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martedì 3 giugno 2025

Bublik, un istrione a Parigi

 






Avevo deciso di pubblicare una cosetta strappa storia lagrime su Gasquet ma, travolto dagli inquietanti eventi d'attualità, mi trovo costretto a cambiare argomento. Che fosse la giornata dei fenomeni paranormali lo avevo iniziato ad intuire guardando qualche scampolo di tale Lois Boisson opposta a Jessica Pegula, sullo Chatrier. La ventiduenne e muscolata francese numero 361 al mondo (una che faticherebbe a superare due turni a Pula) coi gamboni da Sebino Nela e cromosomi xyzs che sembrano mischiati a caso, sta facendo impazzire la maestrina numero 3 delle classifiche. Come ci riesce? Non credo sia per il terrificante afrore che (pare) emani, e che qualche settimana fa spinse una sua avversaria debole di stomaco a chiedere all'arbitro l'utilizzo di un deodorante. Non ha il rovescio, si sposta come una marionetta sul dritto, scentrando malamente. Poi stecca persino un servizio. Cose che si possono vedere solo in un circolo tra anziane signore. Ha solo il servizio ad uscire da sinistra, il drittone carico e una discreta smorzata. Come può la numero tre al mondo, pur invereconda, non chiudere 6-1 6-2, semplicemente tenedola sul lato del rovescio? Invece finisce per perdere 6-4 al terzo, dopo una serie di inenarrabili obbrobri tennistici. Brava/o Lois, ma contro una giocatrice di tennis vera come Mirra Andreeva non raccatterà più di tre games. Buttateci la casa su under 15,5 games. Sotto i ponti c'è posto.

Un sincero plauso ai commentatori Wta, che (temo) assumano massicce dosi di stimolanti equini per tenersi svegli durante il 99% dei match, ma c'è anche del buono nel tennis femminile. Resto folgorato, colto da innamoramento improvviso, osservando Hailey Baptiste opposta alla campionessa degli Australian Open Medison Keys. Questa corpulenta americanona simile a una gettatrice del peso haitiana, con la catena al collo da rapper di Harleem, esplode colpi inusitati. Gioca come un uomo (che gioca bene - si omette sempre tale infinitesimale dettaglio nel citare questa orrida frase fatta -). Con flemma, facilità disarmante e classe cristallina. Anche lei come Boisson ha cromosomi buttati a caso e che fanno a cazzotti, ma che spettacolo sior siori: Accelerazioni, attacchi controtempo, voleé, demivoleé. Prodigi e ingenuità da ventenne (anche se ne dimostra 47).  Perde in due set, perché l'altra è più solida.

Giusto in tempo per il clou di giornata: Aleksandr Bublik opposto a Jack Draper. Il funambolo russo kazako, arrivato sorprendentemente alla seconda settimana, godeva di pochissimi considerazione da parte di esperti e book (a 9,50, manco fosse Carballes contro Sinner). Miscredenti che non avevano annusato nell'aere parigina questo stordente profumo di fiori marci e droghe sintetiche. Non avevano visto due settimane fa Sasha aizzare le folle romane come un gladiatore anemico, vincere poi in scioltezza il challenger di Torino. Sarà sfuggita ai più anche la sua prodigiosa (e oscenamente concreta) prima settimana parigina, condita da rimonta e vittoria al quinto contro De Minaur. A molti mancherà anche un piccolo dettaglio: Sasha non è come gli altri, è atipico, spesso gigioneggia, schiavo del bel punto più che della vittoria. Lo sappiamo. Vincere è quasi un dettaglio trascurabile, contorno di uno spettacolo da offrire al pubblico, che ogni volta lo ripaga eleggendolo beniamino assoluto. Gode per quello, mica per la vittoria. Ha il talento per essere un top, ma non è un top, non pensa come un top, non si allena come un top. Metti Djokovic con lo stile di vita e filosofia naif di Sasha e lo ritroveresti ubriaco di vodka in un circolo di Belgrado, che racconta agli avvinazzati al suo tavolo di quando fece il best ranking: 372. Tutto vero, è così. Ma lui pensa di essere normale. Sono gli altri, gli anormali. Quelli che si allenano come muli da soma, muggiscono come montoni, esultano e agitano i pugni invasati, tipo Zapata Miralles, disse una volta. Ogni tanto però, trova la sua settimana bianca di ispirazione ancestrale. Stavolta lo fa in grande stile, in uno slam. Ha la faccia della tigre, ispirato, si è allenato giocando partite  (match in sequenza tra Roma, Torino e Parigi), concentratissimo. 

Gioca un primo set di grande intensità, ma cede 7-5. Draper scappa avanti di un break anche nel secondo. E adesso nessuno, nemmeno il più accecato tra gli svitati adepti fan del russo kazako, si sarebbe aspettato più di un 3-0, magari condito da qualche giochino di prestigio fine a se stesso per compiacere il pubblico, espressioni stralunate, sorrisetti da Jack Torrance. Invece, ecco la magia: Bublik si è messo in quella testa matta di giocare a tennis per vincere. Nessun servizio da sotto, ma rasoiate di dritto e rovescio, lampi e saette, bordate e carezze, graniuole di vincenti e melliflue smorzate, improvvise e non compulsivamente fini a se stesse. Draper, che pure è un bel cavallone da corsa e merita di stare in top 5, scompare. Il suo pur buon talento appare pochissima cosa rispetto al genio abbagliante di questo fenomeno sceso da Marte, con gli occhi da pazzo e barbetta caprina. In un lampo si ritrova 6/3 6/2 5/4. Solo a Parigi poteva trovare una simile ispirazione, sulle note de "L'Istrione" di Aznavour. C'è solo il tempo per il thrilling finale. Giusto per ricordarci che è sempre Bublik, e che potrebbe tranquillamente perderla alla sua maniera. Serve per il match. Game infinito, miracolo di Draper, voleé che gli muore sulle corde. Palle break, seconde tirate più forte della prima, doppi falli. Lo guardi bianco come un cencio, spiritato, e temi possa tornare il Bublik di sempre, quello delle sconfitte romantiche, un po' ironiche e tragiche. Invece la fiaba surreale ha un lieto fine. Ace, voleé a campo aperto e dritto vincente. "La più bella giornata della mia vita", dirà commosso. Pubblico in estasi. Ovazioni come se avesse vinto il torneo. Lacrime. Prima di riprendersi e darsi un contegno: "Ho ancora un'altra partita". Sinner è avvisato.



2 commenti:


Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.