente meraviglioso, questo perfetto imperfetto. Attacca senza sosta. Ha ben chiaro in mente il piano di guerra, sospinta dal suicida istinto del dio minore tennis, quello volleante.
Faccio pace col tennis, in una notte di tarda estate. Senza birra, ma sbocconcellando una granita al gelso, col caldo umido che divora le meningi e le zanzare a fare il loro mestiere: rompere la minchia.

La piccola Aretha Franklin travestita da Supermac, stavolta non deve ricorrere nemmeno al consueto libercolo della tattica durante il cambio campo. Che gioia liberatoria. Quanta bellezza surreale, Taylor Kamala, il wrestler anni novanta, di agilità insospettabile. Un quintale di leggerezza all'attacco, con sprint in avanti da centometrista. Zampate, volée eleganti e mortali. Prima e seconda. Halep, che pure è una delle più intelligenti e regolari, non ci capisce più un cazzo. Proiettata negli anni novanta, costretta a fare un altro sport: il passante a ogni punto. E finisce per andare fuori giri. Sbarella, sbaglia tutto. Sembra sul punto di chiedere al giudice di sedia se tutto ciò è regolare.
Townsend vince il secondo, trascina il pubblico. Sugli spalti si vedono comitive di afro americani ballare come durante una funzione gospel ad Harleem. Sembra una puntata dei Jefferson. Una volée mancina dopo l'altra, e quell'espressione impunita sempre più convinta.

È ufficiale. Dopo un anno in cui ho preferito l'appassionante campionato di tamburello islandese, amo nuovamente il tennis. Alla sconcia novità, contribuisce un altro miracolo, di natura opposta: Paolino palle d'acciaio Lorenzi. Trentotto anni, come il collega minore Federer, e una bellissima carriera al dignitoso crepuscolo. Aveva perso nelle qualificazioni. Ripescato, si salva d'esperienza al quinto contro un sedicenne americano alla prima esperienza. Ieri contro Kecmanovic, giovane serbo in ascesa ma a me sconosciuto, il capolavoro. Il caldo del fine estate a New York lo rigenera. Non molla un quindici, giocando un match da cagnaccio rognoso. È un incontro di rara e tragica bruttezza pallettara, ma che importa. Lo si guarda in trincea. 
Infiniti scambi, col nostro eroe senza macchia che rintuzza gli angoli pallettati del serbo, uno che serve più piano della Errani dei tempi d'oro. Rantola corre, arpiona, affonda sempre al momento giusto e alla fine la spunta dopo cinque ore di battaglia rusticana. Mostruoso, Lorenzi. Esempio di intelligenza e abnegazione. Lo vedremo ancora a 45 anni, lottare per i campi.

Intanto, sul centrale, non si arresta la folle corsa della gazzella di un quintale, in furibondo assalto. Serve per il match sul 5-3. Halep è sull'orlo dell'esaurimento, si schiaffeggia manco fosse la sorella di Youzhny. Poi ecco, ci siamo. Tutto previsto. Sui due match point, trema il braccione di Kamala. La magia svanisce e d'incanto torna pesante, affossa in rete una volée. Si sente già qualcuno bofonchiare con saccenza: "E certo, con quel culone, dove vuole andare. Se dimagrisse, diventando snella come la Bouchard, potrebbe entrare nella top 10". Basta solo ammazzarlo, e starà zitto in eterno. Sull'altra, Halep passa da campionessa. Storia già vista, dirà invece l'esperto di rutilanti suicidi: cederà di schianto 7-5. E invece la volleante gazzella torna d'incanto leggera come una ballerina del Bolshoi. Non si arrende, salva un match point. Chiude una volée in punta di piedi, e ancora a rete con scatti brucianti, alla faccia della scarsa condizione fisica. Acciuffato il tie-break, lo gioca senza tremare, in modo perfetto, all'attacco (ca va san dire) e la chiude di giustezza. Inno alla gioia. Sipario.

9 commenti:

  1. Fantastico articolo. Mi permetto di condividerlo su mia pagina Fb. Stanotte può andare ancora avanti la bella e brava Taylor!

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  2. Finalmente,grazie di essere tornato a scrivere.

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  3. Buongiorno... Partita di Lorenzi mi faceva sudare a me sul divano, pazzesco. Aggiungo che Stan mi ha lasciato basito: tutta la partita ha pensato "Tanto adesso molla, tanto adesso va giù" e invece ha deglutito una bella dose con quel mezzo schifato di Medvedev. A proposito: ritieni giusti gli accostamenti a Mecir (tu che lo conoscevi, io sinceramente ricordo qualcosa visto su Telepiu 2 forse, a 12 anni). Bene, ti sento un po' meno zarathustriano di un anno fa, ma se è servito per mandare a casa Papeete, va benissimo. Un saluto da Udine

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  4. Finalmente dopo un anno sei tornato. è un'apparizione fugace e momentanea o ripartirai con un po' più di costanza? Ci farai l'onore di un pagelle della stagione? Sei il migliore per colpa della tua assenza mi sono ridotto a sentire i podcast di jacopo lo monaco su speaker.

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  5. Che bello ritrovarti. Divertentissima Taylor.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.